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timone1.gif (340 byte) Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 5 -  26 giugno 1997
1. Editoriale: come può vincere, "l'ultima ruota del carro?"
2. Ancora qualche numero
3. Una tecnologia affascinante: le smart card
4. Struttura di un messaggio in rete (rispetto a stampa e televisione)
5. Una piccola storia di cinque libri
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1. Editoriale: come può vincere,
  "l'ultima ruota del carro"?
Di quanto l'Italia sia arretrata in tutto ciò che riguarda la rete, in questa rubrica si è già parlato molte volte; ed è una nozione diffusa fra coloro che hanno una seria conoscenza della situazione. È meno noto, probabilmente, il fatto che l'Italia è in una posizione molto arretrata anche per quanto riguarda gli investimenti pubblicitari in generale. Da una semplice analisi dei dati è facile dedurre che l'Italia (che fa parte del "G7", quindi è considerata uno dei sette o otto paesi economicamente più avanzati) è al 25° posto nel mondo per investimenti pubblicitari pro-capite e al 39° come percentuale sul P.I.L. - e probabilmente perderà ancora quota nei prossimi anni, specialmente per la crescita della pubblicità in alcuni paesi dell'Asia.

Questo può sembrare strano a chi osserva l'affollamento di pubblicità, specialmente in televisione; ma occorre ricordare che in Italia c'è ancora uno squilibrio fra i mezzi: da noi la televisione assorbe il 55% degli investimenti pubblicitari, rispetto (per esempio) al 38% negli Stati Uniti, 33% in Francia, 32% in Gran Bretagna, 21% in Germania. Inoltre molti mezzi in Italia sono ancora troppo "generalisti"; e una feroce concorrenza sui prezzi offre (specialmente ai grandi utenti) sconti molto rilevanti, che portano ad affollamenti elevati con investimenti relativamente bassi.

Mi ha gradevolmente sorpreso il fatto che di questa situazione abbia finalmente preso atto, con molta più chiarezza che in passato, la comunità delle imprese che investono in pubblicità. Per esempio nella recente assemblea dell'UPA (Utenti Pubblicità Associati), che si è svolta il 4 giugno, il presidente Giulio Malgara ha rilevato che, "dopo una lunga recessione che ha avuto le sue punte più acute negli anni dal '92 al '94" gli investimenti pubblicitari in Italia cominciano a dare segni di ripresa; ma ha osservato:

Da un raffronto con i Paesi a noi vicini possiamo vedere che in Francia si investe quasi il doppio che in Italia. Il triplo in Inghilterra. Nella Germania unificata si investe in pubblicità quattro volte di più che in Italia.
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Sono arrivati i tempi della selettività. Le imprese non potranno più far conto su alcuni fattori favorevoli che in passato avevano premiato un po' tutti, anche i meno bravi... il mercato si riprenderà, soprattutto si allargherà, ma difficilmente potranno tornare i tempi di spumeggiante euforia.
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È l'ora di renderci conto che la competizione non si limita più ai tradizionali Paesi forti. Sul mercato sono entrati o stanno entrando numerosi Paesi nuovi, quegli stessi che fino a poco tempo fa si limitavano a lavorare a basso prezzo i prodotti degli altri.
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Credo che sia il momento di sgomberare il campo... da quelle entità che sono prive della necessaria professionalità e che sono lontane dall'avere quel patrimonio di conoscenza, di esperienza, di sensibilità che può essere davvero proficuo per le imprese.
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La ripresa degli investimenti pubblicitari non deve voler dire semplicemente un numero maggiore di annunci o di spot o una rosa più estesa di mezzi ma deve essere la logica conseguenza di un profondo rinnovamento che coinvolge tutti gli aspetti del marketing.

Insomma rispetto a paesi con economie concorrenti alla nostra siamo "l'ultima ruota del carro"; e i "tempi facili" (o apparentemente tali) sono finiti per tutti. Occorrerà un serio impegno qualitativo e professionale per recuperare il terreno perduto. Qualche lettore potrà stupirsi che io trovi gradevole ascoltare queste constatazioni, che purtroppo riflettono uno scarso dinamismo e una debole capacità competitiva della nostra economia. Il motivo è semplice: questa situazione esiste da molti anni, ma si tendeva a "passarla sotto silenzio"; l'importante è che ora si cominci a prenderne coscienza. Per poter risolvere un problema occorre prima di tutto conoscerlo. Solo una diagnosi seria (e severa) può suggerire una terapia efficace.

