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letterIl Mercante in Rete
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Al di là di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e
della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che davvero la
rete stia cominciando a entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone negli
Stati Uniti (e in pochi altri paesi). L'esperienza americana è quindi un punto di
riferimento di cui occorre tener conto; ma, secondo me, con molta cautela. Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, credo che sia pericoloso e deviante cercare di "copiare" passivamente il loro percorso. Per vari motivi.
Questi sono solo alcuni dei molti motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra; e nulla può farci pensare che le differenze siano superabili in tempi brevi. Come ho già detto, la nostra arretratezza non è necessariamente un male, dal punto di vista di una singola impresa od organizzazione; perché aprire nuove strade può essere faticoso e impegnativo, ma può dare un rilevante vantaggio concorrenziale. Credo che le possibilità di successo siano molte, anche per imprese italiane, ma penso che per ottenere buoni risultati l'esplorazione debba seguire tre strade diverse:
Insomma l'arretratezza italiana, come tutte le cose, può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma non mi stancherò mai di ripetere che la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su fantasia, flessibilità e pazienza: continua esplorazione e verifica. |
Fra qualche settimana saranno disponibili i dati su scala mondiale. Vedremo se ci
saranno novità. Intanto, può essere interessante osservare i dati di fine anno 1997 su
scala europea, secondo il solito hoscount RIPE. Numero di host internet in 18 paesi nell'area Europa-Mediterraneo Numeri in migliaia. 18 paesi con più di 50.000 host su un totale di 54 paesi nell'area RIPE (Réseaux IP Européens ) La parte verde delle barre in questo grafico rappresenta l'aumento nella seconda metà del 1997. Vediamo una crescita piuttosto vivace dei paesi più forti, che aumentano le distanze. Due paesi, Germania e Gran Bretagna, hanno superato la soglia del milione di host . Non si nota ancora un effetto degli interventi del governo di Parigi per correggere l'anomalia francese, cioè spostare il traffico dal minitel all'internet. Debole l'Italia, che è stata di nuovo superata dalla piccola Norvegia. Approfondiremo questo tema poco più avanti. Vediamo ora, come è ormai consuetudine, l'incidenza pro-capite. Host Internet per 1000 abitanti 21 paesi con più di 10.000 host e densità superiore a 4 - su 54 nell'area RIPE (Europa e Mediterraneo)
La Finlandia mantiene il suo tradizionale primato, i paesi scandinavi riconfermano una densità superiore al resto dell'Europa. La Germania cresce, ma non raggiunge la Gran Bretagna, che rimane al primo posto fra i "grandi paesi" europei. L'Italia non migliora la sua posizione, anzi perde terreno rispetto ad altri paesi; superata dall'Ungheria, dalla Repubblica Ceca e ancora una volta, anche se di poco, dalla Spagna. Fra i paesi dell'Unione Europea siamo al penultimo posto, insieme al Portogallo; dietro di noi c'è solo la Grecia. |
I dati RIPE del dicembre 1997 mostrano una diminuzione del 10 per cento nel numero di host
internet in Italia rispetto al mese precedente, mentre la crescita europea è del 2,5 per
cento. Non è il caso di sopravvalutare un'oscillazione che può essere momentanea; ma se
osserviamo la tendenza negli ultimi cinque anni vediamo che l'arretratezza italiana rimane
grave. A prima vista, se osserviamo i dati "assoluti", notiamo che anche da noi la rete ha avuto un certo sviluppo, specialmente dal 1995 alla prima metà del 1997. Host internet in Italia 1991-1997
La rete si è sviluppata molto, anche in Italia, rispetto a qualche anno fa; ma la crescita è discontinua e sta rallentando. Nella seconda metà del 1997 l'incremento medio mensile è sotto all'1 per cento, mentre per l'Europa è quasi il 4 per cento. Insomma non solo l'Italia non ricupera lo svantaggio, ma sta perdendo terreno. Il fenomeno si nota con evidenza se si osserva la variazione nel tempo delle percentuali di crescita. Host internet in Italia: percentuali di crescita trimestrali 1991-1997
