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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 15 - 18 febbraio
1998
1. Editoriale: Un filo sull'abisso
2. Nuovi numeri
3. L'America allunga il passo
4. La buffa storia delle traduzioni automatiche
5. Alcune notizie interessanti
6. Un'altra statistica
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1. Editoriale: Un filo sull'abisso
Che ci sia un solco profondo fra ciò che è possibile fare con la rete e ciò che si è fatto finora; e che per noi italiani questo sia un abisso di dimensioni preoccupanti... mi sembra evidente; e spero di averlo dimostrato "al di là di ogni ragionevole dubbio" nei primi quattordici numeri di questa rubrica.

Ma più che "piangere sul latte versato" mi sembra importante pensare a come uscirne. Non si tratta, secondo me, di costruire un immenso ponte, come quello di cui tanto si discute per lo stretto di Messina.

La forza della rete è la sua infinita molteplicità. Ognuno può lanciare un filo sottile oltre l'abisso; e con pazienza, fantasia e costanza tessere la sua tela. Nel mondo della rete quel tessuto di fili sottili, intrecciati e in continua evoluzione, nutriti di scambi e di scoperte, può essere più forte e più solido di qualsiasi ponte d'acciaio.

Non è un sogno, ma una possibilità concreta, pensare a migliaia, anzi decine e centinaia di migliaia, di grandi e piccoli fili che corrono lungo i nodi della rete e costruiscono relazioni.

Ogni piccola connessione che stabilisca un rapporto di comprensione e di fiducia diventa un pilastro su cui costruire. Ogni piccolo ramo che trova un appiglio rinforza il tronco di una pianta che può crescere all'infinito. Ogni italiano che saprà costruire un piccolo nodo di credibilità in qualche angolo del pianeta avrà aperto la strada a molti altri.

Certo: ci sono le gigantesche sfide fra le enormi imprese di telecomunicazioni, e dobbiamo augurarci che le nostre sappiano competere con successo nella "sfida mondiale" dei grandi sistemi. Ma ancora di più possono fare, per il "sistema paese", le miriadi di piccole imprese, organizzazioni professionali o singole persone che creano pazientemente la rete del dialogo, delle comunità e della fiducia.

Credo che ci voglia un serio impegno, al di là delle generiche e inconcludenti dichiarazioni di principio, per diffondere un'autentica cultura della rete in ogni angolo della nostra economia e della nostra società; il più possibile lontana dal duplice perenne rischio della tecnomania e della tecnofobia. Da questo non dipende solo, come dice giustamente Gabriele Calvi, il futuro delle nuove generazioni; dipende anche la sopravvivenza della nostra economia, quindi la possibilità di creare nuovi posti di lavoro (in relativamente piccola misura nell'elettronica, o in professioni che riguardano specificamente l'internet; in enormemente più grande misura in ogni sorta di attività che possono usare la comunicazione in rete per affermarsi).

Occorrerebbe anche rimuovere molte pastoie normative e burocratiche, ed evitare di introdurre nuovi vincoli, comprese norme "ben intenzionate" che si traducono spesso in danno. È un argomento che spero di approfondire in un prossimo numero di questa rubrica.

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2. Nuovi numeri
Il 6 febbraio è stata pubblicata la nuova analisi semestrale di Network Wizards. Per motivi tecnici, che non credo sia necessario riassumere qui, è stato adottato un nuovo criterio. Questo dà probabilmente una maggiore precisione ai dati e ai confronti fra le situazioni dei vari paesi; ma rende meno significativa la "serie storica" rispetto alle statistiche precedenti.

La prima e più significativa indicazione che emerge dalla nuova analisi è che, contro ogni previsione, non solo non si "accorciano le distanze" fra gli Stati Uniti e il resto del mondo ma aumentano. Non è facile capire quanto il cambiamento sia dovuto a una crescita più veloce negli USA, e quanto al diverso metodo di analisi. Probabilmente si tratta di una combinazione dei due fattori. Poco più avanti riprenderò questo tema. Ma, per cominciare, i dati sono questi:

Host Internet

(Network Wizards, 6 febbraio 1998; paesi con più di 20.000 host)