Chi ha letto i numeri precedenti di questa rubrica sa che considerazioni simili, anzi più accentuate, riguardano la situazione dell'Italia in rete; e della nostra arretratezza abbiamo ulteriori conferme. È sintomatico che nell'assemblea dell'UPA non si sia parlato di questo argomento, se non per un breve cenno. Nonostante la "moda" e le imperversanti proiezioni di fantanumeri, le grandi imprese hanno capito che le nuove tecnologie sono, per ora, un fattore marginale; e che una crescita tale da renderle significative nei loro sistemi di comunicazione non è prevedibile nei prossimi anni.

Il Dottor Malgara, dopo aver rilevato che nel mondo dei "nuovi mezzi" l'Italia è ancor più "l'ultima ruota del carro" (anche per il problema della scarsa conoscenza dell'inglese) ha osservato:

Di fronte al clamore, forse eccessivo, che si è andati facendo sull'avanzare dei "new media" si ha qualche volta l'impressione che i mezzi tradizionali, anche i più forti come televisione e stampa, vengano colti da una sorta di complesso di inadeguatezza o, addirittura, da un complesso di "imminente obsolescenza".
È vero che ci troviamo davanti a una rivoluzione. Ma è anche vero che per lungo tempo i "new media" non toglieranno risorse ai mezzi tradizionali. I "new media" creeranno essi stessi nuove risorse e soddisferanno nuove esigenze.
Si creerà una diversificazione dell'offerta, ma in senso integrativo, non in senso sostitutivo. Questo almeno per molti anni. E i nuovi mezzi indurranno i gestori dei mezzi tradizionali a pensare in termini innovativi, ad accelerare la loro evoluzione e il loro mutamento.

Mi sembra importante notare che, dal punto di vista delle grandi imprese che investono in pubblicità (di cui il presidente dell'UPA interpreta il pensiero e l'umore) quando si parla di "new media" si pensa soprattutto alla televisione digitale; e si constata che sono ancora lontane sotto l'orizzonte, specialmente in Italia, iniziative editoriali e d'impresa che possano rompere il predominio della televisione "generalista". In tutta quell'assemblea non si è fatto il minimo cenno all'internet o alla comunicazione interattiva (mentre negli anni precedenti se ne era parlato, anche se marginalmente e in modo assai poco approfondito).

Prima che qualcuno mi accusi di "pessimismo"... vorrei dare una lettura di questi fatti che va in senso contrario. Quando qualcosa è "sottosviluppato" e quando molti operatori lo osservano distrattamente, o ne sono delusi... si possono offrire occasioni molto favorevoli a chi impara a usare bene proprio quella risorsa.

Ricordo un'antica storiella che si raccontava nei corsi di addestramento alla vendita. Un'impresa produttrice di scarpe manda due venditori a studiare il mercato in due paesi tropicali molto simili. Dopo qualche giorno riceve due messaggi. Uno dice: «Nessuno porta scarpe, mercato inesistente, rientro domani». L'altro dice: «Nessuno porta scarpe, potenziale enorme, apro filiale».

La rete offre possibilità straordinarie proprio a molte imprese italiane. Che il fenomeno sia ancora (in tutto il mondo) nella sua infanzia, e che in Italia sia particolarmente arretrato... può essere un'occasione straordinaria per chi saprà anticiparlo, e così guadagnare il tempo necessario per approfondirlo bene. L'importante è avere pazienza, costanza e molta voglia di imparare. Risultati immediati sono possibili, ma improbabili; meglio prevedere un investimento graduale, imparando passo per passo e creando un proprio, originale percorso della rete. Questo è il metodo che può dare importanti vantaggi competitivi e riservare non poche piacevoli sorprese.

Il fatto di essere "l'ultima ruota del carro" non è necessariamente un danno. Può permettere di imparare dagli errori altrui, esplorare le esperienze di paesi più avanzati, trovare scorciatoie là dove altri si sono persi in un labirinto. Con quella fantasia, quel coraggio imprenditoriale, quella flessibilità e capacità di destreggiarsi in terreni complessi, quell'estrema e costante dedizione nel servizio al cliente, in cui gli italiani si sono spesso dimostrati particolarmente bravi.

