timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 71 – 18 giugno 2004

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Alti e bassi del “commercio elettronico”


Da quasi dieci anni sentiamo parlare di un imminente “decollo” del cosiddetto “commercio elettronico”. All’argomento sono stati dedicati fiumi di inchiostro, ponderosi volumi, infiniti convegni, corsi universitari, eccetera.

Nessuna di quelle previsioni si è mai avverata – perché, come altre mitologie di un’immaginaria new economy, contenevano due errori fondamentali. Uno era l’ipotesi che, in conseguenza di una immaginaria “legge di Moore”, ci potesse essere un’evoluzione estremamente veloce. L’altro stava nel credere che nuove soluzioni di vendita e distribuzione potessero spazzare via, o sostituire in larga misura., quelle tradizionali.

Ma alcuni sviluppi ci sono – e non sono irrilevanti. Si riparla di “decollo” in un articolo pubblicato il 15 maggio 2004 dall’Economist. Una rivista abitualmente ben documentata, poco soggetta a entusiasmi infondati – e spesso critica su quella che anni fa aveva definito e-xaggeration. Questa volta, invece, un servizio di copertina è intitolato E-commerce takes off.


e-commerce


L’analisi dell’Economist è riferita soprattutto al mercato americano – che è diverso dagli altri non solo per la sua dimensione, ma anche per le abitudini tradizionali di acquisto. Per vari motivi, fra cui la basa densità di popolazione in una larga parte del territorio, le vendite per corrispondenza erano largamente diffuse negli Stati Uniti molto prima che nascesse l’internet. Anche l’uso delle carte di credito è molto pił diffuso, e da molto più tempo, che in paesi come l’Italia.

Occorre perciò molta prudenza nel trasferire le esperienze americane in altri paesi – specialmente se si ragiona in una prospettiva di pochi anni. Tuttavia ci sono alcune analogie fra ciò che accade in America e gli sviluppi rilevabili in Europa.

Nel 1999, al culmine della “bolla speculativa”, si erano fatte previsioni mirabolanti sullo sviluppo dell’e-commerce. Dopo lo sgonfiamento nel 2000, e il fallimento di molte “dot com”, è prevalsa un’esagerazione contraria: si è pensato a una crisi irrecuperabile, che non c’è mai stata. E si è trascurato il fatto che alcune imprese nate molto prima della “bolla” sono sopravvissute anche dopo – come nei casi “classici” della libreria Amazon e della vendita online di computer Dell.

L’ipotesi, fatta fin dalle origini, sulla nascita di intermediari capaci di stabilire un contatto diretto, e una negoziazione di prezzo, fra venditori e acquirenti si è realizzata in parte con lo sviluppo (imprevisto) delle cosiddette “aste” online – e in particolare di E-Bay, che si stima abbia gestito nel 2003 transazioni per un totale di 24 miliardi di dollari, in svariate categorie di prodotti, fra cui quello più rilevante per quantità di denaro è il commercio di automobili usate.

(Ci sono anche altri sviluppi in rete nel settore automobilistico. Si sta diffondendo la prenotazione online di macchine in affitto. Per l’acquisto di quelle nuove c’è un numero rilevante di persone che si informano si siti web prima di andare dai concessionari).


Uno dei settori in più forte crescita è quello dei viaggi. Ciò è dovuto non solo al desiderio delle persone (o imprese) di acquistare direttamente, ma anche al fatto che le linee aeree (anche in Italia) cercano di togliere di mezzo le agenzie di viaggi per risparmiarne il costo. Ma non si tratta solo di biglietti aerei. Hanno un notevole sviluppo anche le prenotazioni online di alberghi, vacanze organizzate, eccetera.

In molti settori i canali di vendita “tradizionali” non sono, almeno finora, in difficoltà. Per esempio nel 2003 gli acquisti retail online negli Stati Uniti sono saliti a 55 miliardi di dollari: la cifra è grande, ma rappresenta solo l’1,6 per cento delle vendite totali. Anche il successo di Amazon non ha inciso seriamente sulle vendite delle librerie “fisiche”. In altri campi, invece, c’è un rischio reale che le strutture tradizionali siano in declino. Oltre al caso delle agenzie di viaggi c’è quello, per esempio, della musica.


La “pornografia” non è, come molti pensano, la più importante attività commerciale in rete. Si stima che negli Stati Uniti possa avere un giro d’affari di due miliardi di dollari. Una somma importante, ma una percentuale minuscola rispetto al totale delle transazioni online, che (anche nella definizione ristretta di e-commerce come vendite da imprese a persone) superano i 100 miliardi.

