Numero 44 15 aprile
2000 |
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1. Editoriale: La borsa si sgonfia un po' |
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Crollo, catastrofe, sconquasso. Grida di sgomento, voci
di sconforto. Allarmi, vertici, consessi, disquisizioni. Che
cosè successo? Praticamente nulla. Le quotazioni
Nasdaq sono in discesa; di conseguenza nelle borse europee (e
in particolare in Italia) cè meno entusiasmo sui
titoli "tecnologici". Laggiustamento è
fisiologico. Il pallone gonfiato, presto o tardi, doveva
liberarsi di un po daria calda. The bubble, la bolla di
sapone, non è scoppiata; ma deve almeno
ridimensionarsi. Sta cominciando a succedere; e naturalmente
si scatenano ondate speculative che approfittano delle
oscillazioni (e in parte si riflettono anche sulle quotazioni
dei titoli "tradizionali"). In teoria sarebbe il
momento di comprare, ma gli esperti dicono che ci vuole
prudenza; perché sanno che anche dopo il ribasso
parecchi titoli sono quotati molto più di quello che
valgono.
Un caso curioso è quello della Microsoft. Il 6
aprile è stata pubblicata la
sentenza del
giudice Thomas Penfield Jackson un testo lungo e complesso
in cui sono attentamente documentati alcuni dei comportamenti
scorretti di quellimpresa. Il titolo Microsoft è
crollato in borsa. In parte, forse, questo fatto ha
contribuito a innescare una caduta generale nei settori delle
"nuove tecnologie". Si tratta ovviamente di
unennesima manovra speculativa che sfrutta leffetto
"psicologico" della notizia e che non trova alcuna
giustificazione in problemi reali. I fatti analizzati nella
sentenza erano pubblicamente noti da molto tempo. Si sapeva
da anni che la posizione monopolistica della Microsoft era
sotto esame (purtroppo solo in America... quasi tutto il
resto del mondo, compresa lEuropa e in particolare lItalia,
continua a trascurare il problema e a subire, con
imperdonabile acquiescenza e incomprensibile entusiasmo, i
molteplici danni provocati da quel monopolio e anche da altre
"posizioni dominanti"). Ora è uscita una
sentenza, che costituisce un precedente importante non solo
sul caso specifico, ma in generale sulle strategie più
o meno monopolistiche e perverse seguite anche a altre
imprese (probabilmente ne riparleremo in un prossimo numero
di questa rubrica). Ma ci vorranno mesi, forse anni, anni
prima che se ne sentano gli effetti concreti; e intanto la
Microsoft continuerà a fare profitti esagerati. Nulla
giustifica una caduta della sua quotazione in borsa in quel
particolare momento.
Per quanto riguarda il mercato in generale, nessuno
(neppure i più esperti analisti finanziari) sembra in
grado di prevedere se ci sarà una ripresa nel breve
periodo o se lo "sgonfiamento" continuerà
fino a portare le quotazioni a basi più ragionevoli. I
riflessi sulleconomia reale sono nulli. Leconomia americana
continua a crescere, indipendentemente dagli isterismi della
borsa. La situazione delleconomia e del lavoro, anche in
Europa, è determinata da fattori complessi che hanno
assai poco a che fare con le quotazioni in borsa. Lo sviluppo
dellinternet e della nuova economia non è un
episodio; è una tendenza forte che continua e
continuerà. Una "pausa di meditazione" dei
mercati finanziari era inevitabile; ed è un bene.
Chi ci va di mezzo, naturalmente, è il mondo dei
piccoli investitori. Quello che nel vecchio gergo della borsa
si chiamava "il parco buoi". Ma presto o tardi
doveva succedere. Gli italiani hanno imparato, molto
più tardi degli altri, a investire i loro risparmi nel
finanziamento delle imprese e non solo in titoli di stato.
Questo è un bene. Ma molti si sono illusi di poter
contare su una crescita smisurata e infinita. Non poteva
durare. Un ridimensionamento (modesto, almeno per ora,
rispetto alle molte valutazioni esagerate) era inevitabile;
speriamo che serva a orientare gli investimenti su scelte
più meditate e meno speculative.
Forse è finalmente venuto il momento in cui si
comincerà a capire che la nuova economia non è
la speculazione finanziaria, ma qualcosa di molto più
solido e importante. Per la verità (e per fortuna)
alcune voci autorevoli, anche in Italia, avevano segnalato il
problema prima ancora del "crollo" sui mercati
finanziari.
Già il 26 febbraio Antonio Fazio, governatore
della Banca dItalia, si era espresso con lucidità.
