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letterIl Mercante in Rete
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Di quanto l'Italia sia arretrata in tutto ciò che riguarda la rete, in questa rubrica
si è già parlato molte volte; ed è una nozione diffusa fra coloro che hanno una seria
conoscenza della situazione. È meno noto, probabilmente, il fatto che l'Italia è in una
posizione molto arretrata anche per quanto riguarda gli investimenti pubblicitari in
generale. Da una semplice analisi dei dati è facile
dedurre che l'Italia (che fa parte del "G7", quindi è considerata uno dei sette
o otto paesi economicamente più avanzati) è al 25° posto nel mondo per investimenti
pubblicitari pro-capite e al 39° come percentuale sul P.I.L. - e probabilmente perderà
ancora quota nei prossimi anni, specialmente per la crescita della pubblicità in alcuni
paesi dell'Asia. Questo può sembrare strano a chi osserva l'affollamento di pubblicità, specialmente in televisione; ma occorre ricordare che in Italia c'è ancora uno squilibrio fra i mezzi: da noi la televisione assorbe il 55% degli investimenti pubblicitari, rispetto (per esempio) al 38% negli Stati Uniti, 33% in Francia, 32% in Gran Bretagna, 21% in Germania. Inoltre molti mezzi in Italia sono ancora troppo "generalisti"; e una feroce concorrenza sui prezzi offre (specialmente ai grandi utenti) sconti molto rilevanti, che portano ad affollamenti elevati con investimenti relativamente bassi. Mi ha gradevolmente sorpreso il fatto che di questa situazione abbia finalmente preso
atto, con molta più chiarezza che in passato, la comunità delle imprese che investono in
pubblicità. Per esempio nella recente assemblea dell'UPA (Utenti Pubblicità Associati),
che si è svolta il 4 giugno, il presidente Giulio Malgara ha rilevato che, "dopo
una lunga recessione che ha avuto le sue punte più acute negli anni dal '92 al '94"
gli investimenti pubblicitari in Italia cominciano a dare segni di ripresa; ma ha
osservato:
Insomma rispetto a paesi con economie concorrenti alla nostra siamo "l'ultima ruota del carro"; e i "tempi facili" (o apparentemente tali) sono finiti per tutti. Occorrerà un serio impegno qualitativo e professionale per recuperare il terreno perduto. Qualche lettore potrà stupirsi che io trovi gradevole ascoltare queste constatazioni, che purtroppo riflettono uno scarso dinamismo e una debole capacità competitiva della nostra economia. Il motivo è semplice: questa situazione esiste da molti anni, ma si tendeva a "passarla sotto silenzio"; l'importante è che ora si cominci a prenderne coscienza. Per poter risolvere un problema occorre prima di tutto conoscerlo. Solo una diagnosi seria (e severa) può suggerire una terapia efficace. Chi ha letto i numeri precedenti di questa rubrica sa che considerazioni simili, anzi più accentuate, riguardano la situazione dell'Italia in rete; e della nostra arretratezza abbiamo ulteriori conferme. È sintomatico che nell'assemblea dell'UPA non si sia parlato di questo argomento, se non per un breve cenno. Nonostante la "moda" e le imperversanti proiezioni di fantanumeri, le grandi imprese hanno capito che le nuove tecnologie sono, per ora, un fattore marginale; e che una crescita tale da renderle significative nei loro sistemi di comunicazione non è prevedibile nei prossimi anni. Il Dottor Malgara, dopo aver rilevato che nel mondo dei "nuovi mezzi"
l'Italia è ancor più "l'ultima ruota del carro" (anche per il problema della
scarsa conoscenza dell'inglese) ha osservato:
Mi sembra importante notare che, dal punto di vista delle grandi imprese che investono in pubblicità (di cui il presidente dell'UPA interpreta il pensiero e l'umore) quando si parla di "new media" si pensa soprattutto alla televisione digitale; e si constata che sono ancora lontane sotto l'orizzonte, specialmente in Italia, iniziative editoriali e d'impresa che possano rompere il predominio della televisione "generalista". In tutta quell'assemblea non si è fatto il minimo cenno all'internet o alla comunicazione interattiva (mentre negli anni precedenti se ne era parlato, anche se marginalmente e in modo assai poco