News
letterIl Mercante in Rete
available also in English |
Se lignoto autore ellenistico della Batracomiomachia vivesse oggi, forse
potrebbe divertirci tutti con un poemetto eroicomico sul tema della
"pubblicità" in rete. Avevo già scritto
qualche tempo fa a proposito dei curiosi scenari che nascono dallimpegno di grosse
concessionarie nella vendita di banner. Come spesso accade, la realtà supera
limmaginazione. Mi dispiace di dovermi trincerare dietro la stucchevole scappatoia
("non posso citare le mie fonti") troppo spesso usata dai giornalisti... ma so
per certo che ci sono personaggi "importanti" che si presentano in grosse
imprese dicendo "lei non deve più fare pubblicità in televisione e sui giornali
perché saranno soppiantati dalla rete". Tanto è vero che, come vedremo più avanti, venditori di pubblicità tradizionale stanno
passando alla controffensiva. Intanto il 4 marzo lUPA (lassociazione dei grandi utenti di pubblicità) ha presentato lannuale analisi sul "futuro della pubblicità" in Italia, basata su studi di Astra-Intermatrix e Nielsen. Dopo la "crisi" del 1993-95 e le constatazioni di debolezza, cui ho accennato nel numero 5 di questa rubrica, cè un po più di ottimismo; si parla di ripresa degli investimenti pubblicitari in Italia Questi sono i dati e le previsioni (in miliardi di lire):
In tutto il volume distribuito dopo questa presentazione (160 pagine) la parola "internet" compare tre volte. La prima, con questa un po distratta e superficiale annotazione: ... il ritardo dellaffermazione dei new-media rientranti nei mezzi classici, come la televisione digitale, o di quelli, come Internet, di più immediato sviluppo nellambito delle forme dellarea allargata (il direct response su tutti...) che in quello del media advertising (i banner...) ... Le altre due volte, solo come vaga citazione della possibilità di usare "indirizzi internet" nellambito di banali e tradizionali operazioni di direct marketing. Il sintomo è chiaro: i grandi utenti e gli analisti che lavorano per loro non pensano neppure remotamente che la rete possa essere un mezzo "pubblicitario" rilevante, né oggi, né fra due o tre anni. E, secondo me, hanno ragione. (Chi legge questa rubrica sa qual è la mia opinione: il marketing in rete esiste ed esisterà, ma è e sarà tanto più efficace quanto meno somiglia alla "pubblicità" tradizionale). Il fatto preoccupante è un altro. Come risulta anche da ricerche specifiche, le grandi imprese non hanno capito che cosa sia la rete e a che cosa possa servire. Tuttal più lo considerano uno strumento fra tanti per la comunicazione direct response; una disciplina che in Italia ha scarso sviluppo e che sta attraversando unulteriore fase di crisi per varie ragioni, comprese le complessità burocratiche e formali della farraginosa legge sulla tutela dei dati personali. Le piccole imprese? Men che meno. Purtroppo non è ancora completa lanalisi, quindi non si possono pubblicare i risultati di una recente ricerca commissionata dallUnione Europea sullattività in rete delle "piccole e medie imprese" in Italia. Ma ecco alcune "prime impressioni". Si sono verificate le presenze di siti web in cui vengono offerti prodotti o servizi, in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e nelle tre regioni venete. In questarea, che comprende il 40 per cento della popolazione italiana, si sono identificate 117 imprese "presenti in rete". Se ne può facilmente dedurre che se la ricerca fosse stata estesa su scala nazionale non avrebbe potuto identificare più di 300 presenze. Un numero estremamente piccolo rispetto ai tre milioni di imprese "piccole e medie" rilevati dallIstat. Delle 117 presenze rilevate solo 47 risultano "disponibili": 33 imprese non rintracciabili, 37 non disponibili al dialogo in rete. Il 60 per cento dei casi identificati sembra appartenere alla diffusa categoria di chi ha "messo su un sito" come semplice atto di presenza ma poi lha lasciato in abbandono. Fra le (poche) imprese che hanno risposto a un questionario, l80% dichiara che il fatturato in rete rappresenta meno dell1 % del totale; e anche le aspettative per il futuro