Pare che altre attività in rete “solo per adulti”, come il gioco d’azzardo, possano arrivare a sei miliardi di dollari su scala mondiale – con evidenti ed abbondanti spazi per trucchi e imbrogli.

È più difficile valutare il volume delle truffe, ma si tratta di un fenomeno preoccupante, per cui mancano adeguate soluzioni (vedi Spam e scam). Si calcola che i raggiri usati per indurre le persone a rivelare i loro dati finanziari siano costati 1,2 miliardi di dollari a banche e gestori di carte di credito negli Stati Uniti nel 2003. Il costo “incalcolabile” di ogni genere di truffe a persone e imprese, che continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo, è enormemente più grande.


Non tutta l’attività commerciale in rete si traduce in vendite o acquisti online. Naturalmente è diffusa l’abitudine di usare l’internet per infornmarsi prima di andare a comprare nei canali tradizionali. Sono probabilmente esagerate le stime di chi afferma che metà delle persone in Europa con un collegamento alla rete lo usano per orientare le loro scelte. Ma è un fenomeno rilevante, con tendenza a crescere. Gli acquisti “indirettamente” influenzati da attività online hanno una dimensione superiore a quella delle transazioni che si concludono in rete.

Come sempre, è difficile misurare il valore delle attività business to business. Si tratta di un fenomeno di dimensioni importanti, anche se in alcuni settori ha avuto uno sviluppo inferiore al previsto. Per esempio molte imprese preferiscono non aprire “aste” per i loro acquisti ma collaborare con fornitori noti e affidabili. Tuttavia ci sono situazioni in cui i fornitori sono tenuti a passare attraverso uno specifico servizio in rete dell’impresa. Per esempio nel caso di WalMart si tratta di acquisti per 250 miliardi di dollari.


Con tutto il rispetto dovuto a una rivista seria come l’Economist, non si tratta di un “decollo” – cioè di un drastico cambiamento da una situazione quasi statica a un “volo”. C’è un’evoluzione graduale – e, in alcune aree, veloce – che era iniziata molto prima della fase di clamorose esagerazioni ed è continuata, con silenziosa concretezza, durante il periodo delle conseguenti delusioni.

Tre fatti emergono con molta chiarezza.

  • Gli usi commerciali, o comunque per finalità d’impresa, dell’internet o di altri sistemi di networking esistono, con tendenza a crescere – e, se ben concepiti e sviluppati, hanno una reale utilità.


  • La crescita non è, e non poteva essere, così facile e veloce come la immaginavano i sognatori degli sviluppi “esponenziali” – ma può essere tutt’altro che lenta se asseconda con impegno, attenzione, cura e qualità di servizio la naturale evoluzione delle relazioni.


  • Le tecnologie funzionano quando sono poste al servizio di reali esigenze e relazioni umane e di un processo organizzativo funzionale e coerente (vedi La stupidità delle tecnologie).

Si conferma, ancora una volta, che la chiave del successo è il servizio. Cioè la capacità di individuare esigenze reali, di fornire soluzioni eficaci e di coltivare relazioni che costruiscano un rapporto di reciproca fiducia.


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loghino.gif (1071 byte) 2. Cresce poco la pubblicità (online e non)


Nel numero 67 di questa rubrica (dicembre 2002) avevamo constatato come gli investimenti pubblicitari in Italia nel 2001 e nel 2002 fossero notevolmente più bassi di quanto avevano previsto gli operatori del settore. Secondo i dati presentati da da Intermatrix-Astra-Upa nell'aprile 2004 c’è stata una leggera ripresa nel 2003, ma il totale è rimasto al di sotto di quello che si era raggiunto nel 2000.

L’andamento negli ultimi cinque anni è riassunto in questa tabella.


Investimenti pubblicitari in Italia
1999-2003

(milioni di euro)

  1999 2000 2001 2002 2003
Televisione 3.837 4.047 4.139 4.150 4.335
Stampa 2.698 3.304 3.086 2.874 2.864
Esterna 598 688 915 669 687
Radio 431 499 458 440 470
Cinema 48 54 69 60 75
Totale * 8.303 9.354 9.389 8.893 9.155
Internet 25 73 44 88 93

* Mezzi pubblicitari “classici” compresi i costi di produzione


Nel 2003 rispetto al 2000 il totale dei “mezzi classici” è diminuito del 2 %. La televisione è cresciuta del 7 % mentre la stampa è diminuita del 33 %. La pubblicità esterna è allo stesso livello del 2000, la radio è diminuita del 6 %. In dimensioni molto piccole rispetto al totale il cinema è cresciuto del 39 % e la pubblicità nell’internet del 27 %.
 