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2. Ancora qualche numero
Alcuni lettori mi chiedono di riprendere il tema dei "numeri", cioè delle labili e discutibili stime di dimensioni della rete. Altri mi consigliano di non insistere, perché ormai è chiaro che i dati sono poco attendibili (e spesso esagerati) e ciò che conta è approfondire gli aspetti qualitativi.

Capisco, e condivido, la posizione di chi pensa che si debba parlare soprattutto di qualità. Ma le valutazioni "dimensionali" non sono del tutto irrilevanti, e si continua con insistenza a parlarne, anche su giornali a larga diffusione... ecco perciò alcune altre (brevi) osservazioni in proposito, che confermano sostanzialmente quanto si era già detto in questa rubrica.

Il rapporto Eito 97 dell'European Information Technology Observatory conferma che l'Europa (con alcune eccezioni, come la Finlandia) è in forte ritardo rispetto agli Stati Uniti; e che l'Italia è molto arretrata rispetto ai paesi europei più avanzati.

Un articolo di Umberto Torelli, pubblicato dal Corriere della Sera il 31 maggio, per la prima volta porta su un giornale a larga diffusione quei dubbi che da tempo venivano espressi in sedi più specifiche. Con il titolo "Internet e il balletto delle cifre", l'articolo conferma sostanzialmente le osservazioni che si erano fatta in questa rubrica quattro mesi fa.

Un articolo di Franco Carlini sul Manifesto del 1° giugno conferma l'arretratezza della rete in Italia e stima che gli abbonamenti a Internet nel nostro paese siano 110.000. Non so quali siano le fonti di Carlini, ma è uno dei giornalisti meglio informati su questi argomenti - e la cifra da lui citata è vicina alle stime che si possono fare con vari criteri induttivi, anche se inferiore a una dichiarazione di Tin (Telecom Italia Net) secondo la quale gli utenti "paganti" in Italia sarebbero 200.000 e circa 650.000 il totale degli utenti - e ad analoghe valutazioni dell'AIIP (Associazione Italiana Internet Provider). Anche secondo il rapporto Assinform, presentato a Milano il 26 maggio, si dovrebbe stimare che "ogni abbonamento trascina una media di tre utenti". Cioè si arriverebbe a un numero totale, compresi gli utenti "occasionali", fra le 350 e le 600 mila persone.

Ma occorre ricordare che anche molti "abbonati" fanno un uso marginale e saltuario della rete; e se, da un lato, possono esserci due o tre utenti sullo stesso contratto, ci sono anche persone che per vari motivi hanno abbonamenti con più di un provider.

Gira e rigira... si arriva sempre, più o meno, alle stesse conclusioni. Circa un italiano su cento è in qualche modo "in rete". Gli utilizzatori frequenti e attivi sono, probabilmente, tre o quattro su mille. Ci sono segnali di crescita veloce (anche se non certo "esponenziale") ma la strada è ancora lunga per avvicinarci al livello dei paesi più evoluti.

Per concludere questa parentesi numerica, ecco la situazione nei 15 paesi dell'Unione Europea elaborata sui più recenti dati RIPE:

Numero di host Internet    
  dicembre 1996 maggio 1997 aumento % host per
1000 abitanti
Finlandia 314.141 382.339 21,7 75,0
Svezia 237.832 288.184 21,2 33,1
Danimarca 106.732 130.575 22,3 25,1
Olanda 270.511 326.787 20,8 21,4
Gran Bretagna 719.294 843.437 17,3 14,5
Austria 88.811 93.739 5,5 11,7
Germania 691.864 880.383 27,2 10,8
Lussemburgo 3.518 3.815 8,4 9,5
Irlanda 26.895 32.311 20,1 9,0
Belgio 65.046 86.181 32,4 8,5
Francia 236.874 286.515 21,0 5,0
Italia 147.837 237.966 60,9 4,2
Spagna 113.227 155.380 37,2 4,0
Portogallo 23.482 34.122 45,3 3,5
Grecia 16.738 21.246 26,9 2,0

Totale UE 3.062.838 3.811.980 24,6 10,3

In questi cinque mesi la crescita del numero di host italiani è stata molto veloce: più del doppio della media nell'Unione Europea. Ma nonostante questo notevole "balzo" la penetrazione in Italia rimane ancora molto bassa.

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3. Una tecnologia affascinante: le smart card
In questa rubrica si parla di rapporti umani, di comunicazione e di marketing - non di tecnologia. Ma vorrei fare un'eccezione, per una particolare applicazione tecnica che mi sembra possa offrire straordinarie possibilità - con il vantaggio di essere molto più semplice e pratica di tante mirabolanti ipotesi di grande "effetto", ma probabilmente di scarsa utilità, con cui cercano di incantarci i fanatici delle tecnologie complesse.

