Il filo di Arianna
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
Perché è sbagliato
parlare di
utenti
Le parole sono spesso un sintomo (e una causa) di un modo di pensare. Non è pedanteria lessicale, ma strumento per capire meglio, badare al senso delle parole che usiamo. Anche senza invocare Socrate... che senso ha parlare di utenti quando si tratta dellinternet o di tecnologie dellinformazione? Il termine non è solo ambiguo è deviante.
Qualcuno mi ha chiesto perché, da molti anni, nelle analisi sui dati di diffusione della rete scrivo sempre utenti fra virgolette. Cè un motivo tecnico. La definizione di utente è imprecisa (si tratta della persona che può disporre di un collegamento? o di chi lo usa con una certa frequenza? o di chi dice di farlo, il che non necessariamente equivale a ciò che davvero fa?) e perciò i dati non possono essere presi alla lettera. Ma cè anche un motivo concettuale ed è più importante.
Parlavano di utenti (e continuano a farlo) le organizzazioni che distribuivano servizi in condizioni di monopolio (ora, in alcuni casi, di oligopolio, ma la situazione non è molto cambiata). Chi usa la corrente elettrica, o lacqua potabile, o il telefono, non può farne a meno. Se chi usa il servizio non paga si tagliano i fili. La mentalità delle imprese erogatrici è quella di un esattore. Oggi la forma è cambiata, si indossano maschere seducenti, si chiacchiera un po a vanvera di customer care, ma la sostanza è in gran parte la stessa. Le ragioni degli utenti contano poco, come conferma lesperienza quotidiana.
Tutto ciò non è solo sbagliato da un punto di vista morale, sociale e culturale. È anche rischioso, perché quando il mercato diventa davvero competitivo (o quando il misero utente diventa un cliente più esigente e meno facilmente abbacinato da complicazioni tecniche non sempre desiderabili) gli imperi costruiti sulla prepotenza possono franare. Già se nè visto qualche esempio, ma è poca cosa rispetto a ciò che potrebbe accadere.
Qualcosa di simile succede con lelettronica (hardware e software). Macchine e sistemi progettati del punto di vista di chi li fa, non di chi li deve usare. Sdegnosa, prepotente e ostica didattica di alfabetizzazione che vuol condizionare gli utenti alle esigenze della macchina, mentre si dovrebbe fare il contrario. Un falso mercato basato sulla forzata e finta innovazione che conviene a chi vende e non a chi acquista. Sovrastrutture che si autodefiniscono friendly ma dellamicizia hanno solo unambigua apparenza (meglio sarebbe poter gestire più direttamente funzioni meno imbellettate e più efficienti). Tutto il quadro potrebbe migliorare se si pensasse a persone di cui la macchina è un accessorio, non a utenti ridotti ad accessori della macchina.
E inoltre... cito volentieri uno dei miei autori preferiti. Gerry McGovern mette in discussione il concetto di user nei sui interessanti libri sullimportanza del contenuto online (come il recente Content Critical) e anche in un articolo pubblicato il 1° aprile 2002 (ma non è un pesce) Dont call people users in cui spiega:
Utente è un modo di dire e, in ultima analisi, una parola senza senso. Riflette un modo tecno-centrico di pensare alla rete, invece di una prospettiva centrata sulle esigenze umane. Se li chiamiamo lettori, clienti, investitori o collaboratori, mettiamo a fuoco il motivo per cui abbiamo un sito web e gli obiettivi che vogliamo raggiungere.
I nomi che usiamo sono incredibilmente importanti. Quando chiamiamo le persone utenti dellinternet, che cosa vogliamo dire? Assolutamente nulla. Definire luso di uno strumento dà allo strumento un significato. Senza significato non cè definizione di funzioni e intenzioni. È troppo facile, se parliamo di utenti, dimenticare perché siamo in rete.
E conclude:
Insomma, buttiamo via la parola utente. E se non abbiamo un modo migliore di definire le persone, chiamiamole semplicemente persone.
Questo è solo un problema di terminologia? Credo proprio di no. È prima di tutto un modo di pensare e di conseguenza un modo di agire e di comunicare.