Continua a confermarsi un predominio della televisione in Italia molto più forte che nella maggior parte dei paesi europei. È l’unico settore in costante crescita nonostante varie fasi di “crisi” della pubblicità e, in generale, della comuniazione d’impresa.

La stampa è in costante diminuzione dopo il 2000 (anche se il cedimento è meno accentuato nel 2003). Un aumento “anomalo” della pubblicità esterna nel 2001 era dovuto prevalentemente alle campagne elettorali (qualcosa di simile potrebbe ripetersi nel 2004) con un andamento più statico nel 2002-2003 (ma non in diminuzione rispetto al 2000). La radio appare in ripresa nel 2003 (ma ancora sotto il livello del 2000) mentre “nel suo piccolo” risulta di nuovo in aumento la pubblicità nelle sale cinematografiche.

Sembra in crescita (sempre in un ambito molto piccolo rispetto alle spese totali in comunicazione d'impresa) anche la pubblicità su siti web – ritorneremo su questo tema poco più avanti.

Può essere utile osservare questo andamento anche in un grafico.


Investimenti pubblicitari in Italia
1998-2003

(miloni di euro)

pubblicita
 
Il tracciato “pallido” per il totale, nella parte alta del grafico,
rappresenta la tendenza come era stata prevista all’inizio del 2001


Le attuali previsioni indicano per il 2004-2005 una crescita analoga a quella del 2003 rispetto al 2002, con un più forte aumento nel 2006. Se queste previsioni si avverassero si ritornerebbe nel 2004 al livello del 2000 e nel 2006 si arriverebbe a quei 10 miliardi di euro che le precedenti proiezioni ritenevano raggiungibili nel 2001.

La prossima tabella riassume la situazione per settori merceologici in base ai dati Nielsen per l’anno 2003 (sono qui elencate le cetegorie con una presenza superiore al 2 % del totale).

Investimenti pubblicitari in Italia
per settore merceologico – 2003

(percentuali sul totale)

Alimentari e bevande 25,3
Automobili 11,8
Cura persona e “toiletries” 9,4
Telecomunicazioni 8,2
Abbigliamento 6,3
Editoria e “media” 6,2
Gestione casa 4,1
Abitazione 3,8
Distribuzione 3,5
Finanza e asicurazioni 3,4
Farmaceutici e sanitari 2,9
Turismo e viaggi 2,3
Oggetti personali 2,1

Come vediamo, hanno ripreso il predominio le categorie “tradizionali”, con una forte presenza del settore alimentare. I classici “prodotti di largo consumo” sono circa il 40 % del totale. Fra le categorie “nuove” ha una presenza rilevante solo quella delle telecomunicazioni (che significa prevalentemente telefonia – in particolare cellulari). I prodotti e servizi di “alta tecnologia”, che nel 1999-2000 sembravano avere il maggior potenziale di sviluppo, ora hanno una presenza molto ridotta: sommando i settori “informatica e fotografia” e “audio-video” si supera di poco il 2 % degli investimenti pubblicitari in Italia.

(Va ricordato che nel periodo della “bolla speculativa” vistosi investimenti pubblicitari, in Italia come in altri paesi, intesi a gonfiare i finanziamenti e le quotazioni di borsa più che a ottenere affermazioni sul mercato, contribuirono ad accelerare la catastrofe).




Per quanto riguarda l’internet, la pubblicità su siti web sembra arrivata nel 2003 all’uno per cento rispetto ai “mezzi classici” (0,6 % sul totale della comunicazione d’impresa). Occorre, come sempre, tener conto del fatto che circa la metà delle cifre indicate riguarda “partite di giro” e non investimenti dall’esterno del settore. Perciò una stima realistica si colloca a circa 0,5 % dei “mezzi classici” e 0,3 % della comunicazione d’impresa. Enormemente meno di quanto si immaginava qualche anno fa, ma un po’ più di ciò che indicavano proiezioni più recenti, come vediamo nel prossimo grafico.


Pubblicità online in Italia
1999-2003

(milioni di euro)

internet
 
Il tracciato verde rappresenta le previsioni
che erano state diffuse all’inizio del 2001.
Quello rosso mostra la proiezione
ridefinita dalla stessa fonte nel 2002.
 