Un articolo di Roger Collis sull'International Herald Tribune del 20 giugno parla delle cosiddette smart card, cioè le carte di plastica che contengono un chip di memoria. Immaginate, dice, di ricevere per posta elettronica un messaggio che conferma un appuntamento a Parigi. Subito, dal vostro computer, prenotate il volo, prelevate tutti i dati, compresa l'assegnazione del posto in aereo, la prenotazione dell'albergo e di un'automobile a noleggio. Inserite i dati sulla vostra smart card; all'aeroporto usate la card nel "chiosco" elettronico della linea aerea, che stampa la vostra carta d'imbarco... e così via. Ogni attività durante il viaggio sarà gestita (e pagata) dalla card, con grande risparmio di tempo, code e fastidi; e al ritorno sarà già pronta la nota-spese.

Ma non si tratta solo dell'organizzazione di un viaggio. A me piace immaginare di arrivare in una stanza d'albergo, o in un ufficio, o in casa di amici, o in una saletta di servizio di un aeroporto o di una stazione, in qualsiasi angolo del mondo, senza un computer portatile ma con una semplice scheda (come le attuali PCMCIA - o come i dischetti di uno dei tanti sistemi magnetici o magneto-ottici) che posso facilmente tenere in tasca e che contiene tutto ciò che mi occorre. Non solo mi permetterà di gestire tutta l'organizzazione del viaggio e del soggiorno, ma infilandola in un qualsiasi computer che abbia un "lettore" adatto potrò continuare il mio lavoro, collegarmi alla rete, insomma svolgere tutte le mie normali attività come se fossi nel mio ufficio o a casa.

Qualcuno può immaginare che sia un'operazione complessa; ma non lo è. Per esempio: sarebbe necessario dotare migliaia di computer di un complicato sistema di hardware e software per leggere le smart card? Probabilmente no. Qualcuno ha già inventato un supporto chiamato Smarty (cioè una combinazione di smart e floppy) in cui si infila la scheda - e che poi si usa come un normale dischetto. Naturalmente non possiamo ancora sapere se sarà questo lo standard: ma l'esempio dimostra come sia possibile trovare soluzioni semplici a problemi apparentemente complessi.

Insomma queste soluzioni sono già perfettamente possibili con le tecnologie di oggi. Ciò che manca, anche in questo caso, non è la tecnologia, ma l'organizzazione. Sistemi e strutture di servizio, standard condivisi... cose che sarebbero molto facili se i sistemi elettronici non si trovassero in uno stato primitivo, confuso e disordinato, in cui la "compatibilità" rimane un mito irraggiungibile e software sempre più complicati, barocchi e inefficienti offrono tutto fuorché reali servizi di pratica utilità.

Ovviamente nessuno può sapere se, e soprattutto quando, risorse come queste saranno largamente disponibili. Ma l'ipotesi è affascinante; straordinaria la semplificazione che ne può derivare per ogni sorta di attività. E non è difficile immaginare come tecnologie di questo genere possano essere messe a frutto per iniziative "mirate" di marketing e di servizio. Con il grande vantaggio di non operare in modo invasivo e di non rischiare violazioni di privacy, perché potrebbe essere il cliente a tenere le chiavi di dati, informazioni e software - e a decidere come e quando servirsene secondo le sue scelte ed esigenze.

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4. Struttura di un messaggio in rete
  (rispetto a stampa e televisione)
La comunicazione in rete, ovviamente, è diversa da qualsiasi altra. Ma può essere interessante paragonarla ad alcune forme di comunicazione tradizionale (commerciale o non). Molti, forse perché si guarda su uno schermo, tendono a paragonarla alla televisione. Invece è molto più simile alla stampa, con alcune importanti differenze dovute alla struttura "ipertestuale".

