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timone1.gif (340 byte) Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it


Numero 11 -  24 novembre
1997
1. Editoriale: Censure, norme e regole
2. Le imprese italiane in rete: una ricerca della Bocconi
3. Il valore del gratuito
4. Un'altra stima del numero di utenti
5. Alcune notizie interessanti
6. La terza eta in rete
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loghino.gif (271 byte) 1. Editoriale: Censure, norme e regole
Qualcuno può pensare che il problema della libertà di opinione nella rete sia "indifferente" per chi intende usarla a fini commerciali o comunque d'impresa. O meglio che ciò debba comunque interessarci come cittadini, ma dal punto di vista "mercantile" il tema sia secondario.

Non credo che sia così, per varie ragioni.

  • L'esperienza dimostra che anche l'attività commerciale, o comunque d'impresa, si svolge male in un ambiente chiuso e condizionato. Ne nasce un mercato distorto che favorisce alcune imprese (quelle che hanno legami con il potere controllante, che siano protezioni e favori o forme spinte di connivenza o corruzione) a scapito di tutte le altre.
  • Una crescita viva e sana della rete, e di quelle comunità che ne sono la principale forza portante, apre terreni favorevoli anche per attività d'impresa. La libertà di opinione e di organizzazione è la spinta portante di uno sviluppo sociale e umano che sviluppa gli spazi in cui un'attività commerciale si può inserire in modo assai più efficace, fertile e duraturo di quanto accadrebbe se dovesse "creare" da sola gli spazi di dialogo in cui operare.
  • Quando si comincia con la censura e la repressione, non si sa dove si va a finire. Ogni condizionamento del libero scambio di informazioni e di idee finisce con l'essere un freno anche per l'attività delle imprese.

Alcuni si rendono conto di questi fatti. Si sentono voci in favore della libertà di opinione anche in convegni o altre occasioni di dialogo orientate a temi "commerciali". Ma credo che questa percezione non sia ancora abbastanza diffusa.

Esistono pericoli reali di censura e repressione? L'argomento è controverso e sono frequenti le "dichiarazioni" di principio in senso contrario, da parte di autorità di ogni specie. Ma il problema rimane. Nel giugno 1996 avevo compilato un piccolo elenco dei pericoli in un appunto chiamato scherzosamente Cassandra (ma che non è uno scherzo) di cui ho fatto, pochi giorni fa, un parziale aggiornamento. Nel frattempo da un lato si è diffusa una coscienza anti-repressione; ma dall'altro si moltiplicano i tentativi, con i pretesti più svariati, di introdurre norme inutili quanto pericolose. Di molti che si erigono a "protettori" della rete è meglio diffidare. Timeo Danaos, et dona ferentes.

Le regole che non servono e quelle che ci vorrebbero

Non sono convinto che ogni cosa possa sempre essere lasciata al libero gioco del "mercato". Un mercato sano e competitivo ha bisogno di alcune regole, semplici e chiare; e può giovarsi di un quadro di riferimento in cui le autorità (nazionali o sovranazionali) definiscono gli orientamenti.

Una serie di riferimenti, in buona parte corretti e positivi, sono definiti dall'Unione Europea nella già citata Dichiarazione di Bonn. Ma fra il dire e il fare...

Finora il legislatore italiano si è dedicato a concepire regole inutili o sbagliate (o così tortuose da avere l'effetto contrario) e si è dimostrato scarsamente capace di definire le norme "giuste" e utili. Neppure l'Unione Europea ha dato, finora, prove molto positive della sua capacità di capire e inquadrare il fenomeno.