non sono brillanti. Quasi nessuna (comprese le pochissime che hanno ottenuto risultati concreti) ha fatto "pubblicità" in rete; nessuna ha usato altri mezzi pubblicitari per far conoscere il suo sito. Ci sono altri fenomeni curiosi. Per esempio, pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio e-mail da un neo laureato, che mi aveva chiesto consigli per la sua tesi. Dice: Sa, mi sono laureato il 16 marzo 1998 presso la facoltà di economia dellUniversità di Verona con una tesi di marketing su Internet. Adesso sono alla ricerca di lavoro. Mi piacerebbe tanto lavorare in unazienda che si occupa di marketing sul web. Qui a Verona purtroppo simili aziende non esistono. Pensi che cosa mi ha risposto il dirigente di unazienda veronese quando gli ho parlato di Internet. Mi ha detto: "Ah, Internet è un mare di immondizia!" Ci sono un po rimasto male. (Ho cambiato data e città, perché questo è un messaggio personale e non voglio tradire la privacy di chi mi ha scritto; ma la sostanza è quella). Un caso isolato? Tuttaltro. Ormai è diffusa la constatazione che pullulano le tesi di laurea sulla rete, ma quasi sempre gli studenti sono privi di guida, perché i docenti ne sanno meno di loro e sono un po disperati nella ricerca di dati e informazioni significative. Quando si tratta di marketing, il tema è quasi sempre banalizzato ("commercio elettronico") e quasi sempre gli studenti non hanno altra scelta che far riferimento al mercato americano, senza tener conto delle profonde e crescenti differenze fra la nostra situazione e quella doltre oceano. E quando poi, dopo la laurea, cercano lavoro... La diffidenza delle imprese è più che giustificata. Come ho scritto in un articolo di prossima pubblicazione, spesso si sentono offrire lequivalente di un biglietto ferroviario per Marte. Molte, saggiamente, si rifiutano di comprarlo; ma il risultato è che la loro opinione della rete tende a somigliare a quella dellinnominato imprenditore che ha così brutalmente deluso il giovane laureato. Alcune si lasciano tentare, per poi pentirsi amaramente di un "incauto acquisto". Insomma la barriera di "smog culturale" che impedisce una visione chiara dei problemi e delle possibilità comincia a dissiparsi, ma cè ancora chi insiste ad alzare il "polverone". Intanto, sta cominciando una "bagarre" pubblicitaria (sui mezzi tradizionali)
per le connessioni in rete. Parte allattacco la Telecom, che ha la dichiarata
intenzione di dominare il settore, e già vediamo qualche reazione dei suoi concorrenti.
Non credo che assisteremo a una battaglia di dimensioni paragonabili a quella della
telefonia, dove nel 1997 si sono spesi 200 miliardi nei mezzi tradizionali (di cui più di
120 per i telefoni cellulari); ma immagino che ci sarà un dispiego di mezzi e di risorse
molto superiore a quanto abbiamo visto finora. Ne capiremo di più man mano che il
fenomeno si evolve, ma
Ma...
La qualità del risultato non dipenderà da chi "promuove" gli accessi. Dipenderà dalle scelte individuali che faranno le persone in rete e dalla qualità dei contenuti che sapremo offrire. |
Le variazioni in un mese non sono significative; ma può essere interessante notare
che dopo una diminuzione del numero di host
internet in Italia alla fine del 1997 e allinizio di questanno i dati di fine
febbraio, pubblicati da RIPE
il 10 marzo, mostrano un incremento del 7 %. Sembra che la diminuzione registrata nei mesi
precedenti fosse dovuta, almeno in parte, a un incidente tecnico: il malfunzionamento di
due "importanti" nameserver italiani. Ma anche se non teniamo conto delle oscillazioni di breve periodo il numero di host italiani risulta tuttora inferiore al livello di ottobre-novembre dellanno scorso; la percentuale rispetto al totale europeo, che fra marzo e novembre 1997 era al di sopra del 5 per cento, oggi è al 4,4. Unennesima conferma della nostra arretratezza, che risulta evidente da questo confronto: LItalia ha il 10-11 % dei telefoni e dei televisori in Europa, il 12 % del prodotto interno lordo, il 14 % delle automobili, oltre il 16 % dei telefoni cellulari, poco più del 4 % della rete. Dovremmo almeno