le imprese e l'internet

Come usare efficacemente
i nuovi sistemi di comunicazione

Relazione di Giancarlo Livraghigian@gandalf.it
al “congresso nazionale della pubblicità”
Roma, 26 ottobre 2001


 
Non consiglio la lettura di questa relazione
a chi già conosce il libro La coltivazione dell’internet
o quello più breve Le imprese e l’internet
né ai lettori abituali di questo sito
perché troverebbero la ripetizione di cose note.

Può essere utile a chi vuole una sintesi dell’argomento.

È online anche una relazione analoga, ma un po’ più lunga,
presentata in un altro convegno il 16 novembre 2001.
 




15 anni dopo

Sono passati quindici anni dall’ultimo congresso come questo. Nel 1986 l’internet esisteva da quindici anni – ma quasi nessuno se n’era accorto. A trent’anni dalla sua nascita la rete è una realtà, non più limitata al mondo scientifico e a un ristretto ambito culturale, ma diffusa in categorie sempre più ampie della società e della cultura – anche se è ancora molto lontana dall’aver espresso tutte le sue possibilità. Quindi è ancora “nuova”, ma già molto rilevante al punto di vista della comunicazione umana e (di conseguenza) da quello dell’economia e delle attività d’impresa.

Dicevo in questa sede, quindici anni fa, che era venuto il momento di “riscoprire il ferri del mestiere”. Cioè quei valori fondamentali della comunicazione (e del marketing) che non cambiano con l’evoluzione dei mezzi e degli strumenti. Mi sembra che questo sia ancora più vero, e più importante, nella situazione di oggi.

Per saper guardare avanti, verso le nuove possibilità che si aprono, dobbiamo anche essere capaci di guardare indietro, per capire quelle radici umane (di cui alcune molto antiche) su cui si fonda ogni vera innovazione.


Tu parli, io ascolto – io parlo, tu ascolti

Le due frasi sono il titolo di questo congresso. Riguardano, in generale, qualsiasi forma di comunicazione efficace. Assumono una particolare importanza nella situazione di oggi. Ma qui le cito invertendo la sequenza rispetto a quella che il congresso propone. Perché credo che si debba prima ascoltare, poi parlare.

Se è sempre stato importante saper ascoltare, lo diventa ancora di più con i nuovi sistemi di comunicazione, che sono più direttamente interattivi.

Si dimentica troppo spesso che la rete è un sistema completamente diverso dalla tradizionale comunicazione “da uno a tanti”. Ed è anche diversa dalla comunicazione “da uno a uno”. È un incrocio complesso di interazioni e di scambi, in cui non si tratta di “raggiungere” qualcuno con un messaggio più o meno “mirato”, ma di trovare i punti d’incontro in cui tutti gli interlocutori hanno un ruolo attivo.

Difficile, per chi tenta di “forzare” la comunicazione in rete a modelli che le sono estranei. Straordinariamente fertile e interessante per chi ne capisce la vera natura.


Non c’è (non c’è mai stata)
alcuna “crisi” dell’internet

Non è la prima volta. Ci sono stati vari cicli di “ubriacatura” cui sono seguite fasi di hangover – quel malessere che segue a una sbornia. Da due anni imperversano voci di “crisi” e di smarrimento. Intanto l’internet continua a crescere e a moltiplicarsi.

Non c’è e non c’è mai stata alcuna crisi dell’internet. Molte operazioni mal concepite hanno avuto un immeritato successo nei mercati finanziari; il successivo “crollo” era inevitabile. Molti tentativi frettolosi non hanno dato i risultati previsti. O perché era sbagliato il progetto o perché si era sperato di guadagnare troppo e troppo in fretta.

Non si tratta di riprovare su percorsi sbagliati. Si tratta di ridefinire strategie, metodi e obiettivi. In modo più realistico, più paziente, più attento alle potenzialità che davvero offre la rete. Non è molto difficile. Ma occorre partire da un’ottica profondamente diversa da quelle che finora hanno portato a tanti fallimenti e delusioni.