Anche nel convegno organizzato dall'AIIP a Napoli il 31 ottobre per presentare la nuova associazione EuroISPA (in cui brillava per la sua assenza la voce dei cittadini utilizzatori della rete) si è sentito ripetere, specialmente da parte dei rappresentanti dell'Unione Europea, che bisogna evitare di "regolare per il gusto di regolare", che nella maggior parte dei casi non c'è alcun bisogno di norme specifiche per la rete e che comunque in primo luogo va favorita e difesa la libertà di comunicazione, sia personale, sia "commerciale". Si è anche levata qualche voce critica sulla legislazione italiana esistente e in corso di elaborazione; e si sono manifestate giustificate preoccupazioni su qualsiasi tentativo di "classificazione" dei contenuti. Insomma le "buone intenzioni" non mancano, ma si tratterà di vedere se e come alle parole seguiranno i fatti e se la diffusa "normomania" sarà davvero bloccata, o almeno controllata, da un'applicazione di questi "sani princìpi".

Si parla della prossima costituzione di una Authority in Italia per il sistema delle telecomunicazioni. L'idea, in sé, non è sbagliata. Ma occorrerà un'attenta sorveglianza per evitare due pericoli. Il primo è che l'attenzione si concentri quasi esclusivamente sui "grandi temi" della telefonia e dei mezzi a larga diffusione (televisione e radio) e trascuri il fenomeno, ancora piccolo, della rete; l'altro, ancora peggiore, è che si cerchi di "normarlo" senza averlo capito.

Per esempio il recente provvedimento tariffario del Ministero delle poste e Telecomunicazioni è stato applaudito da quasi tutti come "un primo passo, inadeguato ma nella direzione giusta"; tuttavia mi sembra molto discutibile. Il meccanismo che costringe ogni singolo utente a chiedere (se la vuole) la tariffa "privilegiata" è inutilmente macchinoso e complesso. Ma soprattutto il provvedimento favorisce solo gli "utilizzatori pesanti" di telefonia. Non giova affatto a chi (per esempio nell'uso della posta elettronica) fa collegamenti brevi e frequenti. Incoraggia invece chi sta ore al telefono o in collegamento... per fare chiacchiere a voce o chat in rete. Favorisce un aumento di quel "carico di banda" che il nostro sistema telefonico fa già fatica a sostenere. Non sarebbe stato difficile trovare una soluzione più efficiente, se si fosse badato un po' di più agli interessi reali degli utenti e si fosse capito un po' meglio quali tendenze di sviluppo della rete sono da incoraggiare.

Quali norme servirebbero davvero?

Prima di tutto provvedimenti (necessariamente a livello internazionale, cominciando dagli Stati Uniti) che portino all'eliminazione di situazioni di monopolio.

Poi anche interventi atti a favorire una riduzione dei costi, sia dei collegamenti, sia di tutto ciò che occorre per operare in rete (compresi computer e software). Nel primo caso si tratta di una pura e semplice riduzione di tariffe, assai più estesa e generalizzata di quel poco che si è fatto finora. Invece per quanto riguarda attrezzature e programmi occorre favorire la diffusione di prodotti più semplici, perfettamente adeguati allo scopo e molto meno complessi e costosi di ciò che oggi si cerca di far sembrare necessario.

Soprattutto una diffusione di cultura che metta non solo gli "utenti" della rete (e in generale dell'informatica) ma tutti i cittadini in condizione di valutare le loro reali esigenze e di capire meglio come scegliere soluzioni, tecnologie e canali di comunicazione. Non è un sogno arrivare a soluzioni molto più pratiche e concrete; che sono possibili anche con tecnologie già esistenti, per non parlare di altre che sarebbe facile sviluppare se ce ne fosse la volontà "politica" e strategica.

Infine, c'è la chiara necessità di contrastare alcune storture, specialmente nell'uso commerciale della rete, come per esempio lo spamming e le violazioni della privacy. È molto probabile che nessun provvedimento legale o comunque normativo possa risolvere efficacemente questi problemi. Sarebbe molto più efficiente, anche in questo caso, una diffusione di cultura, che generi una "presa di coscienza" più forte e diffusa e così metta in difficoltà chi commette abusi (e, così facendo, rischia di nuocere a un sano sviluppo della rete).

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loghino.gif (271 byte) 2. Le imprese italiane in rete:
  una ricerca della Bocconi
Il 21 ottobre l'Università Bocconi ha annunciato la costituzione di un osservatorio per studiare lo sviluppo dell'internet in Italia, specialmente dal punto di vista delle imprese.