Vediamo alcune caratteristiche di tre modi di comunicare:

TELEVISIONE STAMPA RETE
  • Immagine, suono, movimento
  • Testo e immagini
  • Testo e immagini

    (possibile suono e movimento)

  • Tempo obbligato

    (Tempo di visione-ascolto determinato dall'emittente)

  • Tempo soggettivo

    (Tempo di lettura deciso da chi legge)

  • Tempo soggettivo

    (Tempo di lettura deciso da chi legge)

  • Ricezione passiva
  • Lettura attiva
  • Lettura e ricerca attiva
  • Scarsa possibilità di approfondimento
  • Buona possibilità di approfondimento
  • Possibilità molto estesa di approfondimento
  • Tempo limitato
  • Tempo illimitato
  • Tempo illimitato
  • Ora o mai più

    (basta un momento di distrazione e il messaggio, se non sarà ripetuto quando la stessa persona è in ascolto, è perduto per sempre)

  • Possibilità di ritornare

    (fino a quando si conserva un giornale o una rivista - o un ritaglio)

  • Possibilità di ritornare

    (senza limiti di tempo)

  • Visione spesso collettiva
  • Lettura individuale
  • Lettura individuale
  • Difficilmente conservabile
    (quasi nessuno registra)
  • Facilmente conservabile
  • Facilmente conservabile

Come si può constatare, la struttura del messaggio in rete è molto più simile alla stampa che alla televisione; con una differenza fondamentale, che è l'assai maggiore possibilità di approfondimento, di spiegazione e di gestione da parte del lettore, offerta dalla rete rispetto a qualsiasi altro mezzo.

Nel caso dei banner, il criterio "tradizionale" di riferimento è ovviamente quello dell'affissione (messaggio sintetico e immediato, che possa essere percepito in pochi secondi) ma con una fondamentale differenza: un manifesto murale è fine a se stesso, mentre un banner porta quasi sempre a un link, cioè (per chi lo desidera) a uno spazio di approfondimento.

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5. Una piccola storia di cinque libri
Ho già parlato di Amazon, "il più grande libraio del mondo" - e uno dei più brillanti successi di vendita in rete. Un piccolo gruppo di persone a Seattle che in due anni è cresciuto fino a diventare un'impresa che sta pensando di quotarsi in borsa.

La chiave del loro successo è la più ovvia - ma non la più facile da mettere in pratica: il servizio. Un sito semplice, nitido, senza fronzoli, ricco di informazioni. Una costante attenzione ai clienti.

Questa volta parlerò di me come "consumatore". Mesi fa, mi ero un po' irritato con Amazon per un fenomeno misterioso: alcuni pacchi di libri arrivano senza problemi, altri invece sono trattenuti in dogana. Anche pagando la dogana, il prezzo (per non parlare dei tempi di consegna) rimane favorevole rispetto a quello che mi sarebbe costato ordinare gli stessi libri in una libreria a Milano o a Roma; ma era una fastidiosa perdita di tempo, una seccatura imprevista e irritante. Alla fine, dopo aver ricevuto risposte cortesi e veloci, ma inconcludenti, dovetti arrendermi davanti al fatto che né Amazon, né il loro spedizioniere potevano spiegare o prevedere il bizzarro comportamento delle dogane italiane. Ma mi rimase un senso di insoddisfazione. Questa "irragionevolezza" è abbastanza tipica di chi usa la rete: che tende ad aspettarsi un servizio immediato, puntuale e ineccepibile - e si irrita facilmente per ogni ritardo o imperfezione. (Come ho detto più di una volta, è meglio non offrire servizi in rete se non si vuol trattare con una clientela esigente - e che non ha tempo da perdere).

Alla fine, riconciliato con il "grande libraio", mandai un nuovo ordine di cinque libri; ma commisi uno stupido errore. Non avevo fretta, quindi scelsi la spedizione più economica: per posta ordinaria. Ebbi, come il solito, una conferma quasi immediata. Ma due mesi dopo i libri non erano arrivati. È evidente che chi spedisce può controllare i corrieri, ma non la posta; quindi Amazon non è in grado di verificare dove siano andati a finire i libri. Dopo un breve scambio di messaggi, il "grande libraio" decide di rimandarmi i libri, con un corriere veloce e senza alcuna ulteriore spesa. Un dettaglio importante: non ha alcun modo di controllare se ho ricevuto la prima spedizione, quindi si fida di me; mi chiede solo di informarlo se, per un imprevedibile caso, arriva anche la vecchia spedizione e quindi ricevo i libri due volte.

Indovinate un po' da chi comprerò libri la prossima volta? E se continuano con questo metodo, a chi resterò fedele per anni, e chi consiglierò agli amici?

Amazon ha capito, e mette in pratica, la Prima Regola del marketing in rete (come del marketing in generale):
ciò che conta non è la singola vendita, ma la relazione con il cliente.




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