Naturalmente nei primi anni le percentuali sono meno significative, perché si riferiscono a cifre piccole. Ma in tutti i periodi si nota un andamento discontinuo. C'è stata una crescita sostenuta nel 1995 dovuta probabilmente alla diffusione della disponibilità di accessi internet - e allo sviluppo di un nuovo fenomeno, la World Wide Web - ma quella spinta si sta esaurendo. Dall'inizio del 1996 (con l'eccezione di un "balzo" isolato nel gennaio 1997) le percentuali di crescita sono in declino. Può essere interessante osservare la variazione nel tempo della percentuale di host italiani rispetto al totale europeo. Host internet in Italia: percentuale rispetto all'area RIPE (Europa e Mediterraneo)
L'Italia ha gradualmente guadagnato terreno, dal 2 per cento nel 1990-92 al 3 nel 1993-95 al 4 nel 1996 e al 5 nel 1997, ma con una discesa a poco più del 4 per cento nell'ultimo periodo. Anche se ritornassimo, nei prossimi mesi, al 5 per cento sarebbe una quota molto bassa. Per esempio la Gran Bretagna, con una popolazione poco più numerosa e un reddito quasi uguale al nostro, ha quasi il 18 per cento degli host europei. C'è un miglioramento rispetto a cinque o sei anni fa, ma non basta. L'Italia ha il 12 % del PIL di tutta l'Europa, il 10 % dei telefoni, il 14 % delle automobili... ma solo il 4 % della rete. Dovremmo almeno triplicare la nostra quota per poter avere un ruolo nella rete paragonabile a quello che abbiamo nella situazione economica generale dell'Europa (e del mondo). Comunque si osservino i dati, l'arretratezza dell'Italia rimane allarmante. |
Alcune "voci" che si aggirano nel mercato dicono che nel 1997 in Italia le
entrate "pubblicitarie" dei siti in rete (in sostanza, banner )
siano state di circa un miliardo. Altre, che le imprese italiane abbiano investito in
questo genere di comunicazione circa due miliardi. Le due ipotesi non sono inconciliabili,
perché è facile immaginare che almeno metà della spesa italiana in banner
o cose simili sia andata su siti stranieri: per esempio sui grandi "motori di
ricerca" americani. Si tratta di cifre molto piccole. Un miliardo si trasforma in poco quando suddiviso fra molte centinaia di "pretendenti". Soprattutto, è un decimo dell'uno per mille degli investimenti pubblicitari in Italia. Le stesse "voci" dicono che ci sarà un brusco aumento nel 1998: la cifra salirà a 10 o 20 miliardi. Sempre pochissimi, rispetto agli investimenti pubblicitari nei mezzi tradizionali; ma molti rispetto alla realtà ancora piccola della rete in Italia. È possibile un tale cambiamento? Forse si. Ma il modo in cui potrebbe succedere è piuttosto bizzarro. È ragionevole pensare che alcuni grandi quotidiani, che stanno investendo nelle loro edizioni in rete, abbiano chiesto alle concessionarie (le organizzazioni che vendono spazi pubblicitari) di raccogliere un po' di denaro per sostenere il loro impegno. Fin qui, non è una cattiva idea: quelle iniziative meritano di essere sviluppate, e quindi sostenute anche da un punto di vista economico. Ma lo scenario è curioso... Immaginiamo il venditore di una di queste concessionarie che visita un cliente. Una grande azienda, un'agenzia di pubblicità o una delle grandi "centrali" di acquisto. Negozia un contratto per centinaia di milioni, se non miliardi. Alla fine dice "dunque, ci sarebbe anche l'internet..." e naturalmente presenta la rete come se fosse un qualsiasi altro mezzo. Armato di un po' di documentazione, propone un numero abbastanza irreale di "utenti" (come se fossero un "mercato" raggiungibile "in massa") e fa notare le loro caratteristiche: livello socioculturale e reddito elevato, persone attive e moderne, eccetera eccetera. I due interlocutori ragionano secondo le logiche dei mezzi tradizionali. Nessuno dei due ha il tempo o la voglia di approfondire. La cifra in gioco è molto piccola rispetto al contratto che si sta discutendo. Il venditore può anche "regalare" un po' di banner per "mettere una ciliegina sulla torta" (questa non è un'ipotesi, so che è già accaduto). Alla fine qualcosa (più o meno l'uno per mille del contratto medio) viene comprato. Qualche giorno più tardi, qualcuno (probabilmente product manager di un'azienda e l'account executive di un'agenzia di pubblicità) si trova con qualche briciola investita in questa nuova e sconosciuta cosa. Nessuno ha il tempo o la voglia di approfondirla. La faccenda passa