In quell'occasione è stata presentata una ricerca che riguarda il comportamento delle "medie e grandi" imprese italiane nell'utilizzo della rete. Vorrei sottolineare il comportamento corretto e professionale della Bocconi che, a differenza di altre "fonti" (su questo come su tanti altri argomenti) risponde con chiarezza e trasparenza a domande sulla metodologia di ricerca; il che rende i suoi risultati più credibili e interessanti. C'è qualche piccolo problema, come il fatto che all'indagine hanno risposto in prevalenza gli "addetti ai lavori", cioè persone all'interno delle imprese particolarmente interessate all'argomento, il che potrebbe tendere a dare un quadro un po' più "roseo" del vero; ma poiché i risultati confermano il ben noto disorientamento generale ne possiamo dedurre che l'analisi (pur nei limiti di qualsiasi ricerca svolta, come questa, per telefono) è sostanzialmente corretta e significativa.

L'indagine è stata svolta su un campione rappresentativo di 268 imprese su un "universo" delle prime 2000 imprese italiane. Il primo dato è apparentemente ottimistico: il 75% delle imprese intervistate ha un collegamento internet e il 44% ha un sito web. C'è un forte incremento rispetto ad analisi precedenti. Ma meno del 4% di queste imprese svolge attività di "commercio" online.

Utilizzo di funzioni in rete da parte di imprese italiane "grandi e medie"
(ricerca Bocconi, ottobre 1997)
grafico

Curiosamente, questo potrebbe anche essere considerato un buon sintomo, perché dimostra che poche imprese si avventurano nel "commercio online", inteso come vendita di prodotti tramite un sito web, senza averne seriamente valutato l'utilità. Ma da un'analisi più approfondita risulta che c'è scarsa sperimentazione anche per altri sistemi di marketing in rete. Meno del 7% delle imprese che hanno una intranet (1% del totale) ha aperto la sua rete interna a "partner d'affari" e meno del 19% (3% del totale) a clienti e fornitori. Complessivamente sembra che meno dell'8% delle imprese intervistate abbia qualche forma di attività, sia pure sperimentale, che si possa definire marketing in rete. Solo il 10% delle imprese che ha una "extranet" (0,7% del totale) gestisce i dati per costruirne una database.

Solo il 17% delle imprese che hanno un sito web (8% del totale) fornisce assistenza al cliente e meno del 9% (4% del totale) tenta di sviluppare qualche forma di dialogo, come forum o chat.

Solo metà delle imprese che hanno un sito web svolge la sia pur minima ed elementare verifica, come un'analisi statistica sugli accessi.

La Prof. Andreina Mandelli, nel commentare questa ricerca, osserva che le funzioni marketing e comunicazione sono ancora poco rilevanti nel management di Internet in impresa e così conclude:

Sembra utile sottolineare la necessità che si faccia un salto nella capacità di offrire valore agli utenti della rete se si vuole aumentare il potenziale degli utenti interessati a questi servizi. Il circolo virtuoso della diffusione di Internet (il contenuto tira gli utenti i quali tirano altri utenti e altri servizi) può trasformarsi altrimenti in un circolo vizioso, condannando il nostro paese a un ritardo imperdonabile nello sviluppo di una innovazione che promette di cambiare non solo il modo di fare business ma anche la società.

Ancora una volta... nonostante il continuo e superficiale clamore, l'Italia rimane arretrata; e per fare reali progressi è necessario abbandonare le interpretazioni dominanti della rete come spettacolo e apparenza, per sviluppare valori molto più concreti di contenuto e di servizio - e di vera interattività.

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loghino.gif (271 byte) 3. Il valore del "gratuito"
Si è già parlato di una nuova nozione di prezzo e valore; contro la logica dell'economia tradizionale, nell'economia connessa un bene ha tanto più valore quanto più è diffuso, e perciò il prezzo delle cose di maggior valore "tende a zero". O almeno dovrebbe essere così, se non si frapponessero situazioni monopolistiche e manovre speculative che rallentano il fenomeno e talvolta tentano di rovesciarlo.