La leggenda di Moore
e la legge di Murphy

Si è sentita spesso citare la cosiddetta “legge di Moore”. Senza entrare nei dettagli tecnici, che sono abbastanza complessi, l’ipotesi è che un non ben precisato “qualcosa” raddoppi ogni 18 mesi. E che di conseguenza tutto debba essere fatto con grande fretta – e si possano (o si debbano) ottenere risultati clamorosi in tempi molto brevi.

La cosiddetta “legge” non è confermata dai fatti nel campo delle tecnologie. Ma anche se lo fosse non giustificherebbe quell’ansia di “innovazione fine a se stessa” che porta quasi sempre a soluzioni sbagliate. E ancora meno le aspettative di risultati “miracolosi” in un batter d’occhio.

Si è ripetuto ad nauseam che esiste un “tempo internet”, in cui tre mesi equivalgono a un anno. Non è vero. I tempi possono essere più o meno veloci, secondo le fasi e le situazioni, ma sono determinati da un solo fattore dominante: il comportamento umano. Che non cambia così facilmente in un giorno, un mese o un anno.

Occorre, invece, tener conto con grande attenzione della famigerata “legge di Murphy”. Che ha avuto infinite varianti più o meno umoristiche ma è un fatto seriamente reale. “Se una cosa può andare storta, lo farà, nel momento peggiore possibile”. Gli effetti perversi di quella legge si moltiplicano quando si “delegano” alle tecnologie funzioni che hanno bisogno di controllo umano.

Per fortuna l’internet è un sistema che permette continua verifica e sperimentazione. Perciò in questo ambiente, ancor più che negli altri, è possibile considerare la “legge di Murphy” come uno dei fattori di definizione di una strategia – prevedendo fin dall’inizio la necessità di verifica e correzione degli inevitabili errori.

A questo proposito vedi anche
Le grandi leggi: Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla


Comunicare e agire
in un sistema policentrico

Sentiremo in questo congresso la voce di Vinton Cerf. Dove parla uno dei fondatori dell’internet, non sta a me spiegare che cos’è e come funziona la rete. Ma vorrei accennare a un fatto fondamentale. La struttura dell’internet è radicalmente diversa da quella dei sistemi “centralizzati”. La si può rappresentare così.

rete

Vedi Che cos’è l’internet e come funziona


Naturalmente lo schema è un’estrema semplificazione. Vediamo 60 “nodi” nel disegno, mentre in realtà sono 120 milioni. Ma questa è la struttura – e ne derivano conseguenze molto importanti. Non è una ragnatela. Non c’è alcun “ragno” o punto centrale. Ognuno degli infiniti nodi può essere il “centro”. Non c’è un “Signor Internet” con proprie opinioni o atteggiamenti, né una cultura univoca e omogenea della rete. Questi fatti rendono l’internet completamente diversa dalle strutture di rete cui siamo abituati. E da tutti i sistemi “centralizzati” di comunicazione.

Se invece di pensare ai nodi tecnici immaginiamo i punti nel reticolo come persone, la struttura del sistema è la stessa. E questo – come spero sia ovvio – ridefinisce anche il quadro delle relazioni e interazioni umane.


Un sistema biologico

Quando, tre o quattro anni fa, parlavo dell’internet come sistema biologico incontravo reazioni perplesse e sorprese. Oggi, molto meno. Si tratta, comunque, di un fatto accertato e confermato da molti dei migliori studiosi dell’argomento. Perfino in analisi rigorosamente tecniche di topologia della rete si dice che “non è definibile se non come un ecosistema”.

Questa non è solo una considerazione filosofica e culturale. È un fatto di grande rilevanza pratica. Lo sviluppo della rete non è una rivoluzione, è un’evoluzione. Non è un sistema lineare o “digitale”, ma cresce come una pianta. Lavorare con la rete è una cosa molto più simile all’agricoltura (o al giardinaggio) che alla meccanica. Richiede più cultura umana che conoscenze tecniche.