Aveva spiegato come la new economy possa essere una grande
occasione per le imprese italiane, e specialmente per le
"piccole e medie"; tale da poter premettere uno
sviluppo simile al "miracolo economico" degli anni
cinquanta. Ma a condizione che si esprima in fatti reali:
prodotti, servizi, innovazione, competitività. E aveva
espresso precise perplessità sulla "bolla
speculativa" e sui rischi che corrono non solo i
risparmiatori («dovrebbero essere più selettivi
nelle loro scelte») ma anche leconomia e la
società in generale.
Il mercato dice Fazio vive un periodo di sconvolgente
crescita che fu ben definito da Schumpeter e Hayech, teorici
dellinnovazione. Vincono le idee nuove, prevale
limprenditore che scopre un prodotto migliore, un diverso
modo di produrre. Si arricchisce lui e migliora la
società. Ma se sconfigge i suoi rivali con il ricorso
a metodi scorretti tutta la società si
impoverisce.
Quanto cè di scorretto, manipolato, poco
affidabile nelle speculazioni finanziarie, nei giochi
dazzardo che affliggono il mercato azionario in generale e
in particolare i settori di "nuova tecnologia"?
Parecchio, secondo gli osservatori più attenti. Non
basterà una discesa delle quotazioni a risanare un
sistema afflitto da molte storture. Ma speriamo che una
leggera doccia fredda contribuisca un po a rischiarare la
mente di tutti e in particolare di quelle imprese che non
si accontentano di qualche momentaneo guadagno speculativo ma
intendono costruire seriamente per il futuro.
Su argomenti analoghi vedi tre articoli scritti prima della "crisi" un borsa.
La gatta frettolosa fa i gattini ricchi?
Un pascolo per androidi di seconda scelta?
Il "cattivismo" ha le gambe corte
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2. Un nuovo libro |
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Allinizio di aprile è uscito un nuovo libro:
La coltivazione dellinternet.
Svolge in modo più
organico molti temi che sono stati, in parte, già
impostati in questa rubrica e in altri testi che si trovano
su questo sito. È rivolto soprattutto alle imprese (grandi o piccole)
che vogliono usare efficacemente la rete; ma non si limita ai
temi economici e aziendali. Come è necessario fare,
inquadra largomento nei temi generali della funzione sociale
e culturale della rete.
Una presentazione del libro si trova su
http://gandalf.it/coltiv/
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3. La ridda dei numeri |
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Continua la diffusione di numeri e statistiche
sullinternet in Italia e nel mondo. Si parla di dieci
milioni di persone collegate alla rete in Italia. Come
sempre, tutti questi dati vanno interpretati con prudenza. Ci
sono fattori, inevitabili, di inflazione; specialmente nelle
indagini telefoniche. Non è il caso di cadere in
unennesima ubriacatura numerica.
In uno dei prossimi numeri di questa rubrica riprenderemo
lesame dei dati, disponibile da varie fonti, non solo sulla
quantità ma anche sulle caratteristiche demografiche e
culturali delle persone che si collegano allinternet.
Intanto un fatto è chiaro: la crescita continua
davvero e luso della rete non è più riservato
a poche categorie privilegiate. LItalia rimane arretrata
rispetto ai paesi più avanzati, ma sta cominciando a
recuperare una parte del terreno perduto.
Per quanto riguarda i confronti internazionali non ci
sono, per ora, cambiamenti significativi rispetto ai dati
già pubblicati. Riprenderemo lesame nei prossimi
numeri per alcuni approfondimenti su aree geografiche e per
le novità (quando ci saranno) nel quadro europeo.
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4. La (poca) pubblicità in rete |
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I dati diffusi da alcune fonti in marzo-aprile non
modificano il quadro che avevamo visto
alla fine dellanno scorso. Si parla di 40-45 miliardi investiti in
pubblicità in rete nel 1999 e si fanno previsioni fra i 90 e i
140 miliardi nel 2000. La crescita prevista, in percentuale,
è notevole; ma rimane una quota molto piccola rispetto
agli investimenti pubblicitari totali: meno di 0,3 per cento nel
1999, fra 0,6 e 0,8 nel 2000. Inoltre si conferma, anche in Italia,
un fenomeno già osservato negli Stati Uniti: gran parte
della pubblicità in rete è fatta da imprese del
settore, che a loro volta vendono pubblicità.
Cioè si tratta soprattutto di un giro
"interno" e la quantità reale di
investimenti affluiti alla rete da imprese esterne al settore
è meno della metà delle (piccole) cifre
indicate dalle analisi sul passato e dalle previsioni per il futuro.
Inoltre, anche senza addentrarci in calcoli complessi,
è evidente che gli investimenti nei mezzi tradizionali
da parte delle imprese che offrono servizi internet sono
enormemente superiori a tutta la "raccolta
pubblicitaria" in rete.