approfondito). Prima che qualcuno mi accusi di "pessimismo"... vorrei dare una lettura di questi fatti che va in senso contrario. Quando qualcosa è "sottosviluppato" e quando molti operatori lo osservano distrattamente, o ne sono delusi... si possono offrire occasioni molto favorevoli a chi impara a usare bene proprio quella risorsa. Ricordo un'antica storiella che si raccontava nei corsi di addestramento alla vendita. Un'impresa produttrice di scarpe manda due venditori a studiare il mercato in due paesi tropicali molto simili. Dopo qualche giorno riceve due messaggi. Uno dice: «Nessuno porta scarpe, mercato inesistente, rientro domani». L'altro dice: «Nessuno porta scarpe, potenziale enorme, apro filiale». La rete offre possibilità straordinarie proprio a molte imprese italiane. Che il fenomeno sia ancora (in tutto il mondo) nella sua infanzia, e che in Italia sia particolarmente arretrato... può essere un'occasione straordinaria per chi saprà anticiparlo, e così guadagnare il tempo necessario per approfondirlo bene. L'importante è avere pazienza, costanza e molta voglia di imparare. Risultati immediati sono possibili, ma improbabili; meglio prevedere un investimento graduale, imparando passo per passo e creando un proprio, originale percorso della rete. Questo è il metodo che può dare importanti vantaggi competitivi e riservare non poche piacevoli sorprese. Il fatto di essere "l'ultima ruota del carro" non è necessariamente un danno. Può permettere di imparare dagli errori altrui, esplorare le esperienze di paesi più avanzati, trovare scorciatoie là dove altri si sono persi in un labirinto. Con quella fantasia, quel coraggio imprenditoriale, quella flessibilità e capacità di destreggiarsi in terreni complessi, quell'estrema e costante dedizione nel servizio al cliente, in cui gli italiani si sono spesso dimostrati particolarmente bravi. |
Alcuni lettori mi chiedono di riprendere il tema dei "numeri", cioè delle
labili e discutibili stime di dimensioni della rete. Altri mi consigliano di non
insistere, perché ormai è chiaro che i dati sono poco attendibili (e spesso esagerati) e
ciò che conta è approfondire gli aspetti qualitativi. Capisco, e condivido, la posizione di chi pensa che si debba parlare soprattutto di qualità. Ma le valutazioni "dimensionali" non sono del tutto irrilevanti, e si continua con insistenza a parlarne, anche su giornali a larga diffusione... ecco perciò alcune altre (brevi) osservazioni in proposito, che confermano sostanzialmente quanto si era già detto in questa rubrica. Il rapporto Eito 97 dell'European Information Technology Observatory conferma che l'Europa (con alcune eccezioni, come la Finlandia) è in forte ritardo rispetto agli Stati Uniti; e che l'Italia è molto arretrata rispetto ai paesi europei più avanzati. Un articolo di Umberto Torelli, pubblicato dal Corriere della Sera il 31 maggio, per la prima volta porta su un giornale a larga diffusione quei dubbi che da tempo venivano espressi in sedi più specifiche. Con il titolo "Internet e il balletto delle cifre", l'articolo conferma sostanzialmente le osservazioni che si erano fatta in questa rubrica quattro mesi fa. Un articolo di Franco Carlini sul Manifesto del 1° giugno conferma l'arretratezza della rete in Italia e stima che gli abbonamenti a Internet nel nostro paese siano 110.000. Non so quali siano le fonti di Carlini, ma è uno dei giornalisti meglio informati su questi argomenti - e la cifra da lui citata è vicina alle stime che si possono fare con vari criteri induttivi, anche se inferiore a una dichiarazione di Tin (Telecom Italia Net) secondo la quale gli utenti "paganti" in Italia sarebbero 200.000 e circa 650.000 il totale degli utenti - e ad analoghe valutazioni dell'AIIP (Associazione Italiana Internet Provider). Anche secondo il rapporto Assinform, presentato a Milano il 26 maggio, si dovrebbe stimare che "ogni abbonamento trascina una media di tre utenti". Cioè si arriverebbe a un numero totale, compresi gli utenti "occasionali", fra le 350 e le 600 mila persone. Ma occorre ricordare che anche molti "abbonati" fanno un uso marginale e saltuario della rete; e se, da un