La coltivazione dell’internet

Parlare di “coltivazione dell’internet” non è una provocazione o un modo di dire. Non si tratta di un ritorno al passato. Ma il la network society somiglia più all’agricoltura che alla “linearità” e omogeneità dell’era industriale. Anche questa constatazione è confermata dai migliori autori sull’argomento.

Per esempio John Perry Barlow, uno dei più noti filosofi della rete, scrisse su Wired nel 1998: «Le abitudini mentali dell’agricoltura sono molto più adatte per capire le qualità essenzialmente biologiche dell’economia dell’informazione di quanto possano esserlo i vizi meccanicistici della visione industriale del mondo».

E Gerry McGovern, nel suo bel libro The caring economy (1999): «Potremmo dire che è un ciclo: siamo andati avanti per tornare, almeno in parte, a valori del passato – al modo di collaborare, di lavorare insieme, che avevamo imparato nella società dell’agricoltura. L’internet è un ambiente organico. Dobbiamo saperla coltivare».

Anche questa non è solo una teoria. Ha molte, e importanti, applicazioni pratiche.


Le radici antiche della nuova comunicazione

La rete non è fatta di macchine, connessioni, software e protocolli. È fatta di persone. Il DNA della nostra specie, come l’essenza delle relazioni umane, non cambia in un anno, un decennio o un secolo. Se i nuovi sistemi di comunicazione fossero basati su qualcosa di totalmente sconosciuto e inesplorato, usarli sarebbe molto difficile. Ma nulla di ciò che facciamo online è estraneo alla natura umana.

Si tratta di comportamenti che hanno radici antiche. Lo scambio di servizi e attenzioni reciproche (che è la struttura fondamentale della rete) è un elemento indispensabile di qualsiasi società umana. Il concetto di comunità è antico quanto le nostre origini. La struttura dell’internet è più simile al funzionamento di un cervello biologico che alla logica sequenziale di un computer. Insomma capire la rete, e usarla bene, significa capire la nostra storia, le nostre origini, i valori culturali dell’umanità.

E non si tratta solo di agricoltura. Stiamo ritrovando anche le radici di una cultura pre-agricola, nomadica. I moderni mezzi di trasporto ci danno una mobilità senza precedenti; la rete ci permette di continuare il lavoro e le relazioni dovunque siamo. Possiamo liberarci non solo dai vincoli di concentrazione dell’economia industriale, ma anche dai limiti “stanziali” dell’economia agricola o mineraria.


Non tutto è web

Qualcuno pensa che l’era web sia finita e che nel giro di due o tre anni quella interfaccia per l’accesso all’internet debba essere sostituita da un’altra tecnologia. Si può dubitare della credibilità di questa ipotesi. Ma dietro questi ragionamenti ci sono due considerazioni importanti. La prima è che le tecnologie vanno e vengono, le relazioni umane durano. La seconda è che la world wide web non è l’internet – e questo non è un “dettaglio tecnico” ma un fatto fondamentale.

Concepire la rete come “sito centrica“ vuol dire ridurla al modello dei mezzi tradizionali “a senso unico” e perdere di vista i suoi reali valori. Una delle conseguenze è la diffusa opinione che la prima cosa da fare sia “avere un sito web”, poi farlo conoscere – e poi offrire un buon servizio. È vero il contrario. Occorre innanzitutto avere una strategia chiara, poi verificare i vari sistemi di comunicazione che possono essere messi al servizio di quella strategia, e dopo aver definito con chiarezza gli obiettivi e i metodi di verifica impostare i contenuti e la struttura di un eventuale sito web. Questa è la prassi in tutte le attività di un’impresa e non c’è alcun motivo per cui si debba procedere in modo diverso quando si tratta dell’internet.


La marca e la rete

I prodotti di marca sono avvantaggiati online? Ovviamente si. In qualsiasi situazione o relazione la marca è un punto di riferimento importante. Tuttavia si espone online, ancor più che in altre situazioni, a una verifica diretta e severa. Il concetto di customer empowerment è tutt’altro che astratto e assume in rete un valore immediato e diretto. Può essere molto pericoloso creare aspettative che poi non si è in grado di soddisfare.