Ma non è solo questo il motivo per cui nella rete è importante il valore del gratuito.

Osserva Keith Porterfeld in una sua interessante relazione alla First O'Reilly Perl Conference che in un mondo senza software gratuito gran parte delle cose che siamo abituati a fare sarebbero impossibili. Senza freeware non ci sarebbe l'Internet. Non si tratta solo del fatto che la rete, in sé, è gratuita; come è, da sempre, gratuito e pubblico il protocollo TCP/IP. Lo sono anche molti dei programmi con cui funziona. Per esempio, se non ci fossero programmi freeware:

  • Più di metà dei siti web sparirebbero. Il software che fa funzionare la maggior parte dei website è freeware, come il server Apache.
  • Quelli rimasti sarebbero poveri di contenuto. Nonostante ciò che vogliono farci credere gli"evangelisti" di Java o ActiveX, la maggior parte dei contenuti è generata con linguaggi di programmazione freeware, come Perl.
  • Sparirebbero gli indirizzi internet e web così come li conosciamo, perché i sistemi di conversione da codici numerici a parole dipendono quasi completamente dal software gratuito BIND (Berkeley Internet Name Daemon).
  • Quasi tutte le aree di dialogo (mailing list)sparirebbero; il software più diffuso per la loro gestione, Majordomo, è freeware. E non funzionerebbe neppure la posta elettronica, perché la maggior parte della posta in rete viene gestita dal programma gratuito Sendmail
  • Sparirebbero anche i gruppi Usenet, perché la gestione degli articoli è fatta da INN, un altro software gratuito che gestisce migliaia di siti in tutto il mondo.
  • Perfino lo sviluppo di software commerciale si bloccherebbe, perché l'uso di strumenti della Free Software Foundation è essenziale per tutti i programmatori.

Eccetera...

Porterfeld fa notare che i prodotti freeware sono meglio dei loro corrispettivi commerciali e offrono una migliore assistenza. L'apparente paradosso è spiegato da due fatti:

  • I programmatori di freeware possono contare sulla spontanea e libera collaborazione di un gran numero di persone esperte e competenti, che si dedicano volentieri a provare i loro prodotti e a suggerire miglioramenti. Questo è un "lusso" che chi produce software commerciale non si può permettere. Ci sono molti articoli in rete che spiegano questo fenomeno, come quello (a proposito di Linux) di Eric Raymond, The Cathedral and the Bazaar
  • Mentre le grandi imprese produttrici di software e hardware offrono troppo spesso un'assistenza inadeguata, burocratica e di non facile accesso, il mondo del freeware è sostenuto da mailing list e gruppi Usenet aperti a tutti e popolati di persone disponibili a dare spiegazioni e consigli.

C'è uno scontro in atto fra due culture: quella del software commerciale e quella del software gratuito. Il diffuso mondo dello shareware è un po' una mescolanza delle due cose; ma alla radice c'è una contrapposizione radicale. In realtà, come osserva giustamente Porterfeld (e come dice la O'Reilly & Associates a proposito del linguaggio Perl) le due ideologie e i due metodi non sono inconciliabili; ci sono possibilità molto promettenti nella collaborazione e questa è probabilmente l'unica strada per uno sviluppo di qualità.

Se questo può sembrare strano, è solo per un conflitto culturale. Finora la percezione diffusa fra i meno esperti (dovuta anche all'eco superficiale dei "mass media") è che esistano solo, o quasi, i prodotti commerciali; mentre chi crede nello sviluppo di software gratuito e "a disposizione di tutti" (si tratta soprattutto di persone con una buona preparazione tecnica) guarda con disprezzo ogni attività "con fini di lucro". Credo che abbia ragione chi pensa che la barriere debbano essere superate e che sia possibile, anzi desiderabile, non solo una convivenza ma una collaborazione più stretta fra i due mondi. Gli utenti avrebbero prodotti migliori a prezzi molto più bassi e questo non toglierebbe a produttori e commercianti l'incentivo economico, perché ci sarebbero sempre per loro possibilità di guadagno molto interessanti. Credo che questo sviluppo potrebbe avere un'accelerazione se i "consumatori" fossero meglio informati e più coscienti delle loro esigenze; e se il mondo dell'intermediazione (rivenditori, installatori, tecnici di assistenza) avesse una competenza che oggi è troppo spesso carente.

