L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini

di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 31
Che cos’è una comunità online


Le comunità online esistevano (anche in Italia) dieci anni prima che si diffondesse l’uso dell’internet.

Quando l’internet era ancora riservata alle università e ad altri pochi “privilegiati”, c’erano altri sistemi di comunità online. Per esempio i BBS (bulletin board system), nati come “ripostigli” di software e di notizie ma presto evoluti in comunità; ognuna basata su una realtà locale, ma collegate fra loro in sistemi di rete. Nel mondo ce n’erano (e ce ne sono ancora) decine di migliaia. In Italia duemila. Alcuni di quei BBS esistono ancora, altri no; ma intanto sono nate molte nuove comunità che, pur usando tecnologie diverse, hanno la stessa funzione dei BBS di dieci anni fa.

Continuano a esistere e a moltiplicarsi. Il concetto di comunità è vecchio come il mondo. Non è immaginabile alcuna società umana che non sia un tessuto di comunità. Si incrociano (ciascuno di noi fa parte di parecchie comunità diverse) ma ognuna ha un’identità propria. Possono essere aggregati labili, che durano poche ore o pochi giorni; o sistemi di relazione consolidati e ritualizzati, che durano secoli o millenni. Possono avere una struttura formale e una gerarchia, o essere aggregazioni spontanee senza un “centro” apparente. Che cosa accade in rete? Le stesse cose. Ma con possibilità pratiche di organizzazione e di comunicazione che non erano mai state disponibili prima della nascita della “comunicazione elettronica interattiva”.

Ognuno di noi gestisce quotidianamente, anche quando non se ne accorge, diversi sistemi di comunità. Qui vorrei soffermarmi sul concetto di “gestire” – perché ne derivano precise conseguenze pratiche. Molti lo intendono in senso gerarchico: il compito di gestire è di chi occupa un livello “alto” in una gerarchia e si riferisce a chi sta al di sotto di quel livello. Credo che sia utile e importante intendere il concetto in modo diverso. Attenti studiosi delle relazioni umane spiegano che un’amicizia (anche un amore) ha bisogno di essere “gestita” – cioè nutrita di attenzione e cura – se vogliamo che cresca e ci dia tutta la ricchezza di cui è capace. Questo genere di affettuosa gestione è importante in tutte le comunità umane; e specialmente in quelle online, dove manca la presenza fisica.

Ho scelto, intenzionalmente, un aggettivo emozionale. Naturalmente “affettuoso” non significa sempre “permissivo”. Ma nella gestione di una comunità, come nelle relazioni fra tutte le persone che vi partecipano, i sentimenti e le emozioni hanno un ruolo che non può e non deve essere sottovalutato.

Molte comunità non hanno alcuna struttura; non si accorgono neppure di essere “comunità”. Semplicemente esistono, perché un gruppo di persone fa qualcosa insieme. Nascono, crescono, fioriscono... se il loro ciclo è concluso, avvizziscono... alcune si allargano, altre rimangono un gruppo ristretto di amici. Non hanno bisogno di regole o di metodi. Esistono e basta, si evolvono come un organismo vivente.

Altre, invece, sono più strutturate e organizzate. Si può entrare in una comunità esistente o crearne una ex novo. Nell’uno e nell’altro caso bisogna essere rispettosi. Se entriamo in un territorio che ha già una sua cultura, dobbiamo ascoltare e capire prima di muoverci in un modo che potrebbe non essere gradito agli altri. Se siamo noi a far nascere una comunità, non dobbiamo essere prepotenti o invadenti: l’ambiente che stiamo cercando di coltivare sarà tanto più utile quanto più sarà capace di vivere di vita propria e trovare percorsi e sviluppi che non avevamo previsto.

Di queste cose riparleremo più avanti, nella quarta parte del libro. Ma cominciamo a definire alcuni concetti generali. Una comunità, per funzionare bene, deve essere libera. Tutti i partecipanti devono avere pari diritti, tutte le opinioni devono essere rispettate (anche quelle scomode) ed è bene che ci sia spazio per l’innovazione e l’imprevisto. Una comunità viva e forte è un sistema da cui ogni partecipante trae un vantaggio; lo scambio e la condivisione di esperienze sono un arricchimento per tutti.

Ma libertà non significa anarchia totale. Occorre una definizione di identità (la cosiddetta policy) che stabilisca qual è l’area di interesse e quali sono le regole di comportamento. Occorre una persona responsabile (“moderatore”) che eviti eccessive dispersioni fuori tema (off topic), ingombri inutili, discussioni personali prive di interesse generale o litigi (flame); tenga sotto controllo eventuali tentativi di spamming; eccetera. La “moderazione” può essere di due tipi: a priori (il moderatore legge e controlla tutti i messaggi prima che siano messi online) o a posteriori (tutto va online automaticamente e il moderatore interviene solo dopo, cercando di persuadere e orientare – ma anche se necessario cancellando o correggendo ciò che è già stato diffuso). La soluzione più efficiente è spesso la prima, ma (ovviamente) ha due difetti: il carico di lavoro per il moderatore – e il sospetto che possa trasformarsi in censura.

Le comunità sono uno dei uno dei tessuti fondamentali della rete. Se ne parla in tutto il mondo, ma c’è l’abitudine un po’ bizzarra di chiamarle “comunità virtuali”. Dell’insensatezza di certe terminologie ho già parlato nel capitolo 16. Ma vorrei ritornare sul tema, specificamente a proposito delle comunità online. Non sono “virtuali”. Non sono “finzione” né “rappresentazione”. Sono altrettanto reali di qualsiasi altra cosa che consideriamo realtà. Sono fatte di persone, in carne e ossa. Con tutte le qualità e i difetti, i valori e le debolezze, l’utilità e la difficoltà di ogni comunità umana. Questo è evidente a chi ha pratica della rete. Ma se smettessimo di chiamarle “virtuali” forse anche il resto del mondo capirebbe un po’ meglio di che cosa si tratta.





Ci sono alcuni tipi di comunità che sono rappresentazioni, cioè “giochi di ruolo” collocati in situazioni teatrali, in luoghi di fantasia con le proprie strutture e regole. Per esempio quelle chiamate MUD (multi-user domain o multiple user dialogue – o anche multi-user dungeons, dai tempi in cui era di moda un vecchio gioco, dungeons and dragons). Oppure MUSE (multi-user simulated environment) o MOO (mud, object oriented) o addirittura MUSH (multi-user shared hallucination). Ne esistono centinaia, di cui alcune anche in Italia. In questo caso, si potrebbe dire che hanno qualcosa di “virtuale”; ma ciò non significa che non possano esserci, anche in quelle situazioni, scambi umani “reali” e significativi. Comunque si tratta di un tipo particolare di ambiente che non può definire il concetto generale di comunità.






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