Sembra che ci sia una modesta, quanto imprevista, crescita nel 2002-2003. Si conferma, comunque, che la pubblicità su siti web è una parte molto piccola degli investimenti delle imprese in attività online – che, nel loro complesso, hanno dimensioni molto più ampie e una crescita non facilmente misurabile, ma notevolmente più forte di ciò che risulta dai dati sulla pubblicità.

Il prossimo grafico confronta l’andamento della pubblicità con lo sviluppo complessivo dell’attività online in Italia.

Host internet e pubblicità online in Italia
1999 = 100

internet
 
I numeri di hoscount sono disponibili dal 1990
ma non ci sono informazioni signifivative
sulla pubblicità online in Italia prima del 1999.
 

Naturalmente non tutte le presenze online sono riconducibili ad attività delle imprese. Ma è evidente che lo sviluppo dell’Italia nell’internet (vedi i dati europei e internazionali) è molto più ampio e più dinamico di ciò che si può misurare valutando solo le spese pubblicitarie.

Un altrro confronto si può fare rispetto alla crescita del numero di persone in Italia che si collegano all’internet, come vediamo nel prossimo grafico.

Persone che si collegano all’internet
e pubblicità online in Italia

1999 = 100

internet

Per analisi più dettagliate sull’uso dell’internet vedi dati italiani. Finora le valutazioni sulla pubblicità online sono troppo incerte, e l’andamento troppo discontinuo, perché se ne possano trarre deduzioni significative. Ma non sarebbe irragionevole immaghinare che si possa andare verso una coerenza fra la crescita del numero di persone che si collegano all’internet e le spese in pubblicità intesa a raggiungerle.

Comunque si conferma ciò che, fin dall’inizio, è stato osservato in queste pagine. La pubblicità è solo una piccola parte delle attività online e non è la forma più rilevante di investimento delle imprese in rete.

Precedenti osservazioni su questo argomento si trovano nei numeri 6, 16, 44, 56, 57, 60, 64 e 67 del Mercante in rete.


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loghino.gif (1071 byte) 3. L’equivoco della “bolla”


Circolano ancora interpretazioni equivoche sulla “bolla speculativa” che raggiunse il massimo di espansione nel 1999-2000 per poi sgonfiarsi. Il fenomeno è generalmente interpretato come una conseguenza delle esagerate mitologie sulla cosiddetta new economy e dei successivi fallimenti. Ma c’è una confusione di causa ed effetto.

Fenomeni di avventurismo speculativo, accompagnati da attività truffaldine, c’erano stati anche in altri periodi (vedi I “baroni ladroni” – ottobre 2000). Ma negli ultimi due decenni del ventesimo secolo si era instaurata una nuova fase, con la “finanza selvaggia” in borsa e con il crescente predominio della speculazione finanziaria nella gestione delle imprese. L’imperversare di fusioni, concentrazioni, “scalate” e manovre di ogni specie, con produzione di junk bond e altre manipolazioni, aveva causato profonde deformazioni molto prima che su queste basi si instaurassero le frettolose e ambigue manovre del venture capital su un immaginario Eldorado delle “nuove tecnologie”. (Vedi La gatta frettolosa fa i gattini ricchi? – gennaio 2000).

Si è visto poi, con casi clamorosi come Enron e Andersen, o in Italia Parmalat e Cirio, che forme perniciose di infezione speculativa avevano colpito imprese di tutt’altro genere. Non si tratta di fatti nuovi, né di casi isolati, ma di fenomeni estesi in corso da parecchi anni.

Quando, dopo il 2000, crollò il mito delle frenetiche avventure e dei facili guadagni, ci fu una curiosa e perniciosa deformazione. Si pensò che ci fosse una “crisi dell’internet” (vedi La “crisi” che non c’è – novembre 2001) mentre i profeti dell’economia, sostenuti dalle banche e da gran parte del sistema informativo, si scatenavano nell’elogio delle speculazioni finanziarie, compreso il trading online, con quelle disastrose conseguenze che oggi sono fin troppo evidenti.

Contemporaneamente (e questa è tutt’altro che una coincidenza) c’è stato in molti settori un preoccupante degrado dei sistemi di qualità, di servizio e di relazione (vedi Il (tentato) suicidio del marketing).

Con molti anni di colpevole ritardo si comincia a capire che solo un ritorno all’economia reale e a durevoli valori d’impresa può sostenere un solido sviluppo. Online, offline o con una efficace combinazione di diverse risorse.


 

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