timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 63 – 21 maggio 2002

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale:
La “carnevalizzazione” dell’internet


Questa idea mi girava per la mente da parecchio tempo. Mi ha aiutato a metterla a fuoco una “bustina” di Umberto Eco su L’Espresso del 23 maggio 2002. Parla di “carnevalizzazione costante della vita”, di “perdita del confine fra ciò che è serio e ciò che è comico” e dei mille imperversanti esibizionismi come i ministri che fanno le corna o altri sberleffi, i sindaci che sfilano in mutande, i vari personaggi più o meno istituzionali che vanno in cerca di comici o figuranti cui prestarsi come “spalla”, «il dibattito televisivo in cui il politico dice cose presumibilmente serie accanto a una soubrette scollatissima che parla dei suoi calendari»... eccetera.

(È curioso che Umberto Eco, spesso attento ai problemi della scuola e critico dei suoi malanni, questa volta non abbia messo in evidenza la “carnevalizzazione” dell’università – di cui è solo uno fra tanti esempi la recente fantozziana esibizione di Paolo Villaggio alla Sapienza di Roma).

Il diluvio di scollature, chiappe, cosce, inguini, ombelichi e altri disabbiglamenti in cui siamo sommersi non è, in sé, scandaloso. Come non è scandalosa la comicità o la voglia di divertirsi. Ma il sesso continuamente esibito diventa poco seducente. Una forzata e ripetitiva comicità spesso è banale e soporifera. Quando tutto è spettacolo, chi vuol essere “serio” (o avrebbe il dovere di esserlo) spesso sguscia da un problema con una battuta da cabaret – o precipita in un’involontaria e ambigua farsa. Quando tutto si mescola nulla più ha un significato. Quasi nulla è divertente. Tutto diventa vago, confuso e incomprensibile. Il pubblico, distratto e assopito, non sa pił distinguere fra spettacolo e realtà, fra burle e notizie.

Qualche settimana fa sono stato intervistato in una trasmissione televisiva. Come quasi tutte, mescolava un dialogo su questioni “serie” con divagazioni più o meno comiche. Benché fosse in tarda serata, con un ascolto limitato, incontro qua e là persone che dicono di avermi visto. Se cerco di capire che cosa pensano degli argomenti di cui si parlava scopro quasi sempre che ne hanno una percezione molto vaga. «Mah, non saprei, ho solo notato che c’eri». Questo è solo uno di infiniti sintomi di una cultura dell’apparenza in cui ciò che conta è “esserci” indipendentemente da ciò che qualcuno fa, pensa o dice.

Quella che Eco chiama “la condizione di una società massmediatica” diventa sempre più noiosa, sempre più falsa, sempre meno interessante. Siamo sprofondati in un pastone indistinto in cui tutto si confonde e nulla si chiarisce.

Quando, nel 1993, Michael Crichton parlava di “mediasauri” era già chiaro che il sistema dei mass media era profondamente in crisi, che occorreva lo sviluppo di nuove specie che prendessero il posto dei dinosauri in via di estinzione – e che fra le risorse più importanti in questa evoluzione c’è l’internet.

La situazione è cambiata da dieci o vent’anni in qua? Sostanzialmente no. La rete sta davvero facendo, almeno in parte, ciò che molti (fra cui l’autore di Jurassic Park) si aspettavano. Ma la cultura dominante non sa (o non vuole) capirlo – e sta cercando di “carnevalizzare” anche l’internet.

Ci ripetono ossessivamente in televisione (e anche sui giornali) che la rete può servire per andare a vedere anche online l’ennesima fotografia dell’ennesima soubrette più o meno svestita – o per ingozzarci di qualche altra ripetizione di ciò che i mass media ci hanno già abbondantemente somministrato. Ovviamente questo è uno degli infiniti modi in cui si può usare la rete – anche se è difficile capire a chi e perché possa interessare un’ulteriore ripetizione di immagini o di pettegolezzi di cui siamo continuamente imbottiti in televisione e sulla carta stampata. Se c’è qualcuno che vuole cercarle anche online, senza dubbio è libero di farlo. De gustibuss non est disputandum, come diceva in latino “maccheronico” un anonimo burlone medievale. Ma non sono certo quelle le cose più interessanti che offre l’internet.