  Numero host Percentuale
Stati Uniti 20.623.296 69,5
Giappone 1.168.956 3,9
Germania 994.926 3,3
Gran Bretagna 987.733 3,3
Canada 839.141 2,8
Australia 665.403 2,2
Finlandia 450.044 1,5
Olanda 381.172 1,3
Francia 333.306 1,1
Svezia 319.065 1,1
Norvegia 286.338 1,0
Italia 243.250 0,8
Taiwan 176.836 0,6
Nuova Zelanda 169.264 0,6
Spagna 168.913 0,6
Danimarca 159.358 0,5
Sudafrica 122.025 0,4
Corea 121.932 0,4
Brasile 117.200 0,4
Svizzera 114.816 0,4
Russia 114.164 0,4
Austria 109.154 0,4
Belgio 87.938 0,3
Polonia 77.954 0,3
Hong Kong 66.617 0,2
Israele 64.233 0,2
Singapore 57.605 0,2
Repubblica Ceca 52.498 0,18
Ungheria 46.082 0,16
Messico 41.659 0,14
Portogallo 39.533 0,13
Irlanda 38.406 0,13
Malaysia 32.269 0,11
Grecia 26.917 0,09
Turchia 24.786 0,08

Vediamo i primi 12 paesi in forma grafica:

Host Internet in 12 paesi

Dati Network Wizards, 6 febbraio 1998 - Paesi con più di 200.000 host internet

grafico

Il 70 % degli host internet è in un solo paese, con meno del 5 % della popolazione mondiale.

L'80 % in 4 paesi, con meno del 10 % della popolazione mondiale.

Il 90 % in 10 paesi, con il 12 % della popolazione mondiale.

Il 10 % nel resto del mondo, con quasi nove decimi della popolazione.

Un giorno questa tendenza dovrà rovesciarsi. Ma per ora la concentrazione rimane, anzi aumenta. Mi sembra una prova rilevante, e per molti aspetti drammatica, del fatto che la diffusione della rete si trova ancora in una fase infantile e profondamente distorta. Tutte le stime sul numero di "utenti" internet sono poco credibili, ma un fatto è chiaro: il 98 % dell'umanità rimane ancora escluso da questo nuovo strumento di comunicazione.

L'Italia, che si vanta di essere "la quinta potenza economica del mondo", si trova a un debole dodicesimo posto; mentre la sua economia è circa il 4 % di quella globale, la sua presenza nella rete è lo 0,8 %.

Come ormai "rituale" in questa rubrica, vediamo la densità (host per 1000 abitanti):

Host Internet per 1000 abitanti

Elaborazione su dati Network Wizards, 6 febbraio 1998
Paesi con più di 100.000 host internet e con densità superiore a 2

grafico

C'è un fatto nuovo, rispetto a tutte le analisi precedenti: gli Stati Uniti si rivelano dominanti non solo in cifra assoluta, ma anche come densità rispetto alla popolazione, superati di poco dal tradizionale primato della Finlandia.


Benché sia passato solo un mese da quando abbiamo analizzato i dati europei di fine anno, può essere interessante dare un'occhiata ai dati RIPE di fine gennaio. Nessun segno di mutamento per quanto riguarda la nostra debolezza; c'è un'ulteriore (anche se lieve) diminuzione del numero di host italiani, che nel mese sono scesi dell'1,4 per cento contro una crescita europea del 2,6.

Vediamo la densità nei paesi dell'Unione Europea:

Host Internet per 1000 abitanti nell'Unione Europea

Elaborazione su dati RIPE (Réseaux IP Européens) - 3 febbraio 1998

grafico

Come altre volte rilevato, la Francia sarebbe sopra la media U.E. se si tenesse conto del minitel.

L'Italia perde ancora terreno rispetto all'Europa; più dinamica invece la Spagna, che in passato era a un livello quasi uguale a quello italiano ma ora comincia ad aumentare la distanza.

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3. L'America allunga il passo
Non solo dai nuovi dati citati qui sopra, ma anche da una serie di altri sintomi, sembra che sia in corso un "salto di qualità" negli Stati Uniti. L'uso della rete sta diventando davvero un'abitudine diffusa, sotto la spinta di fatti socio-culturali, come l'uso della posta elettronica nelle famiglie, e anche di attività economiche. Il marketing in rete, compreso il "commercio elettronico", sta cominciando a diventare una pratica non più limitata a pochi settori specialistici.

Questo fenomeno porta a due considerazioni "di segno opposto".