triplicare la nostra presenza per essere "in linea" con il nostro ruolo, come cultura e come economia, in Europa e nel mondo. Senza entrare in dettagli tecnici, mi fa piacere constatare che luso del hostcount come strumento di valutazione, abituale in questa rubrica da più di un anno, sia confermato da fonti autorevoli (compresa la relazione del Prof. Maurizio Decina al convegno Internet di Repubblica-Somedia del 12 marzo) come la misura più affidabile e verificabile dellattività in rete (nonostante gli "incidenti tecnici" di breve periodo come quello che ho appena citato). Questa è la situazione di alcuni paesi europei se confrontiamo i dati più recenti con quelli di tre mesi prima: Host Internet in 18 paesi (Europa e Mediterraneo) (18 paesi con più di 50.000 host su 52 paesi nellarea RIPE Réseaux IP Européens)
Nessun mutamento sostanziale nel quadro; Germania e Gran Bretagna hanno ancora il 40 % della rete in Europa e i paesi scandinavi mantengono il loro primato (la Norvegia si avvicina alla Finlandia, che diminuisce in questo periodo ma rimane al più alto livello mondiale). Forti, come sempre, la Svizzera e lOlanda; in aumento il Belgio. La Francia comincia a dare segni di crescita, probabilmente dovuta allinizio di uno spostamento di attività dal minitel allinternet. Fra gli altri paesi dellEuropa mediterranea, modesta crescita del Portogallo (+ 3 %) che ha una densità di 4,4 host per 1000 abitanti, poco inferiore a quella italiana; statica e arretrata la Grecia (densità 2,5). La vicina Slovenia cresce relativamente poco (5,5 %) ma ha una densità molto superiore alla nostra (10,1). LUcraina cresce del 22 %, tuttavia meno dinamica della Russia e con una densità molto bassa (0,3). LEgitto cresce del 47 % in tre mesi, ma sempre su basi molto piccole (densità 0,04 host per 1000 abitanti). La Turchia del 18 % (densità 0,6). |
Confesso che mi occupo malvolentieri della vexata quaestio di quanti siano gli
"utenti" internet in Italia, per quattro motivi:
Tuttavia... sto continuando a cercare di approfondire largomento, anche con lincrocio di dati provenienti da ricerche diverse; lanalisi è complessa, ma spero di poter pubblicare qualche risultato un po meno vago in un prossimo numero di questa rubrica. Intanto, ecco alcuni segnali che mi sembrano interessanti. Secondo una ricerca di Eurisko, il numero di persone che si collegano alla rete (o "dicono" di farlo, che non è la stessa cosa) è aumentato di circa il 30 per cento fra il novembre 1996 e il giugno 1997 ma molto meno (circa il 7 percento) nel semestre successivo. In complesso mi sembra credibile che ci sia stato un incremento del 40 per cento in un anno. Laumento è venuto soprattutto dalla diffusione della rete in casa, che è cresciuta del 70%, mentre luso "al lavoro", cioè in ufficio, ha avuto un aumento relativamente più basso, circa 20%. Oggi su 100 persone che si collegano alla rete 65 lo fanno dal lavoro e 45 da casa (cioè circa un utente su 10 si collega da casa e anche dal lavoro). Quanti sono? Come ho premesso, non ho ancora approfondito abbastanza lanalisi... ma credo sia ragionevole pensare (se usiamo una definizione "estesa" di "utente") a circa 800.000 persone, di cui meno di 400.000 si collegano da casa e probabilmente più di 700.000 hanno un collegamento sul luogo di lavoro, ma in larga misura utilizzato solo su reti "interne" aziendali. È quasi impossibile valutare con buona approssimazione il numero dei "navigatori abituali" che frequentano con una certa regolarità la rete, ma secondo me chi stima che siano circa 100.000 non è lontano dalla realtà. Un numero piccolo, rispetto alle stime mirabolanti che circolano; ma un aumento notevole rispetto a due o tre anni fa. Non mi fido mai nelle profezie... ma tutto lascia pensare che questanno luso della rete in Italia si stia diffondendo più velocemente. Basta guardarsi intorno... oggi accade un po più spesso che una persona, finora poco interessata allidea di collegarsi, ci dica "senti, ci sto pensando, secondo te come devo fare?" oppure che ci arrivi, del tutto imprevisto, un messaggio e-mail da un amico: "eccomi! sono in rete