Il carnevale è nato in tempi antichi, quando per tutto l’anno si viveva in modo faticoso e stentato, ci si incontrava poco e poco allegramente. Una settimana di festa era importante, era una liberazione dalle abitudini, una rottura degli schemi e delle gerarchie. Il momento in cui finalmente (e per pochi giorni) “ogni scherzo vale”. Ma se è festa tutto l’anno, che festa è? Se si scherza sempre e su tutto, con infinita ripetitività e banalità, che fine ha fatto l’umorismo? Il divertimento obbligatorio e perenne non è divertente, il travestimento continuo è un inganno. Un buffone può dire cose molto sagge, ma questo non è un motivo per trasformare tutto in buffonata.

L’internet può essere anche divertente. Guai se non lo fosse. Ma per divertirsi con la rete non c’è alcun bisogno di addobbarla come un “parco di divertimenti”. È giusto e sano saper scherzare su tutto (o quasi). Ma ciò non significa che tutto debba trasformarsi in esibizione o spettacolo. La rete non è la televisione. Le sue radici sono nella sostanza, non nell’apparenza.

La rete non è un ballo in maschera. È fatta di persone, non di pupazzi. Di dialogo, non di recite. Di contenuti, non di addobbi.

Non ricordo più da dove ho ritagliato, qualche settimana fa, un breve articolo che e proposito di nuovi (o rinnovati) motori ricerca diceva: «vogliono far concorrenza a Google con le sue stesse armi: siti spartani, semplicità d’uso...». La situazione è bizzarra. Qua e là ogni tanto si legge qualche accenno alla semplicità d’uso, alle soluzioni “spartane”, come se fossero una sorprendente innovazione. Sono sempre state le migliori, fin dalle origini della rete. A una condizione: che ci siano contenuti validi e che ci sia un sistema efficiente per trovarli. Cosa che spesso coincide con scarsità di addobbi, semplicità di accesso e chiarezza di percorsi.

Pare che non ci sia rimedio alla “carnevalizzazione” del sistema “massmediatico” (o che nessuno sappia come trovarlo... vedi il malinconico, rassegnato e inconcludente dibattito, nell’ottobre 1999, fra Umberto Eco ed Eugenio Scalfari, che si rendevano conto del problema ma non sapevano – e tuttora non sanno – come risolverlo).

Ma l’internet, per fortuna, è tutt’altra cosa. Nonostante le barocche e ingombranti incrostazioni che affliggono molti siti web... continua a vivere vigorosamente di contenuti, di scambi, di rapporti umani. Badiamo a viverla e coltivarla per quella che è – e lasciamo che i cultori dell’apparenza si seppelliscano nei loro sontuosi, rutilanti e labirintici mausolei.


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loghino.gif (1071 byte) 2. Chi vuole la morte dell’internet libera?


Un giorno o l’altro dovrò trovare il tempo di scrivere un piccolo aggiornamento di Cassandra, un testo del 1996 che rimane sostanzialmente di attualità. Come avevo osservato allora, la povera Cassandra non era una fattucchiera o un uccello del malaugurio. Era solo una ragazza intelligente che diceva la verità – ma nessuno la stava a sentire. Chi dice (per fortuna non sono l’unico) che ci sono rischi di repressione della rete... cade quasi sempre nell’universale disinteresse. «Di che cosa ti preoccupi? Non vedi che siamo liberi di dire e scrivere tutto ciò che vogliamo?». Con la stessa distrazione e assuefazione non si bada all’estremo (e crescente) condizionamento dei mass media e ci si indigna solo (troppo tardi) quando qualche menzogna o manipolazione ci tocca da vicino – o quando vediamo pubblicata e proclamata qualche fanfaluca su un argomento che conosciamo.

Non voglio ripetermi... ma mi sembra necessario ricordare che la libertà di informazione, di dialogo e di opinione (e in particolare la libertà della rete) non è soltanto una necessità per la società civile, ma anche una premessa indispensabile per lo sviluppo del business. Vedi per esempio Sviluppo vuol dire libertà.

Non voglio neppure ripetere qui ciò che ho scritto in due recenti articoli Gratis o non? Un falso problema e L’internet non è un “club”. Il fatto è che gli arcigni profeti di malaugurio, che da un anno o due annunciano “la morte dell’internet gratis”, sono (per fortuna) smentiti dai fatti. I loro sballati ragionamenti contribuiscono a un deterioramento del già scardinato sistema dell’internet “commerciale”, mentre la parte “libera” delle rete continua a crescere e a moltiplicarsi. Ma c’è dell’altro.