Da un lato aumenta la distanza fra il paese dominante e il resto del mondo (in particolare rispetto ai paesi "arretrati" come l'Italia). Mi sembra opportuno ricordare che questo non dipende solo dal fattore tempo: non si tratta soltanto di un ritardo, ma anche di differenze strutturali del mercato e della società. Le conseguenze possono essere gravi per le economie e le culture di tutto il mondo, e in particolare dell'Europa.

Dall'altro, una diffusione capillare della rete negli Stati Uniti può esercitare un effetto di trazione sui paesi, compreso il nostro, che hanno frequenti occasioni di scambio con l'America. Questo potrebbe portare, presto o tardi, a un'accelerazione dell'uso della rete (in particolare dell'e-mail) in tutta Europa - e anche in Italia.

Quali conseguenze ne possiamo trarre per il futuro immediato in Italia? Da un lato dobbiamo essere ancora più prudenti nel non farci illusioni: ogni tentativo di trasferire da noi, in modo acritico e sventatamente imitativo, il "modello americano" può portare a cocenti delusioni. Dall'altro dobbiamo aumentare l'impegno, soprattutto culturale, per non trovarci impreparati.

Già oggi è importante saper gestire la nostra attività rivolta al resto del mondo: che si tratti di esportazione di prodotti, di offerta di servizi o di scambio culturale. E chi impara oggi ad usare bene la rete - che sia una grande o piccola impresa, una persona impegnata in attività culturali, uno studente o un giovane ( anche non) in cerca di lavoro - ne avrà sicuramente un vantaggio domani. Un "domani" che sembra sempre più lontano, se guardiamo la nostra persistente arretratezza; ma che potrebbe avvicinarsi rapidamente se l'effetto di "trazione" che proviene dall'accelerazione americana (e dai suoi probabili riverberi in Europa) portasse molte persone e imprese ad accorgersi che "non possono più fare a meno" della rete.

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4. La buffa storia delle "traduzioni automatiche"
Trent'anni fa, quando i computer erano pochi ed enormemente ingombranti, trovai sul Daily Telegraph una notizia. Ne feci una copia, la incorniciai e la appesi al muro (mi divertì rivederla, molti anni dopo, ancora appesa negli uffici di amici e clienti cui l'avevo regalata).

Diceva:

A firm experimenting with an electronic brain designed to translate English into Russian fed it the words: "The spirit is willing but the flesh is weak." The machine responded with a sentence in Russian which meant, a linguist reported, "The whisky is agreeable but the meat has gone bad."

Cioè, più o meno:

Stanno sperimentando un sistema elettronico per tradurre dall'inglese al russo. Per provarlo, hanno inserito le parole "Lo spirito è forte ma la carne è debole". La frase in russo prodotta dalla macchina significa "Il whisky è buono ma la bistecca è andata a male".

Il motivo per cui tenevo quella frase appesa al muro non riguardava, allora, i computer (che si usavano quasi soltanto come "calcolatori"). Mi riferivo al fatto che anche nel normale dialogo umano spesso non è facile tradurre efficacemente un concetto da una lingua a un'altra. (L'aneddotica su questo tema è infinita; sarebbe divertente se non fosse spesso disastrosa).


Il 5 febbraio è uscita sull'Espresso una "bustina" di Umberto Eco (che spesso dimostra, con le sue osservazioni, di conoscere bene la rete). Eccone un estratto:

Dopo un mio intervento sulle traduzioni di Internet, Enrico Pedemonte segnalava sul numero scorso che Altavista ha preparato, sempre su Internet, un servizio di traduzione per frasi che l'utente può proporre. Affascinato dalla prospettiva sono andato a fare alcuni esperimenti. Debbo dire che per espressioni molto brevi e semplici la macchinetta funziona. Ho scritto "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro", l'ho fatto tradurre in inglese (dove viene maluccio: "Italy is one republic founded on the job"), ma ritraducendo in italiano ho avuto l'originale esatto.

Con una frase di Eraclito, che vi risparmio, il passaggio italiano-inglese-italiano dà risultati sgrammaticati, ma il senso rimane. Ho proposto "You must remember this, a kiss is just a kiss", e ho riavuto in italiano "Dovete ricordarsi di questo, un bacio siete giusti un bacio". Ritraducendo in inglese si riceve "You must ricordarsi of this, a kiss you are right a kiss".