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loghino.gif (271 byte) 4. Un'altra stima del numero di utenti
Come ho già detto molte volte, imperversano i tentativi di calcolare o misurare il numero di "utenti" internet e sono tutti imprecisi. Non si può quindi attribuire alcuna certezza o precisione neppure a questa serie di dati, che tuttavia è interessante per due motivi: perché è recente (novembre 1997) e perché è proposta da un'organizzazione irlandese, NUA, che studia la rete con molta attenzione e con interpretazioni spesso interessanti e significative.

Le fonti sono molteplici. La definizione di "utente" è una persona che ha usato la rete negli ultimi tre mesi, indipendentemente dal fatto che abbia o no un contratto con un provider. Secondo NUA il rapporto medio fra titolari di contratti e "utenti" in senso lato è circa 1:3. Un'altra caratteristica di queste stime è che riguardano tutte le età; cioè non solo gli adulti ma anche bambini e adolescenti.

Secondo NUA il numero di utenti nel mondo è di circa 86 milioni; credo che questa sia una cifra esagerata, o basata su un concetto piuttosto esteso di "utente". Infatti la stessa NUA riferisce che secondo Midas sarebbero 57 milioni e secondo Intelliquest 51.

Per grandi aree geografiche, questo è il quadro secondo NUA (milioni di utenti):

Nord America 54
Europa 15
Asia 12
Oceania 2
Sud America 1,25
Africa 1
Medio Oriente 0,75

Ecco le stime NUA per 48 paesi (per alcuni ci sono due o tre cifre diverse, secondo le fonti).


Numero (migliaia) Densità (per 1000 abitanti)
Stati Uniti 40.000 - 45.000 - 51.000 151 - 193
Giappone 8.000 - 8.600 64 - 69
Canada 8.000 280
Gran Bretagna 4.000 137
Germania 4.000 98
Svezia 1.900 216
Australia 1.210 67
Olanda 1.000 65
Taiwan 700 - 1.260 33 - 59
Brasile 764 - 1.000 5 - 6
Spagna 750 19
Sudafrica 700 17
Corea 700 7
Singapore 500 175
Nuova Zelanda 500 140
Norvegia 500 115
Finlandia 500 98
Danimarca 500 97
Israele 500 89
Hong Kong 500 85
Francia 400 7
Italia 400 7
Russia 200 - 300 - 600 1 - 4
Belgio 200 20
Portogallo 200 20
Cina (esclusa Hong Kong) 150 - 200 0,1
India 80 - 120 - 240 0,1
Estonia 108 71
Irlanda 100 28
Ungheria 100 10
Filippine 100 1,5
Colombia 63 1,8
Argentina 61 1,8
Emirati Arabi 45 24
Libano 35 12
Egitto 35 0,6
Perù 31 1,3
Malaysia 30 0,1
Kuwait 29 19
Giordania 12 2
Venezuela 12 0,5
Oman 11 5
Uruguay 9 3
Qatar 8 15
Bolivia 8 1,1
Bangladesh 7 0,05
Ecuador 5 0,4
Paraguay 1 0,2

Anche dall'analisi di NUA risultano confermate forti discrepanze nei dati secondo le fonti.

Non è difficile rilevare alcune incongruenze. Per esempio è bizzarra l'ipotesi che gli utenti in Brasile siano un milione (o anche 700.000, specialmente se si confrontano queste cifre con le stime per altri paesi, come l'Argentina). Anche le stime per il Canada e il Giappone sembrano molto esagerate; i dati della Spagna e del Portogallo sembrano sfasati rispetto a quelli di altri paesi europei. Ho trascurato in questa tabella un'ipotesi di Nasscom secondo cui ci sarebbe oltre un milione di utenti internet in India, che appare assurda nella situazione attuale (ma potrebbe, un giorno, diventare vera). Il numero totale di utenti in Asia viene da alcuni stimato 5 milioni, da altri 10 o 12. In America Latina ci sarebbe un milione di utenti secondo Avantel, più di 5 secondo Star Media. Insomma la "ridda delle cifre" rimane molto confusa ñ non solo in Italia.