anchio". Credo che un aumento del 50 per cento nel 1998 non sia unipotesi esagerata; il che, anche con un calcolo prudenziale, ci porta a oltre un milione di "utenti" prima della fine dellanno. Siamo sempre molto lontani dai livelli di crescita che occorrerebbero per portarci a un livello "europeo", ma tutto fa pensare che la diffusione dellinternet in Italia stia davvero cominciando a crescere. Questa tendenza, come abbiamo visto, potrebbe essere accelerata dallimminente battaglia competitiva per la vendita di connessioni. Grazie alla già citata Eurisko, ecco alcuni dati, che mi sembrano interessanti, sulla suddivisione degli utenti internet (in senso lato) secondo cinque criteri demografici. Vediamo una forte concentrazione nel Nord-Ovest e una certa debolezza nel Sud, ma nonostante i forti squilibri la situazione mi sembra meno "drammatica" di quanto possa apparire da questo grafico. Ci sono segni di interessante vitalità in rete sparsi in tutto il territorio, compreso il Sud e le Isole. Si tratta, per ora, di nuclei relativamente piccoli, ma se la rete cominciasse a raggiungere fasce di popolazione più estese queste risorse culturali potrebbero rivelarsi preziose. Il mitico "nord est" appare debole; in quellarea luso della rete "dal lavoro" (15,6 % sul totale Italia) è leggermente più basso che "da casa" (16,4 %), mentre nel Nord-Ovest è più diffuso luso dal luogo di lavoro (46,6 %). Nel Centro i due dati sono simili. Al Sud e nelle Isole è un po più diffuso luso "domestico" (23,7 %); questultimo dato, se la tendenza si confermasse, potrebbe rivelarsi interessante. Anche da altri segnali risulta ancora estremamente debole la presenza in rete delle "piccole e medie imprese" italiane; e questo è uno degli elementi più preoccupanti di tutta la situazione. Per dimensione dei centri abitati, il quadro è questo: La concentrazione nei "grandi centri", abbastanza ovvia e prevedibile, è tuttavia un altro sintomo di "sottosviluppo". È interessante tuttavia constatare che luso "da casa" è un po più alto nei centri con meno di 10.000 abitanti (21,2 %) e nettamente più basso nelle grandi città (26,4 %). Questo è il quadro per fasce di età: La scarsa presenza in rete di persone oltre i 55 anni è comprensibile, ma questo è uno dei fenomeni che meriterebbero attenzione. Sono proprio le persone che si trovano in situazioni di isolamento, come spesso accade agli anziani, che potrebbero avere un particolare vantaggio dalluso della rete. Allaltro estremo della scala di età, la presenza dei giovani sullinternet è solo leggermente più alta rispetto alla popolazione; questo riflette non solo una carenza della scuola, ma anche un inadeguato impegno delle famiglie. Uno dei rischi gravi è che le nuove generazioni (allinfuori di quei "privilegiati" che crescono in famiglie più acculturate e attente) restino tagliate fuori dalla cultura del mondo e dalla possibilità di trovare lavoro. Ecco lanalisi per "titolo di studio":
Nulla di sorprendente... ma si conferma che siamo molto lontani da quella diffusione "popolare" della rete che, come abbiamo visto, sta cominciando a realizzarsi negli Stati Uniti. Un altro significato di questo dato è che i frequentatori della rete sono persone più attente ed esigenti del "pubblico medio". Non credo che il "livello scolastico" sia un indice di valore assoluto; tutti conosciamo persone laureate che vivono in un abisso di ignoranza e persone di straordinaria cultura che hanno completato poco più della scuola dellobbligo. Ma è abbastanza evidente che le persone in rete sono più impegnate e più attente della media; spesso hanno poco tempo da sprecare e perdono facilmente la pazienza. Non sono clienti "facili", possono essere molto severi: chi vuol fare marketing in rete deve trattarli con molto rispetto e saper soddisfare le loro esigenze. Per livello di reddito, queste sono le percentuali: Anche qui, nulla di sorprendente. Ma cè un fatto, secondo me, importante: la barriera che tiene lontane dalla rete le fasce di reddito medio-basse (fra cui molti, giovani e non, che potrebbero servirsi della rete per migliorare le loro possibilità di trovare lavoro o di migliorare la loro condizione) non è solo economica: è soprattutto culturale. Una delle "rivoluzioni" necessarie sta nel capire che per collegarsi allinternet non è necessario avere attrezzature costose, né particolari competenze tecniche; e che ciò che oggi sembra "il giocattolo dei ricchi" può diventare uno strumento di recupero sociale ed economico per le categorie più deboli ed emarginate. |