Ho poi trascritto in francese l'inizio del "Discorso del metodo" di Cartesio, quello che dice che il buon senso è la cosa meglio distribuita al mondo. L'ho fatto tradurre in inglese, poi dall'inglese di nuovo in francese, poi di nuovo dal francese in inglese, e infine dall'inglese in italiano. Risultato: "Il buon senso è la cosa del mondo comune migliore, perché ogni pensa così buono dotato di lui, che questo stesso esso sia il più difficile da soddisfare quello in niente altro non ha nella pratica desiderare ancor più alcuni a lui". Quindi immaginatevi i vecchi nostri traduttori che traducevano i romanzi russi in italiano usando la versione francese. Ma il principe Andreij sarà morto davvero?

La maggiore malignità è consistita nel dare uno scioglilingua inglese che recita: "A tutor who tooted the flute tried to tutor two tutors to toot. Said the two to the tutor: Is it harder to toot, or to tutor two tutors to toot?". Il risultato italiano è stato: "Un insegnante privato che tooted la scanalatura, provato agli insegnanti privati dell'insegnante privato due a toot. Ha detto i due all'insegnante privato: E più duro a toot o agli insegnanti privati dell'insegnante privato due a toot?".

Questa storia, secondo me, ha una morale. Tutte le tecnologie sono buone, se usate nel modo appropriato; ma è estremamente pericoloso affidarsi passivamente alle tecnologie senza un attento controllo umano.

Un servizio di traduzione automatica potrebbe rivelarsi utile se mi trovassi nell'improvvisa necessità di comunicare in finlandese una frase molto semplice, come "arrivo a Helsinki giovedì alle 12,50 con il volo AY798". Ma non può essere lo strumento per un dialogo in cui due persone, o organizzazioni, abbiano bisogno di capirsi bene su cose un po' meno elementari e spesso non prive di sfumature importanti. Sono inorridito quando, alcune settimane fa, ho sentito una voce autorevole dire "la traduzione automatica renderà più facile il commercio elettronico per le imprese italiane". Se davvero ci fosse qualche impresa tanto sciocca da affidare a un meccanismo (o a persone insufficientemente preparate) la versione inglese (o in altre lingue) di un sito, o la sua corrispondenza con il mondo, credo che le conseguenze sarebbero tragicomiche.

Sarebbe un modo non solo per guadagnarsi una patente mondiale di analfabetismo ma (ancora peggio) per precipitare in un vortice di incomprensione.

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5. Alcune notizie interessanti
L'internet negli Stati Uniti diventa un'abitudine diffusa

Diverse fonti confermano che nel 1997 negli Stati Uniti c'è stato un cambiamento importante; l'uso della rete sta diventando un'abitudine diffusa nelle famiglie americane. Ci sono, come sempre, forti discrepanze fra le varie stime del numero di "utenti", che negli USA variano da 40 a 60 milioni. Ma un fatto è chiaro: l'uso della rete si sta allargando e sta cambiando.

Secondo uno studio di Intelliquest un quarto dell'attuale "popolazione online" si è collegato per la prima volta nel 1997. I nuovi arrivi provengono dalla "media America" che prima era poco rappresentata in rete: persone con livelli scolastici e di reddito un po' più bassi di quelle che le avevano precedute. Questo cambiamento indica una nuova percezione della rete come strumento abituale da parte della "gente comune".

Cyberdialogue dice che la presenza degli americani in rete è aumentata del 21 % dal secondo semestre del 1997 e osserva: "L'uso dell'internet continuerà a crescere nei prossimi cinque anni, ma il mercato diventerà più segmentato; lo strumento diventa più diffuso e le preferenze più divergenti".

Uomini e donne in rete

Secondo diverse fonti americane, c'è ancora una prevalenza maschile in rete ma continua a ridursi. Gli uomini sono circa il 57 % degli utenti negli Stati Uniti; le donne il 43 %, con tendenza a crescere.

Secondo fonti europee, le donne in rete sono il 28 % in Svizzera; in Germania le stime variano dal 12% al 30%, ma sembra comunque che la presenza femminile sia in aumento. In Gran Bretagna, anche secondo notizie recenti, l'uso della rete rimane prevalentemente maschile. In Italia, secondo una ricerca Eurisko, le donne che hanno la possibilità di accedere a un collegamento internet sono circa il 30 % del totale; questo sembra indicare un forte aumento della presenza femminile rispetto al passato, ma siamo ancora lontani da quella "parità" che sarà probabilmente raggiunta abbastanza presto negli Stati Uniti.