In italiano non c’è quell’ambiguità della lingua inglese per cui free vuol dire “gratis” e anche “libero”. Ma c’è molta ambiguità nella sostanza. Sono troppi e troppo frequenti i sintomi per cui è fastidiosamente evidente che chi predica contro il “gratis” sta pensando alla “morte dell’internet libera” (anche se raramente è disposto a confessarlo). Mentre si stringono sempre più i controlli sul mass media tradizionali, è più che mai sgradito a chi è abituato a comandare questo brulicare di libertà di opinioni, di molteplicità delle fonti di informazione, di scambi che sfuggono al controllo dei sistemi di potere.

Riusciranno a “domare” la rete?  No. O almeno non del tutto. Ma si stanno dando un gran daffare per pilotare e accalappiare almeno la parte più ingenua e meno attenta dell’opinione pubblica – cioè proprio quella che subisce più passivamente l’omogeneizzazione dei mezzi tradizionali (come dimostra, fra l’altro, uno studio svolto l’anno scorso dal Censis) e quindi ha più bisogno di allargare i suoi orizzonti di conoscenza o di scambio.

Il tema è tutt’altro che nuovo, ma rimane uno dei problemi fondamentali della cultura e della società. E uno dei motivi per cui è importante capire quali siano i veri valori di un’internet libera, molteplice, non “centralizzata” e ricca di diversità.

La repressione, intanto, continua a travestirai con maschere di falsa benevolenza. Imperversano i tentativi di “tutela” che nascondono intenzioni di censura e di controllo. Come se non bastasse la strumentalizzazione del terrorismo, è stata di nuovo rispolverata la vecchia “caccia all’untore” a proposito di pornografia e di violenze contro i “minori”. Da recenti dibattiti televisivi (e articoli sulla stampa) emerge con evidenza che si tratta di un male profondamente radicato nelle famiglie (e in ogni sorta di organizzazioni, comprese le scuole e comprese le parrocchie, come conferma il recente scandalo “americano” su un problema che ovviamente non riguarda solo la diocesi di Boston e non solo la chiesa cattolica). Non può sfuggire a un “osservatore attento” il fatto che l’internet non è la causa del problema, ma è uno strumento per risolverlo, perché se i malintenzionati agiscono in rete è molto più facile scovarli – cosa che può aiutare a “incastrare” alcuni dei colpevoli, ma certo non tutti (mentre si è abbondantemente constatato che quando da metodi seri si passa a persecuzioni indiscriminate si esercita imperdonabile violenza su molti innocenti).

Ma su un tema così drammatico non sono molti gli “osservatori attenti” che badano alla sostanza e non si lasciano travolgere dall’emozione (o da un superficiale e strumentale scandalismo). Ricomincia così l’ennesima, ipocrita campagna di “demonizzazione” della rete – mentre è dolorosamente palese quanto siano inadeguati i provvedimenti e le strutture per agire “nel tessuto della società” sulle vere cause di questi antico e irrisolto problema.

Intanto... viene varata “alla chetichella” una legge piuttosto ambigua. Si “recepisce” una direttiva europea che finalmente stabilisce un criterio chiaro (non è ammissibile il concetto di “responsabilità oggettiva” dei provider) ma si introducono alcuni codicilli per cui quella nozione, apparentemente uscita dalla porta, potrebbe rientrare da qualche oscura cantina. Non credo nella “dietrologia”... ma non può essere una coincidenza il fatto che l’approvazione di quella legge coincida con una recrudescenza di “criminalizzazione” dell’internet

Queste manipolazioni non sono ben concepite, non sono chiare, non sono coerenti. In sostanza, non sono intelligenti. Ma il fatto che sono stupide le rende ancora più pericolose. Vedi La stupidità del potere.