Nel 1989, quando ancora non si parlava di e-business , nel libro La Marque Jean-Noel Kapferer e Jean-Claude Thoenig dicevano: «La marca non è una rendita, né un diritto acquisito. La marca non dura se non porta un reale valore aggiunto. Sottoposta a continua verifica dai consumatori, che confrontano e che si abituano velocemente alle innovazioni al punto di considerare normale l’ultimo progresso portato dalla marca, essa non ha altra scelta per sopravvivere che rimettersi continuamente in discussione».

Se questo è vero fin dalle origini del marketing lo è ancora di più nella situazione di oggi. In un’intervista all’inizio del 2000 Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon, rispose così a una domanda sulla fedeltà di marca. «Le imprese che credono di poter contare sulla fedeltà di marca sono fuori di senno. I clienti ci sono fedeli se non approfittiamo della loro fiducia. Non ci si può riposare sugli allori. Se diamo qualcosa per scontato diamo un disservizio ai nostri clienti e non è giusto che ci siano fedeli. I clienti ci sono fedeli fino all’istante in cui qualcun altro offre un servizio migliore. Si vive o si muore in base all’esperienza che il cliente ha di noi. Questo è il fatto: online l’equilibrio del potere si sposta a favore del cliente».

La relazione diretta in rete obbliga a una concretezza di servizio più immediatamente verificabile. Questo può essere un problema per chi concepisca la marca come vaga “immagine”. È una risorsa per le marche con radici più salde e con una reale qualità di prodotto e di servizio. Questo non riguarda solo il “commercio elettronico” nella sua interpretazione più elementare (vendita online) ma ogni attività dell’impresa in rete.

L’internet è un ambiente ricco di occasioni e di possibilità, un modo per aumentare il vantaggio competitivo. Ed è anche un campo di sperimentazione per provare e verificare proposte, sistemi di relazione, modelli di attività che possono trovare applicazione in ambiti più generali.


Servizio

Due parole riassumono le leve fondamentali di successo per ogni attività in rete: servizio e sinergia. Sono concetti diversi, ma connessi; una simbiosi dinamica di questi fattori può avere un effetto straordinario sulla qualità dei risultati. La stessa cosa si potrebbe dire, in generale, per ogni attività di marketing e per ogni relazione

fra un’impresa e il mercato; nel caso della rete assume un significato particolarmente intenso, per la natura diretta e interattiva della relazione e per la ../uman/19.htm profondità “tendenzialmente infinita” delle informazioni che si possono rendere disponibili.

In ogni attività dell’impresa, ma ancor più nel caso della rete, è fondamentale sviluppare relazioni e stabilire un rapporto di fiducia che duri e cresca nel tempo. Gli utenti della rete tendono a essere esigenti – e impazienti. Non ricevono passivamente la comunicazione, devono attivamente cercarla. Si sentono (giustamente) in diritto di avere un servizio che giustifichi il loro investimento di tempo e di impegno. Si aspettano anche quella completezza di informazione che, se ben gestita, è in sé un valore importante di servizio – e la cui mancanza o scarsità non è perdonabile online (s’intende informazione specifica, precisa e attinente, non generici “riempitivi”).

Naturalmente il concetto di “servizio” può avere infinite interpretazioni, secondo la natura dell’impresa, del prodotto, della relazione. Ci sono molte possibilità di potenziare o valorizzare servizi esistenti o di sviluppare con la rete nuovi servizi che aumentano il valore e l’utilità – per i clienti o per altri interlocutori dell’impresa.

Ma in ogni caso il servizio è fondamentale. Se un’organizzazione va online senza offrire servizi rilevanti, che siano di reale e verificata utilità (e percepiti come tali), occorre chiedersi quale motivo abbia di essere in rete. Non solo non e ricaverà alcun vantaggio, ma corre seriamente il rischio di farsi del male.