lato, possono esserci due o tre utenti sullo stesso contratto, ci sono anche persone che per vari motivi hanno abbonamenti con più di un provider. Gira e rigira... si arriva sempre, più o meno, alle stesse conclusioni. Circa un italiano su cento è in qualche modo "in rete". Gli utilizzatori frequenti e attivi sono, probabilmente, tre o quattro su mille. Ci sono segnali di crescita veloce (anche se non certo "esponenziale") ma la strada è ancora lunga per avvicinarci al livello dei paesi più evoluti. Per concludere questa parentesi numerica, ecco la situazione nei 15 paesi dell'Unione Europea elaborata sui più recenti dati RIPE:
In questi cinque mesi la crescita del numero di host italiani è stata molto veloce: più del doppio della media nell'Unione Europea. Ma nonostante questo notevole "balzo" la penetrazione in Italia rimane ancora molto bassa. |
In questa rubrica si parla di rapporti umani, di comunicazione e di marketing - non di
tecnologia. Ma vorrei fare un'eccezione, per una particolare applicazione tecnica che mi
sembra possa offrire straordinarie possibilità - con il vantaggio di essere molto più
semplice e pratica di tante mirabolanti ipotesi di grande "effetto", ma
probabilmente di scarsa utilità, con cui cercano di incantarci i fanatici delle
tecnologie complesse. Un articolo di Roger Collis sull'International Herald Tribune del 20 giugno parla delle cosiddette smart card, cioè le carte di plastica che contengono un chip di memoria. Immaginate, dice, di ricevere per posta elettronica un messaggio che conferma un appuntamento a Parigi. Subito, dal vostro computer, prenotate il volo, prelevate tutti i dati, compresa l'assegnazione del posto in aereo, la prenotazione dell'albergo e di un'automobile a noleggio. Inserite i dati sulla vostra smart card; all'aeroporto usate la card nel "chiosco" elettronico della linea aerea, che stampa la vostra carta d'imbarco... e così via. Ogni attività durante il viaggio sarà gestita (e pagata) dalla card, con grande risparmio di tempo, code e fastidi; e al ritorno sarà già pronta la nota-spese. Ma non si tratta solo dell'organizzazione di un viaggio. A me piace immaginare di arrivare in una stanza d'albergo, o in un ufficio, o in casa di amici, o in una saletta di servizio di un aeroporto o di una stazione, in qualsiasi angolo del mondo, senza un computer portatile ma con una semplice scheda (come le attuali PCMCIA - o come i dischetti di uno dei tanti sistemi magnetici o magneto-ottici) che posso facilmente tenere in tasca e che contiene tutto ciò che mi occorre. Non solo mi permetterà di gestire tutta l'organizzazione del viaggio e del soggiorno, ma infilandola in un qualsiasi computer che abbia un "lettore" adatto potrò continuare il mio lavoro, collegarmi alla rete, insomma svolgere tutte le mie normali attività come se fossi nel mio ufficio o a casa. Qualcuno può immaginare che sia un'operazione complessa; ma non lo è. Per esempio: sarebbe necessario dotare migliaia di computer di un complicato sistema di hardware e software per leggere le smart card? Probabilmente no. Qualcuno ha già inventato un supporto chiamato Smarty (cioè una combinazione di smart e floppy) in cui si infila la scheda - e che poi si usa come un normale dischetto. Naturalmente non possiamo ancora sapere se sarà questo lo standard: ma l'esempio dimostra come sia possibile trovare soluzioni semplici a problemi apparentemente complessi. Insomma queste soluzioni sono già perfettamente possibili con le tecnologie di oggi. Ciò che manca, anche in questo caso, non è la tecnologia, ma l'organizzazione. Sistemi e strutture di servizio, standard condivisi... cose che sarebbero molto facili se i sistemi elettronici non si trovassero in uno stato primitivo, confuso e disordinato, in cui la "compatibilità" rimane un mito irraggiungibile e software sempre più complicati, barocchi e inefficienti offrono tutto fuorché reali servizi di pratica utilità. Ovviamente nessuno può sapere se, e soprattutto quando, risorse come queste saranno largamente disponibili. Ma l'ipotesi è affascinante; straordinaria la semplificazione che ne può derivare per ogni sorta di attività. E non è difficile immaginare come tecnologie di questo genere possano essere messe a frutto per iniziative "mirate" di marketing e di servizio. Con il grande vantaggio di non operare in modo invasivo e di non rischiare violazioni di privacy, perché potrebbe essere il cliente a tenere le chiavi di dati, informazioni e software - e a decidere come e quando servirsene secondo le sue scelte ed esigenze. |