A proposito di “cacce alle streghe”
vedi alcuni articoli di qualche anno fa
come per esempio:

J’accuse  (aprile 1998)
Tre facce della barbarie  (luglio 1998)
Storia della crociata infame  (settembre 1998)
Alice nel paese delle ipocrisie  (settembre 1998)
Dagli all’untore  (settembre 1998)
Quel simpaticone di zio Luigi  (settembre 1998)
Il coro dei bugiardi alla seconda crociata  (ottobre 2000)
Chi si rivede? Il diavolo nella rete  (ottobre 2000)
Dalla parte dell’Inquisitore  (ottobre 2000)


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loghino.gif (1071 byte) 3. L’inganno di Alice


Continua la sarabanda della largabanda. In un articolo del gennaio 2002 Quei grandi tubi pieni di nulla avevo spiegato i motivi per cui la “banda larga” è inutile per la maggior parte delle persone, non è una “soluzione miracolosa” come vuol farci credere chi ha interesse a venderla – ed è una commodity sovrabbondante la cui disponibilità è molto superiore alla richiesta. Era prevedibile che, in una situazione del genere, le imprese telefoniche ricorressero a ogni sorta di trucchi per venderne di più – e al prezzo più alto possibile.

Fra i tanti tentativi, imperversa in Italia una campagna pubblicitaria della Telecom per un prodotto che si chiama Alice – e non è altro che un “contenitore” per una connessione ADSL.

Non voglio entrare nelle complesse analisi tecniche (o nei dibattiti spesso un po’ confusi) sulle caratteristiche di questa o quella tecnologia. Né addentrarmi negli specifici motivi per cui i servizi basati sulla tecnologia ADSL non sono sistemi “perfetti”, non sempre sono “veloci”, non sempre sono affidabili, in alcuni casi funzionano peggio di altre soluzioni meno costose. Comunque è sempre meglio non fidarsi “a scatola chiusa” di soluzioni “miracolose”. La sigla ADSL significa Asymmetric Digital Subscriber Line. Ma c’è chi la interpreta come Always Delayed Slightly Longer (“sempre un po’ più in ritardo”).

Il fatto fondamentale è che ci sono diverse soluzioni e che la scelta della più adatta dipende dalle specifiche esigenze di ciascuno. Nessuna è “universalmente” la migliore. Le connessioni broadband possono essere interessanti per alcune imprese e organizzazioni che hanno la necessità di trasferire spesso grandi quantità di dati. Anche in quel caso ci sono diverse soluzioni e nessuna è la più adatta “per tutti”. Comunque è molto discutibile che quelle risorse siano utili per chi fa uno personale e più o meno occasionale della rete.

Si vuol far credere, invece, che la “scatola magica” sia una panacea – quasi una necessità per usare efficacemente l’internet. Il che, semplicemente, non è vero.

(Come – giova ripeterlo – non è vero che per collegarsi alla rete ci sia bisogno di sistemi operativi costosamente “aggiornati” o di computer con una elevata potenza di elaborazione).

Sembra che pochi abbiano letto Alice in Wonderland. Chi conosce il libro sa che il “paese delle meraviglie” è tutt’altro che un luogo di delizie. È un incubo allucinante da cui la povera Alice tenta disperatamente di fuggire. Un luogo in cui, come vuole la furibonda e perversa regina di denari, “bisogna correre sempre più in fretta per restare fermi nello stesso posto”. L’internet, ovviamente, non è simile a quel paese delle angosce – ma può sembrare che lo sia a chi si lascia coinvolgere nel mito della velocità o trascinare in quei percorsi in cui si crea un inutile e farraginoso “sovraccarico di banda”.

La soluzione, dal punto di vista delle persone e delle imprese che usano la rete, è semplice. Non comprare mai nulla (né hardware, né software, né connessioni) prima di aver verificato in modo preciso di quali soluzioni si ha davvero bisogno (e quali offrono la migliore combinazione prezzo-qualità). Non comprare o installare “prima” ciò che si può scegliere più tardi, perché col tempo è probabile che le stesse cose costino meno e funziono meglio – o che ci siano soluzioni più affidabili e più adatte a specifiche esigenze – o che con l’esperienza si sia capito meglio di che cosa si ha davvero bisogno – o che succedano contemporaneamente tutte e tre le cose. La fretta conviene a chi vende connessioni, tecnologie e aggeggi di varia specie – non a chi li compra.

E per chi assume un ruolo attivo e propositivo in rete (con un sito web o con un’altra iniziativa) è sempre meglio evitare di creare un “sovraccarico di banda”. Perché non tutti hanno o avranno accessi broadband (per ora sono pochissimi in tutto il mondo ed è improbabile che il numero aumenti in modo significativo nei prossimi anni) e perché comunque un “acceso veloce” non garantisce affatto velocità in tutto il percorso e non risolve il problema degli intasamenti e dei “colli di bottiglia”. Non è un paradosso affermare che le mitologie broadband non rendono l’internet più veloce, ma la rallentano. Non la rendono più facile e più fluida, ma più macchinosa, ingombrante e farraginosa.