Se pensiamo che quest'analisi è condotta da uno degli osservatori più seri, abbiamo l'ennesima conferma della scarsa attendibilità (e soprattutto non comparabilità) dei dati, che mancano di ogni precisione numerica e possono fornire solo stimoli e indicazioni approssimative.

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loghino.gif (271 byte) 5. Alcune notizie interessanti
Cresce il "bricolage"

Per ora l'eco di questo fatto è scarsa, sulla stampa come in rete; ma si sta diffondendo, più di quanto sembri, la tendenza a "recuperare" vecchi computer o a montarli con parti reperibili nei "mercatini delle pulci" - per esempio a Porta Portese a Roma. Per quanto ancora modesto, questo è un sintomo interessante: non tutti si lasciano abbacinare dalle offerte di macchine sempre più potenti e software inutilmente complessi.

Cresce la presenza femminile

Di solito non credo alle profezie... ma questa mi sembra più ragionevole di tante altre. Uno studio di NetSmart-Research dice che entro il 2005 ci saranno più donne che uomini in rete (comunque tutte le fonti concordano sul fatto che la presenza femminile è in aumento). Secondo questa analisi le donne, che più spesso degli uomini sono oppresse dalla doppia responsabilità del lavoro e della famiglia, usano la rete con forte pragmatismo, come uno strumento per risparmiare tempo. Bernadette Tracy, presidente di NetSmart, dice che sono gli uomini a usare la rete come giocattolo. Secondo questo studio il 57 per cento delle donne che usano la rete guarda meno la televisione, il 21 per cento legge meno giornali e il 19 per cento compra meno riviste. Si conferma, anche in questo caso, che l'interattività e le relazioni sono il motivo principale di utilizzo della rete.

Qualcosa cambia in India

Il governo indiano ha deciso la "privatizzazione" dell'internet. Cioè permette la moltiplicazione degli ISP (Internet Service Provider). Non ci sarà alcun limite, dice l'annuncio governativo, al numero di ISP che potranno esserci; le forze del mercato saranno libere di determinare il prezzo di accesso che gli ISP privati faranno pagare agli utenti. Gli ISP potranno accedere non solo alla rete telefonica ma anche alle reti di comunicazione delle Ferrovie, della State Electricity Board (l'equivalente del nostro ENEL) e di Powergrid Corp. of India. Sembrano, come il solito, esagerate le previsioni (si immagina che il numero di utenti indiani cresca da 40.000 a due milioni in due anni) ma questa decisione, da tempo annunciata, potrebbe davvero dar luogo a cambiamenti importanti. E se l'esempio fosse seguito da altri paesi...

Un piccolo spiraglio in Arabia Saudita (ma con censura)

Il 5 novembre la Saudi Gazette ha annunciato che l'Arabia Saudita permetterà un "accesso limitato" all'Internet. Il governo ha incaricato la King Abdul-Aziz City for Science and Technology, un'organizzazione statale per la ricerca avanzata, di studiare un sistema di censura della rete per proteggere "i valori etici e religiosi" del paese. Il governo saudita si dichiara preoccupato per la presenza nella rete di "materiale pornografico e illecito" ma il vero problema è un altro: la stampa in Arabia Saudita è sottoposta a pesante censura e si vuole mantenere il controllo sulla diffusione di idee e informazioni.

Internet "per pochi" in Vietnam

Il governo vientamita, che proibiva ogni accesso alla rete, ha deciso di aprire collegamenti all'internet. Ma i costi saranno proibitivi per la maggior parte della popolazione.