Sinergia

La ricerca dei punti di sinergia fra fattori diversi è uno degli elementi fondamentali di successo nell’uso delle nuove tecnologie di comunicazione. Il modello di massima efficacia è la ricerca di nodi rilevanti in tutto il sistema di comunicazione d’impresa (esterni e interni) che possano essere gestiti meglio con l’uso delle reti e che possano combinarsi per dare un miglioramento di qualità – e soprattutto di servizio.

Spesso queste soluzioni producono anche una riduzione dei costi; ma sono assai meno efficaci se il controllo dei costi viene posto come priorità assoluta, a scapito dei fattori di qualità e di relazione. Il risultato è migliore se nella gerarchia dei valori si dà priorità ai fattori di qualità-servizio e la riduzione dei costi ne è una conseguenza.

L’effetto combinato è davvero “esponenziale”: i vantaggi non si sommano, si moltiplicano. La sinergia di diversi fattori, realizzata anche (ma non solo) con un uso efficace e coerente della comunicazione elettronica, può costituire un rilevante vantaggio concorrenziale; soprattutto se non è imitativa ma pone l’azienda in una posizione diversa rispetto ai suoi concorrenti e al mercato in generale.

Questo riguarda tutti i rapporti fra l’impresa e l’ambiente in cui opera, con una particolare attenzione alle relazioni con i suoi clienti. In molti studi sulla network economy si parla esplicitamente di rapporto simbiotico fra impresa e cliente.

Lo stesso criterio si può applicare a tutta la rete di rapporti del sistema-impresa, dai fornitori ai clienti o “consumatori”. Reciproco interesse e utilità, partecipazione attiva, scambio e costruzione di valori e rapporti di fiducia, co-evoluzione e gestione dinamica della complessità: sono i valori su cui si basa il successo dell’impresa con i nuovi sistemi di comunicazione.


Il valore delle relazioni

Uno dei motivi fondamentali per cui tante operazioni nell’internet sono fallite, o non hanno raggiunto i risultati sperati, è che non si è badato alla sostanza. La rete è un tessuto di relazioni. O si coltivano, si nutrono, si sviluppano relazioni umane di reale valore e significato, o è inutile essere online.

Donna Hoffman e Thomas Novak definivano così il problema nel 1998 (da allora la situazione non è sostanzialmente cambiata). «I consumatori online vogliono uno scambio basato su un esplicito contratto sociale costruito sulla fiducia. .... Il modo più efficace per sviluppare relazioni con i clienti online è guadagnarsi la loro fiducia. Sembra una cosa semplice, ma permettere che l’equilibrio del potere si sposti a favore del cliente si dimostra difficile per molte imprese perché è radicalmente in contrasto con le pratiche di business tradizionali».

C’è un’obiezione, che ho sentito spesso. Le imprese devono far tornare i conti. Gestire bene le relazioni con un gran numero di clienti è impegnativo e costoso.

Chi, specialmente in Italia, se lo può permettere? La risposta non è sempre facile. Ma un fatto è chiaro: siamo davanti alla classica equazione problem-opportunity.

Coltivare efficacemente le relazioni può sembrare complesso e difficile; ma dà grandi vantaggi a chi ci riesce. La soluzione sta nella flessibilità. In rete si può procedere per tentativi graduali; e ognuno può definire il suo ambito di azione che, soprattutto all’inizio, si può basare su un numero limitato, quindi gestibile, di relazioni.

Inoltre, puntare sulla fiducia e sulla qualità della relazione non è solo un modo di gestire il dialogo diretto. È un modo di pensare, una disciplina, un atteggiamento. Anche chi non scambia messaggi personali con l’impresa ha molti modi per capire com’è impostata la relazione: giudicando da come sono presentati i contenuti e le offerte, da ciò che pensano altre persone che hanno avuto rapporti con quell’impresa – e soprattutto dai fatti concreti. Cioè dalla qualità dell’informazione e del servizio.


Il valore delle comunità

Da quattro o cinque anni, man mano che la diffusione dell’internet assumeva la portata dei “grandi numeri”, sembrava che la rete potesse essere considerata come un fenomeno “di massa” – e che si fosse perso di vista quello che è sempre stato, ed è tuttora, il tessuto portante delle reti telematiche: le comunità.