Inoltre... c’è un altro trucco. Per installare una linea ADSL (o qualsiasi altra) non c’è bisogno di usare particolari software offerti dal fornitore della connessione. «Guarda come è facile, usa il mio cd» dice il fornitore. Ma non ci spiega quante e quali cose si andranno a installare nel nostro computer se accettiamo passivamente tutto ciò che ci viene offerto. È legittimo il sospetto che ci siano funzioni non dichiarate o non sufficientemente chiarite (come accade con quasi tutte le proposte di quel genere, compresi i software che si trovano installati quando si compra un computer e molte cose offerte online di cui non è ben spiegata la vera natura). Insomma è possibile, anzi probabile, che un sistema di installazione contenga una varietà di funzioni, palesi o nascoste, intese a condizionare il nostro comportamento e a indirizzare i nostri percorsi in rete là dove più conviene al venditore (o a chi lo paga per “catturarci”).

Ancora una volta – non è mai bene fidarsi di chi promette miracoli o mirabolanti piacevolezze. Sono quasi sempre trappole in cui è “facile” entrare, molto più difficile e faticoso uscire. Come il “paese delle meraviglie” in cui si dibatteva, sbigottita e sconcertata, la povera Alice.


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loghino.gif (1071 byte) 4. La centralità del contenuto
(Due nuovi libri di GerryMcGovern)


Di forma e contenuto, sostanza e accidente, si discuteva in modo interessante ancora prima di Aristotele. Ma al giorno d’oggi, anche indipendentemente da ogni approfondimento filosofico, per quanto riguarda la comunicazione online la questione è concettualmente semplice. Si deve badare al contenitore o, prima di tutto, al contenuto? L’opinione dominante, quanto sciocca, è la prima. Sostenuta dagli interessi di vuol vendere contenitori facendoli passare per bacchette magiche. E dal fatto che produrre, più o meno in serie, scatole appariscenti è molto facile – mentre offrire contenuti utili e interessanti richiede un impegno molto maggiore.

Alla soluzione di questo problema danno un interessante contributo due libri, il cui principale autore è Gerry McGovern – già noto per il suo bel libro del 1999 The Caring Economy e per molti brillanti articoli su come funziona davvero la rete e quali sono i modi migliori per usarla.


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Content Critical è un titolo difficilmente traducibile in italiano. Ma chiarisce che il contenuto è l’elemento determinante. Non è corretto né utile, spiega McGovern, definire le persone online come “utenti“. (Vedi Perché è sbagliato parlare di “utenti“). È meglio chiamarli “lettori“. Perché in questo modo si capisce che cosa cercano, come deve essere pensato, realizzato e organizzato il contenuto, quale fondamentale servizio si deve offrire. E anche perché, nonostante le insulse chiacchiere sulla “multimedialità“, l’elemento fondamentale nella comunicazione online è e rimane la parola scritta.

Il libro è una utile sintesi di ciò che abbiamo imparato in millenni di esperienza sulla scrittura efficace (oltre che in cinque secoli di editoria) e di ciò che è specifico della comunicazione online. Non tratta principalmente della “usabilità“ di un sito web ma di quella produzione, organizzazione e gestione dei contenuti che ne è la base e la premessa necessaria. Un testo concettualmente solido e ricco di consigli e criteri concreti.

Un altro libro, “complementare“ al primo, è The Web Content Style Guide. Più strettamente “manualistico“, segue i concetti di Content Critical e li traduce in una serie di suggerimenti pratici. Gran parte del volume è costituita da un elenco alfabetico di parole e di concetti (An A to Z of Web Content Style) con la loro spiegazione e gli specifici “come fare“. Per i lettori italiani quel “glossario“ può avere una utilità in più, cioè aiutare a capire il significato di parole inglesi, usate in mezzo mondo, che non sempre è facile interpretare correttamente. (Vedi anche Ambiguità di alcune parole inglesi).

Content Critical è un libro che merita di essere letto da tutte le persone interessate all’uso della rete. The Web Content Style Guide è rivolto più strettamente agli “addetti ai lavori“, cioè a chi scrive online, ha compiti di redazione o gestisce siti web.

 

 

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