di mano in mano, un po' distrattamente; finisce sul tavolo di qualche assistente, che cerca di liberarsene con il minor impegno possibile. Una pioggia di banner messi insieme più o meno a casaccio si abbatte sulla rete. Alla fine, gli apologeti grideranno esultanti: "decuplicati gli investimenti in pubblicità su Internet in Italia". Pochi, probabilmente, andranno a vedere di che cosa si tratta davvero. Così si sarà innestato un nuovo giro del circolo vizioso che porta verso la delusione e la mancanza di approfondimento. Ho detto molte volte che non credo nelle previsioni, specialmente in un territorio nuovo e mutevole come questo. Quindi non sto azzardando alcuna "profezia". Staremo a vedere che cosa succederà. Ma quello che ho descritto mi sembra uno scenario probabile. |
Un interessante articolo di Gerry McGovern pubblicato il 6 gennaio nel rapporto Year in Review
di NUA è intitolato Don't Believe the Image Makers (non credete ai
"fabbricanti di immagini"). È breve e chiaro; eccolo quasi per intero:
Non ho nulla da aggiungere, se non che in Italia siamo più indietro; le tendenze che questo articolo descrive sono meno sviluppate. Ma la strada è quella, anche per noi. Se seguiremo la direzione giusta, sarà meno difficile ricuperare il terreno perduto. |
Il 9 gennaio è uscito il primo numero di un nuovo mensile, Web Marketing Tools. Devo ammettere che non
sono del tutto obiettivo, perché hanno avuto la cortesia di chiedermi una collaborazione,
che comincerà dal numero di febbraio. Ma credo che sia un'iniziativa interessante. Mi hanno spiegato il loro progetto; mi sembra bene impostato. Tre punti fondamentali sono a loro favore:
Saranno i contenuti, nei prossimi mesi, a dirci se e come questa nuova iniziativa editoriale raggiungerà i suoi obiettivi e saprà dare un contributo valido e concreto alla cultura del marketing in rete. Ma credo che meriti di essere seguita con interesse fin dall'inizio. |
Il cosiddetto millennium
bug non riguarda previsioni apocalittiche o speranze
"millenaristiche" ma un problema, apparentemente banale, nella gestione delle
date da parte dei sistemi elettronici. Il tema è molto discusso, con opinioni diverse fra chi lo considera un dettaglio irrilevante e chi pensa che ci siano davvero rischi gravi. Sembra che non ci siano problemi per quanto riguarda i personal computer e i software che abitualmente usiamo. Ma alcuni grandi sistemi potrebbero andare in crisi; e le conseguenze ricadrebbero non solo su chi usa un computer, ma su qualsiasi persona che dipenda, per qualsiasi motivo, da qualcosa che viene gestito da un apparato elettronico pubblico o privato. In pratica, tutti. L'origine del problema sta nel fatto che negli anni sessanta, quando i sistemi di conservazione dei dati erano molto meno potenti e molto più costosi di oggi, si considerava rilevante l'economia di memoria ottenuta con l'uso di numeri a due cifre invece di quattro. Ne risultano programmi, ancora in uso, che non sono in grado di gestire date oltre il 31 dicembre '99. Che un problema così ovvio sia rimasto ignorato per più di trent'anni, e che solo oggi si tenti di risolverlo, è un'ennesima dimostrazione dell'infinita potenza della stupidità umana. Non è facile capire quanti e quali sistemi possano andare in crisi. Ma il problema esiste, e se ne sono già sentite le prime conseguenze. Per esempio migliaia di carte di credito sono risultate inutilizzabili perché alcuni sistemi di controllo non riescono a decifrare le date di scadenza se vanno oltre l'anno 1999. Questa bizzarra situazione può creare anche problemi legali. In un articolo di Daniel R. Mummery e Thomas A. Unger pubblicato dal National Law Journal il 3 novembre 1997 si mettono in evidenza i complessi fattori giuridici per cui un'inefficienza del sistema di elaborazione può tradursi in responsabilità per inadempimento o informazione non corretta. Non è questa la sede per approfondire un argomento così complicato e non credo che ci siano motivi di esagerato allarme; ma penso che per molte imprese e organizzazioni sia opportuno assicurarsi che non ci siano inconvenienti tecnici le cui conseguenze potrebbero essere imprevedibili. Evitando però di cadere in braccio a qualche spacciatore di panacee, perché (come fanno notare anche Mummery e Unger) può succedere che il rattoppo sia peggio del buco. |