Le comunità online esistono fin dalle origini della rete. Si tratta di capire se e come possano essere utili anche per le attività d’impresa. Nel 1997 uscì un libro: Net Gain di John Hagel e Arthur Armstrong. Cominciò a diffondersi il concetto che it takes a village to make a mall (“ci vuole un villaggio per aprire un mercato”). In sintesi, la tesi del libro (poi sviluppata anche da altri) è che le comunità in rete «sono una cosa ottima per l’umanità e quindi anche una cosa buona per il business».

Il concetto di comunità è vecchio come il mondo. Non è immaginabile alcuna società umana che non sia un tessuto di comunità. Si incrociano (ciascuno di noi fa parte di parecchie comunità diverse) ma ognuna ha un’identità propria. Possono essere aggregati labili, che durano poche ore o pochi giorni; o sistemi di relazione consolidati e ritualizzati, che durano secoli o millenni. Possono avere una struttura formale e una gerarchia, o essere aggregazioni spontanee senza un “centro” apparente. Che cosa accade in rete? Le stesse cose. Con possibilità pratiche di organizzazione e di comunicazione che non erano mai state disponibili prima.

Ci sono e ci possono essere diversi tipi e modelli di comunità. Non solo comunità di persone, ma anche comunità di imprese o di altre organizzazioni. Una comunità viva, vitale e ben funzionante è un sistema in cui tutti guadagnano (non solo e non necessariamente denaro, ma conoscenze, informazioni, valori). Se ognuno dà validamente il suo contributo tutti i partecipanti ne ottengono un vantaggio. Ma l’importante è che ognuno svolga correttamente il suo ruolo, senza invasività o tentativi di condizionamento.

Occorre anche capire che una comunità online non è un “club promozionale” (quel tipo di operazione può esistere online, ma è improprio definirlo “comunità” ed è secondario e marginale rispetto alle più rilevanti strategie in rete). Se una comunità non ha una propria vita, una propria cultura, un forte interesse e valore per le persone che ne fanno parte, non ha motivo di esistere e non ha alcuna utilità.


Come si sviluppa un progetto online

In questa breve relazione non è possibile analizzare, nella sua struttura e nelle sue fasi, il processo di costruzione di un’attività online. Ma il concetto generale può essere riassunto in questo schema.


rete


Prima di tutto occorre identificare i diversi fattori di relazione nel “sistema impresa” che possono essere migliorati con una più efficace gestione della comunicazione. Sono quasi sempre più di uno e le sinergie hanno un effetto di moltiplicazione nella qualità dei risultati. Secondo una logica che è abituale in ogni sviluppo di attività dell’impresa, dalla strategia derivano il progetto e il processo applicativo, con l’analisi dei diversi fattori – e con particolare rilievo ai valori, come relazioni e comunità, di cui ho già parlato. Solo a questo punto dello sviluppo diventa rilevante pensare a un “sito web” (che non sempre è necessario) la cui impostazione sarà tanto più precisa e ben orientata quanto meglio è definita l’analisi precedente.

L’evoluzione successiva si basa su una continua sperimentazione, con un duplice obiettivo. Sviluppare e perfezionare lungo il percorso il progetto così come è stato impostato. E cogliere nuovi segnali che suggeriscono nuove ipotesi, da riportare nella radice del progetto e sviluppare nel ciclo della continua sperimentazione. La caratteristica fondamentale di questo modello è che l’attuazione concreta del progetto, la sperimentazione e la verifica non sono fasi separate e successive (“pre” o “post”) ma aspetti contemporanei e “coevolventi” di uno sviluppo continuo.

Questo modello permette di combinare efficacemente due esigenze, apparentemente contrapposte, che spesso si manifestano in un sistema in rapida evoluzione come la network economy: da un lato strategie chiare, stabili e di lungo periodo; dall’altro tattiche flessibili e veloci. Non è un paradosso, ma una verità concreta, che quanto più le strategie sono precise (capite e condivise da tutti i settori e da tutte le funzioni dell’impresa) tanto più rapide e brillanti possono essere le tattiche e le innovazioni.