Una ricerca condotta da NOP per conto della Microsoft indica che negli USA il numero di donne che lavorano nella information technology è sceso dal 30 % nel 1989 al 15 % oggi. Invece nel sud-est asiatico l'impiego femminile in questo settore è oltre il 50 % (ma credo sia inevitabile chiederci quale sia la condizione del lavoro femminile in quei paesi). Secondo Debbie Walsh della Microsoft è "un problema di immagine": le donne hanno l'impressione che il settore sia dominato dai maschi e quindi tendono a starne lontane.

Le imprese non sanno come usare la rete

Una ricerca svolta da Fletcher Research in Gran Bretagna (Internet User Survey 1998) riferita e commentata da NUA indica che, mentre le imprese sono coscienti dell'importanza di avere un sito web, sono lontane dall'avere le idee chiare su come fare business in rete. Sembrano non capire che la rete ha bisogno di contenuti e di vera interattività. "Le persone non ritornano su un sito, per quanto attraente possa essere il suo aspetto ed efficiente la connessione, se è soltanto una versione imbellettata di una brochure aziendale". La maggior parte delle imprese che hanno un sito online sembra essere in rete solo per un "atto di presenza" e tende a copiare ciò che fanno le altre.

Se questo è un problema in un paese dove l'uso della rete è quattro o cinque volte più diffuso che da noi, non ci può sorprendere che le imprese italiane siano ancora più confuse - come confermano continuamente le verifiche sul nostro mercato.

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6. Un'altra statistica
Avevo già citato alcuni indici basati sulla frequentazione di un singolo sito. Naturalmente ogni caso ha le sue caratteristiche particolari, e quindi il significato di questi dati non ha valore "universale". Ma nonostante queste limitazioni mi sembrano sintomi interessanti del livello di attività in rete.

Devo alla cortesia di NUA i dati riguardanti il "traffico" sul loro sito negli ultimi due anni. Le percentuali che seguono sono una media fra vari indicatori.

Metà del traffico proviene da Stati Uniti e Canada. Il 10 per cento dal paese d'origine (l'Irlanda). Il 13 per cento dal resto dell'Europa. Il 27 per cento dal resto del mondo.

Ecco le percentuali per alcuni paesi:

Stati Uniti 47,11
Irlanda 10,16
Gran Bretagna 3,73
Australia 2,48
Canada 2,41
Germania 1,88
Francia 1,37
Giappone 1,15
Olanda 0,97
Svezia 0,95
Italia 0,75
Finlandia 0,58
Spagna 0,56
Brasile 0,52
Norvegia 0,45
Sudafrica 0,39
Austria 0,36
Singapore 0,32
Taiwan 0,32
Nuova Zelanda 0,35
Malaysia 0,30
Russia 0,25
Israele 0,25
Filippine 0,22
Hong Kong 0,20
India 0,18
Polonia 0,17
Grecia 0,15
Repubblica Ceca 0,15
Tailandia 0,14
Portogallo 0,14
Corea 0,14
Slovacchia 0,14

L'impressione che si ricava da questa analisi, come da altre simili, è che alcuni paesi ad altissima densità di utilizzo della rete (per esempio la Finlandia) ne facciano un uso prevalentemente "interno" e non abbiano una presenza nell'attività "globale" dell'internet proporzionale all'intensità della loro organizzazione nazionale. Fra i grandissimi paesi, si nota in una presenza irrilevante della Cina (se si esclude Hong Kong, 0,03 %) e invece una certa partecipazione dell'India: il che riflette un problema di lingua (molti indiani, ma pochi cinesi, sanno l'inglese) oltre alla "chiusura politica" che esiste in Cina (come in molti paesi del sud-est asiatico).

La presenza dell'Italia in questa analisi (come in altre simili) è in linea con le indicazioni generali degli hostcount, ma in proporzione ad altri paesi europei appare leggermente meno debole. Non è facile capire perché, ma potrebbe essere un sintomo interessante: se gli italiani in rete sono pochi, fra quei pochi c'è un nucleo "non piccolissimo" e abbastanza attivo, che si muove nella rete con più attenzione e curiosità? Non è dimostrabile "more geometrico", ma mi sembra un'ipotesi credibile.




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