La comunicazione in rete, ovviamente, è diversa da qualsiasi altra. Ma può essere
interessante paragonarla ad alcune forme di comunicazione tradizionale (commerciale o
non). Molti, forse perché si guarda su uno schermo, tendono a paragonarla alla
televisione. Invece è molto più simile alla stampa, con alcune importanti differenze
dovute alla struttura "ipertestuale". Vediamo alcune caratteristiche di tre modi di comunicare:
Come si può constatare, la struttura del messaggio in rete è molto più simile alla stampa che alla televisione; con una differenza fondamentale, che è l'assai maggiore possibilità di approfondimento, di spiegazione e di gestione da parte del lettore, offerta dalla rete rispetto a qualsiasi altro mezzo. Nel caso dei banner, il criterio "tradizionale" di riferimento è ovviamente quello dell'affissione (messaggio sintetico e immediato, che possa essere percepito in pochi secondi) ma con una fondamentale differenza: un manifesto murale è fine a se stesso, mentre un banner porta quasi sempre a un link, cioè (per chi lo desidera) a uno spazio di approfondimento. |
Ho già parlato di Amazon, "il più grande
libraio del mondo" - e uno dei più brillanti successi di vendita in rete. Un piccolo
gruppo di persone a Seattle che in due anni è cresciuto fino a diventare un'impresa che
sta pensando di quotarsi in borsa. La chiave del loro successo è la più ovvia - ma non la più facile da mettere in pratica: il servizio. Un sito semplice, nitido, senza fronzoli, ricco di informazioni. Una costante attenzione ai clienti. Questa volta parlerò di me come "consumatore". Mesi fa, mi ero un po' irritato con Amazon per un fenomeno misterioso: alcuni pacchi di libri arrivano senza problemi, altri invece sono trattenuti in dogana. Anche pagando la dogana, il prezzo (per non parlare dei tempi di consegna) rimane favorevole rispetto a quello che mi sarebbe costato ordinare gli stessi libri in una libreria a Milano o a Roma; ma era una fastidiosa perdita di tempo, una seccatura imprevista e irritante. Alla fine, dopo aver ricevuto risposte cortesi e veloci, ma inconcludenti, dovetti arrendermi davanti al fatto che né Amazon, né il loro spedizioniere potevano spiegare o prevedere il bizzarro comportamento delle dogane italiane. Ma mi rimase un senso di insoddisfazione. Questa "irragionevolezza" è abbastanza tipica di chi usa la rete: che tende ad aspettarsi un servizio immediato, puntuale e ineccepibile - e si irrita facilmente per ogni ritardo o imperfezione. (Come ho detto più di una volta, è meglio non offrire servizi in rete se non si vuol trattare con una clientela esigente - e che non ha tempo da perdere). Alla fine, riconciliato con il "grande libraio", mandai un nuovo ordine di cinque libri; ma commisi uno stupido errore. Non avevo fretta, quindi scelsi la spedizione più economica: per posta ordinaria. Ebbi, come il solito, una conferma quasi immediata. Ma due mesi dopo i libri non erano arrivati. È evidente che chi spedisce può controllare i corrieri, ma non la posta; quindi Amazon non è in grado di verificare dove siano andati a finire i libri. Dopo un breve scambio di messaggi, il "grande libraio" decide di rimandarmi i libri, con un corriere veloce e senza alcuna ulteriore spesa. Un dettaglio importante: non ha alcun modo di controllare se ho ricevuto la prima spedizione, quindi si fida di me; mi chiede solo di informarlo se, per un imprevedibile caso, arriva anche la vecchia spedizione e quindi ricevo i libri due volte. Indovinate un po' da chi comprerò libri la prossima volta? E se continuano con questo metodo, a chi resterò fedele per anni, e chi consiglierò agli amici? Amazon ha capito, e mette in pratica, la Prima Regola del marketing in rete (come del
marketing in generale): |