Le imprese non capiscono la rete

Non solo in Italia, ma anche in paesi molto più avanzati nell'internet, come la Gran Bretagna, il valore della rete come strumento di comunicazione e di marketing non è capito dalle imprese. Questa valutazione emerge da un recente convegno a Londra. Mentre negli Stati Uniti si spendono 358 milioni di dollari in web advertising, in tutta l'Europa la spesa stimata è solo 6 milioni. Secondo Simon Darling, Marketing & Electronic Commerce Manager dell'Unilever, il motivo non è la mancanza di imprese disposte a investire, ma la fondamentale incapacità di capire lo strumento da parte dei brand manager e delle agenzie di pubblicità, che tentano di applicare alla rete i criteri del marketing tradizionale.

La posta elettronica unisce le famiglie

Come è noto, le università e scuole americane sono "residenziali" e quindi ragazzi e ragazze lasciano la famiglia quando vanno agli studi superiori. Secondo una notizia pubblicata dal Washington Post il 3 novembre, molti genitori sono stupiti di come l'e-mail aumenta la frequenza del dialogo. Notano anche che la comunicazione fra genitori e figli in posta elettronica è spesso più aperta che per telefono, o perfino di persona. Un vantaggio dell'e-mail è la sua praticità - e specialmente il fatto che può essere usata in qualsiasi momento nelle 24 ore, senza interferire con la routine scolastica o altre attività. Secondo questo articolo, su nove milioni di studenti americani all'università sette usano regolarmente la posta elettronica.

Una nuova cultura per le nuove generazioni?

Nel suo libro Growing up Digital, Don Tapscott sostiene che la crescente diffusone dell'uso della rete fra i teenager avrà un effetto rilevante sull'evoluzione della società nei prossimi anni. Chi si abitua, fin dall'adolescenza, al dialogo in rete sviluppa una personalità "emozionalmente e intellettualmente aperta, innovativa e di libera forte espressione". Tapscott pensa che quando queste persone entreranno nella vita di lavoro "costringeranno le imprese a diventare meno gerarchiche, più aperte e più collaborative".

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loghino.gif (271 byte) 6. La "terza età" in rete
Secondo i risultati, riferiti da Third Age, di uno studio condotto da Excite negli Stati Uniti il 14% delle persone che usano la rete ha più di 50 anni. Da questo studio risulta che le persone di "terza età" sono andate in rete inizialmente per curiosità, per "provare qualcosa di nuovo", ma ora la frequentano con lo stesso entusiasmo dei loro nipotini; l'83% dei Wired Ager, secondo questa ricerca, si collega tutti i giorni.

Le persone della "terza età" usano l'e-mail più spesso dei loro figli; fanno ricerca in rete e scaricano software con la stessa frequenza delle persone più giovani. Sono di livello culturale elevato; l'86% ha frequentato un college e il 50% ha un titolo universitario. Hanno redditi alti: il 65% oltre 40.000 dollari, il 31% oltre 70.000. Due terzi sono uomini, un terzo donne. Hanno generalmente una vita attiva, anche di lavoro; solo il 25% si considera retired, cioè "a riposo".

Ma anche negli Stati Uniti, per ora, l'uso della rete si concentra nella fascia più giovane della "terza età"; secondo questa ricerca il 49% dei Wired Ager ha meno di 54 anni e il 32% ha ancora figli in casa.

Insomma la presenza degli "anziani" in rete è ancora limitata, ma tenderà a crescere, non solo per il naturale invecchiamento di chi ha già l'abitudine di collegarsi; si sviluppa anche con l'afflusso di persone che imparano a usare la rete per la prima volta nella "terza età". Sarebbe desiderabile, in Italia come dovunque, che questa tendenza fosse incoraggiata e potesse estendersi anche a persone più vecchie e di livello economico e socio-culturale meno elevato; specialmente a chi rischia di trovarsi in una situazione di isolamento o di minor partecipazione sociale. Ma per questo occorrerebbero iniziative adeguate, soprattutto a livello culturale e formativo, per superare le resistenze di chi diffida della tecnologia (o teme di non essere capace di usarla).


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