Mi sembra chiaro, anche se non ancora diffusamente percepito, che il cosiddetto
"commercio elettronico" non è lunica attività di marketing che si può
svolgere in rete e che ci sono molti altri modi
per usare con successo le nuove tecnologie di comunicazione. Altrettanto chiaro, e ormai percezione abbastanza diffusa, è che questo tipo di attività commerciale non solo non "decolla" in Italia ma è quasi inesistente. Sembra meno diffusa, ma dovrà necessariamente farsi strada, la comprensione del fatto che non si tratta solo di un "ritardo" nello sviluppo della rete in Italia, ma di profonde differenze strutturali rispetto al mercato americano e ad altri paesi in cui le vendite mail order (cioè su catalogo o comunque per posta) e in generale il direct marketing hanno una diffusione enormemente più ampia che da noi. Questa è una partita definitivamente perduta? Ci troviamo davanti a ostacoli insormontabili? Credo di no. Ma anche in questo caso mi sembra necessaria una piccola rivoluzione copernicana, per partire dalla constatazione della realtà e costruire su basi che non siano troppo fragili. Credo che si debba, prima di tutto, pensare al comportamento di chi si collega in rete. Dopo una possibile fase iniziale, in cui la curiosità per il "nuovo giocattolo" e la voglia di sperimentare possono portare a una "navigazione" fine a se stessa, i comportamenti si assestano: ognuno trova il "suo" utilizzo della rete. Per alcuni può essere prevalente luso della posta elettronica, per altri la partecipazione a gruppi di discussione, per altri ancora la ricerca su argomenti specifici o la visita abituale ad alcuni siti dove trovano informazioni interessanti per il lavoro, lo studio, interessi culturali o divertimento personale. Insomma ognuno si costruisce la "sua" rete e tende a chiudersi in un sistema di abitudini. Nessuna di queste, salvo rare eccezioni, è la ricerca o lacquisto di prodotti e servizi (fra le poche eccezioni immaginabili ci può essere la visita periodica a una grande libreria internazionale online per vedere se ci sono novità interessanti). Ma il comportamento potrebbe cambiare se ce ne fosse un motivo. Se chiunque di noi scoprisse che cè unofferta attraente in rete, per qualcosa cui è specificamente interessato, potrebbe essere indotto ad accendere computer e modem per il solo motivo di verificare quellofferta. Non è bizzarro immaginare che anche chi non ha un accesso internet chieda a un collega di lavoro, o a un amico personale, di aiutarlo nella ricerca. Che cosa può rendere unofferta così interessante da indurre una persona a cambiare abitudini? Ovviamente, il prezzo. Per fare un solo esempio fra tanti, cè chi compra cd musicali negli Stati Uniti perché li trova a un prezzo più basso (spedizione compresa) che in qualsiasi negozio in Italia. Ma anche cose meno banali. Ci possono essere prodotti o servizi che non si trovano facilmente da un rivenditore vicino a casa. Ci possono essere possibilità di verifica e di confronto che si fanno molto più rapidamente e facilmente in rete che girando per negozi. Ci possono essere valori di qualità e servizio, basati su un uso intelligente della comunicazione interattiva, che rendono lofferta in rete più attraente. Anche pochi "pionieri" intelligenti e coraggiosi porrebbero aprire la strada per molti altri. Perché se un comportamento dà risultati soddisfacenti fa nascere la disponibilità a riprovare. Chi e come? Solo lesperienza concreta lo potrà dire. Ma prima di parlare dei settori che potrebbero fare da "apripista" vorrei accennare a tre fattori che, se ben capiti e coltivati, potrebbero modificare in modo interessante latteggiamento delle persone che hanno un collegamento allinternet.