Insomma siamo lontanissimi dal quadro così spesso
proposto dai profeti dellesagerazione: cioè da una
situazione in cui la pubblicità nellinternet vada a
soppiantare, o anche solo a intaccare, gli investimenti nei
mezzi tradizionali. Col tempo, probabilmente, la situazione
cambierà. Ma il fatto fondamentale è che la
rete è, già oggi, uno strumento importante per
le imprese; e che solo in minima parte si tratta di
pubblicità online.
Il quadro non è molto diverso negli Stati Uniti.
Un articolo nel
San Francisco Chronicle del 31 marzo 2000 riferisce che,
secondo uno studio di Nielsen Netratings, la quota di
click-through dei banner pubblicitari è scesa dal 2,5
per cento alla metà degli anni novanta allo 0,36 per
cento lanno scorso.
Nonostante questo problema, linvestimento online delle
imprese americane è aumentato dell86 per cento nel
1999 rispetto allanno precedente (mentre la
pubblicità in generale è cresciuta del 10 per
cento). Limporto è notevole: 1,9 miliardi di dollari.
Ma è solo il 2,1 per cento dellinvestimento
pubblicitario totale. I più forti investitori nel
settore sono Microsoft (36,2 milioni di dollari), IBM (27,1),
General Motors (21,4), Hewlett Packard (16,2) e First USA
(14,6).
Il 20,6 per cento degli investimenti pubblicitari negli Stati
Uniti è andato alla televisione (18 miliardi di
dollari). Il 20,2 per cento (17,6 miliardi) ai quotidiani.
Nella pubblicità in generale, linvestimento
più grande nel 1999 è stato quello della
General Motors (2,9 miliardi di dollari); seguita da Procter
& Gamble (1,7), Daimler-Chrysler (1,5), Philip Morris
(1,3), Ford (1,2) e Time Warner (0,9).
Se in Italia arrivassimo a percentuali simili a quelle
americane, avremmo nel 2001 investimenti pubblicitari online
di 370 miliardi. Di cui più di metà,
probabilmente, determinati da scambi interni ai sistemi
online; quindi con un afflusso "reale" di circa 160
o 170 miliardi di lire. Una cifra notevole, in confronto a
ciò che si è speso finora (e in gran parte sprecato,
per mancanza di strategie e di obiettivi chiari). Ma probabilmente non
tale da soddisfare i vigorosi appetiti dei moltissimi
contendenti online che cercano di "rastrellare"
contributi pubblicitari. E molto lontani dalla
"raccolta" dei mezzi tradizionali. La televisione
in Italia prevede entrate pubblicitarie nel 2001 per oltre
8.300 miliardi, la stampa oltre 5.800, la radio
quasi mille, la pubblicità esterna circa 800.
Per il prevedibile futuro, la pubblicità online potrà
tuttal più superare quella nelle sale cinematografiche
(che da quando è nata la televisione è la "cenerentola"
dei mezzi pubblicitari, ma in questo periodo è in leggera ripresa).
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5. Una comunità di giganti |
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Quando si parla di comunità in rete, in generale
si pensa a gruppi di persone culturali, di ricerca, di
mobilitazione civile, di affinità, di gusti, di
gioco... anche di acquisto. O si pensa allaggregazione di
risorse e di conoscenze fra unimpresa e il sistema di
relazioni che la circonda. O allunione di forze fra imprese
relativamente piccole. Tutto questo è vero, importante
e molto significativo. Ma chi si aspettava che ci fossero
anche comunità di giganti?
Nel marzo 2000 è stato annunciato un progetto di
attività comune online di General Motors, Ford e
Daimler-Chrysler. Aperto, hanno precisato, anche ad altre
imprese automobilistiche. Visto laccordo che nel frattempo
è stato concluso, sembra probabile che in
questa comunità entri anche la Fiat.
Lo scopo principale sembra essere quello di coordinare
gli acquisti e alcune parti delle tecnologie e della
logistica; ma è probabile che presto o tardi unintesa
di questa specie arrivi anche al settore delle vendite. Tanto
è vero che i concessionari americani si sono messi in
allarme e poco più tardi hanno dichiarato lintenzione
di sviluppare una loro presenza comune online.
Ci vorrà tempo per capire come si
svilupperanno queste iniziative e che effetti avranno sul mercato.
Ma è interessante constatare come lidea di comunità
online si possa applicare anche a grandissime imprese; e come siano
pressoché inevitabili forti contrasti di interessi che
potrebbero sconvolgere gli equilibri tradizionali e
determinare (in tutti i settori) cambiamenti importanti di
ruolo fra produttori di beni e servizi, intermediari e
clienti. Le grandi battaglie nella nuova economia sono quelle
che non sono ancora cominciate; e che, in gran parte,
è ancora difficile prevedere.
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