Investimenti graduali e “scalabili”

Uno degli errori più diffusi è pensare che sia necessario raggiungere velocemente “grandi numeri” e che siano perciò opportuni forti investimenti iniziali. È vero il contrario. La soluzione più efficace è un progetto “scalabile”, cioè capace di funzionare con un investimento relativamente modesto ma con le adeguate riserve (di risorse umane, oltre che di denaro) per poter avere continuità nel tempo e gestire la crescita, man mano che gli esiti e gli sviluppi ne indicano i tempi e le dimensioni.

L’esperienza dimostra anche che spesso non è premiata la smania di “essere i primi”. Il successo va ai progetti meglio gestiti, non a quelli che per anticipare i tempi si avventurano in terreni non sufficientemente esplorati.


L’Italia e la rete

I dati e le statistiche disponibili sullo sviluppo dell’internet sono spesso confuse e poco attendibili. Ma alcuni fatti sono chiari (vedi la sezione dati). L’Italia non è più la “cenerentola” della rete. Oggi è fra i primi dieci paesi del mondo per attività online (forse fra i primi sei). L’uso dell’internet nelle famiglie italiane (non più solo, o prevalentemente, negli uffici) è ancora molto lontano da una “soglia di saturazione” o dai livelli dei paesi più avanzati. Ma è cresciuto molto – e continua a crescere.

Secondo uno studio del Censis tre italiani su dieci possono disporre di un accesso all’internet in casa, due lo usano occasionalmente, uno ne ha “consuetudine”. C’è evidentemente ancora molto spazio di crescita. Ma già oggi l’internet è una realtà diffusa, nella nostra cultura, nelle nostre relazioni personali, nella vita di tutti noi.

La crescita in Italia è importante. Ma dobbiamo ricordare che il 98 per cento del “mercato” è fuori dai nostri confini. Se non vogliamo essere totalmente “colonizzati” dai grandi operatori internazionali, la miglior difesa è l’attacco. Specialmente per un’economia come la nostra che non può sopravvivere senza esportare.


Festina lente

Cinquecento anni fa Aldo Manuzio si trovò davanti a un’impresa non molto diversa da quella che affronta chi oggi decide di comunicare in rete. Era stato sviluppato da Johann Gutenberg un sistema di tecnologie che apriva nuove e inesplorate possibilità di diffusione parola scritta. Ma si trattava di inventare le risorse e le strategie umane e culturali per utilizzare bene il nuovo strumento. Cioè l’editoria. Adottò come marchio un simbolo e una frase che si trovavano su antiche monete romane.


festina lente


Festina lente. Affrettati piano. Non è un caso che quell’apparente paradosso fosse il motto di un grande innovatore culturale, all’inizio di un grande cambiamento nella comunicazione umana. È quel misto di urgenza e di pazienza che occorre per comunicare bene con uno strumento nuovo.

La frase, e il simbolo visivo che l’accompagna, possono essere interpretati in molti modi. Ma mi piace pensare che il delfino rappresenti forza, agilità, intelligenza; l’ancora costanza, meditazione, concretezza. Occorre velocità di reazione e flessibilità, capacità di imparare in fretta e di adattarsi continuamente a nuove situazioni e nuovi stimoli. Ma anche molta attenzione e molta pazienza. Perché i risultati non sono immediati – e non è bene che lo siano.


L’umanità dell’internet

Per concludere: il fatto fondamentale è uno. Semplice e chiaro.

L’internet è fatta di persone. La rete esiste solo perché si sono persone che la usano. Ognuna per un suo personale e diverso motivo.

Il valori dominanti sono i comportamenti, le esigenze, i desideri, i sentimenti delle persone. Come individui, come comunità, come culture.

Le tecnologie hanno valore se sono al servizio dell’umanità. Non viceversa.




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