Vediamo ora laspetto più difficile, a prima vista quasi impossibile: il "commercio elettronico" dallItalia e per lItalia. Alcuni settori merceologici possono prestarsi, prima di altri, alla vendita online; e fare da "apripista" per tutti. Per esempio: Software È lesempio più ovvio, ma non per questo irrilevante. Non si tratta solo della ricerca di software gratuito o di shareware, cui ho già accennato (e che comunque è una delle nozioni generali che sarebbe utile diffondere). Si tratta anche della vendita di programmi più o meno specializzati. Naturalmente cè già offerta di software in rete, ma può crescere molto in qualità e quantità. Hardware Cè chi vende in rete computer e accessori, anche in Italia. Alcune imprese, benché quasi sconosciute al "grande pubblico", stanno crescendo e guadagnano bene. Ma cè ancora un grande spazio per estendere questo settore, migliorare la qualità di servizio e soprattutto farlo conoscere. Libri Ho già analizzato lipotesi, secondo me realistica, di una grande libreria italiana in rete. Musica Sembra che molti ci stiano pensando, ma per ora sono iniziative di respiro limitato. Anche in questo settore ci sono ovvie e grandi possibilità Servizi Una categoria molto estesa, che andrebbe definita in modo più preciso, ma che certamente offre grosse possibilità. Viaggi, alberghi, turismo, aggiornamento professionale... e tanti altri settori... alcune iniziative ci sono, ma per ora un po disperse. Un esempio interessante è quello della Camera di Commercio di Milano (credo anche altre) che offre un ottimo servizio ai commercialisti: semplificazione delle procedure, risparmio di tempo e di denaro. Qui si apre un discorso lungo e complesso, che forse riprenderemo fra qualche tempo, per il settore bancario e assicurativo, dove molti ostacoli restano ancora da superare, soprattutto nella mentalità e nei metodi delle nostre istituzioni finanziarie. Business-to-business Anche questo è un settore ovvio, che richiederebbe un approfondimento; ma non è facile. Forse ci sono già oggi più casi di successo di quanti si conoscano, che per vari motivi non vogliono far troppo parlare di sé (molti sono gelosi delle loro conoscenze: forse troppo preoccupati di rivelare "segreti" la concorrenza, comunque più interessati a mantenere i loro privilegi che a diffondere cultura del marketing interattivo). Ma sono, in generale, il puro e semplice trasferimento online di attività che già si svolgevano per telefono o per fax. Qualcuno ci sorprenderà La realtà supera sempre limmaginazione. Possiamo ragionare "a tavolino" quanto vogliamo, ma certamente succederà qualcosa che nessuno oggi prevede. Capire queste esplorazioni inaspettate e trarne insegnamento sarà, credo, uno dei compiti più importanti per chi desidera sviluppare una cultura sullefficace utilizzo della rete. Insomma se insisto, come mi sembra necessario, sul grave "sottosviluppo" della rete in Italia e sulla necessità di sgombrare il terreno da ipotesi irrealizzabili, non è perché penso che nulla si possa fare. Al contrario, sono convinto che solo partendo da una constatazione della realtà si possa costruire davvero. In un modo o nellaltro, nuovi "utenti" stanno arrivando e arriveranno in rete. Siamo pronti ad accoglierli, a dare servizi veramente utili, ad aiutarli a trovare un orientamento, a offrire qualcosa che sia davvero interessante per loro? Temo di no. La scarsità della domanda dipende soprattutto dallimmaturità dellofferta. Non è solo un problema italiano. Uno studio della Shelley Taylor & Associates pubblicato dallEconomist il 4 marzo rileva che solo tre imprese, su cento che hanno un sito web, sanno gestire la loro comunicazione online in modo interessante per i visitatori. Insomma nel mondo la confusione e linesperienza continuano a dominare la comunicazione in rete. Ci sono occasioni molto interessanti per chi sa la saprà usare meglio. Ci saranno sempre; ma soprattutto in questa fase iniziale, in cui il disorientamento prevale e le offerte di autentica qualità sono ancora poche. Come sempre, in ogni settore ma specialmente nei fenomeni nuovi e inesplorati, le vere forze traenti saranno gli innovatori concreti, le singole imprese che sapranno trovare una formula di successo, gli "apripista" che faranno nascere e crescere il mercato. I migliori, cioè tutti coloro che hanno cominciato a costruire un capitale di competenza pratica, non dovrebbero essere troppo egoisti. Ognuno può guadagnare di più dalla comunità delle conoscenze che da uno sterile isolamento. Più ci sarà apertura, più le esperienze saranno condivise, meglio sarà per tutti. |