Offline Riflessioni a modem spento


Si divide,
ma chi impera?

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luglio 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Una frase proverbiale, così spesso citata da diventare una banalità, è divide et impera. Non se ne conosce l’origine. È genericamente definita “un antico assioma romano” – e probabilmente ha radici ancora più antiche. Ma può essere interessante cercar di capire alcuni significati che ha oggi.

Non è questa la sede per parlare delle grandi vicende geopolitiche, in cui è ovvio che a pochi (e in prospettive molto miopi) convengono le divisioni – e a tutta l’umanità, nonché all’intero ecosistema, servirebbe più unione di propositi e di fatti per agire in modo più sensato. (Vedi La stupidità del potere).

Naturalmente per unione e condivisione non si intende omogeneità né imposizione. Le differenze di opinione, di atteggiamento, di cultura non sono soltanto un’esigenza irrinunciabile di libertà, ma anche un nutrimento indispensabile per l’evoluzione dell’umanità e della conoscenza. Tuttavia ci sono temi, grandi e piccoli, su cui ci conviene essere uniti. E ci sono ingiuste e pericolose “divisioni” che sarebbe meglio eliminare.


Pensiamo, per esempio, alle lingue. La torre di Babele è descritta nella bibbia come una maledizione divina (è solo una coincidenza che fosse in Mesopotamia?). Già nel mondo antico la molteplicità delle lingue era percepita come un problema – tanto da immaginare che fosse una divisione imperiosamente inflitta contro il pericolo di una forza umana troppo unita e ambiziosa.

La conservazione di una grande varietà di lingue e di dialetti, con le tradizioni e le culture che rappresentano, è un valore che non ci conviene perdere. Ma la conoscenza di una lingua comune è una risorsa per tutti. Sia che si tratti del greco e del latino (ancora fondamentali nel linguaggio scientifico – e anche in altre cose), delle logiche matematiche, del sistema metrico decimale (che sta prendendo il sopravvento anche dove si usavano altri pesi e misure) o, ovviamente, dell’inglese. (Vedi Chi ha paura di sapere l’inglese? e La Torre di Babele e il “globalese”).

Anche quando c’è una lingua condivisa non è sempre facile capirsi. Anche quando è possibile viaggiare per tutto il mondo può essere difficile conoscersi. Rimangono incomprensioni, contrasti, ostilità. Immaginare un mondo di assoluta uguaglianza e di perenne armonia non è solo utopistico, ma anche pericoloso: perché l’unico modo per ottenere quel risultato sarebbe una ferrea imposizione – e la storia della nostra specie dimostra che non siamo nati per essere formiche.

Non è concepibile una società umana senza diversità – non solo di opinione, ma anche di comportamento e “stile di vita”. La differenza fra la società civile e la barbarie non sta nell’assenza di contrasti, ma nella capacità di gestirli senza violenza e senza fratture troppo profonde. Il problema nasce quando si cerca di ottenere un’eccessiva omogeneità – o quando si tratta di divisioni che tracciano un solco difficilmente valicabile fra chi dispone di risorse e chi ne è privo.

Sappiamo che una società in cui i ricchi sono troppo ricchi e i poveri sono troppo poveri non è solo ingiusta, è anche una fabbrica di conflitti che non possono essere repressi all’infinito – e che tendono a esplodere con tanta più violenza quanto più forte è stata la compressione. Ma non è solo un problema di denaro o di benessere materiale.


Lo sviluppo delle risorse di comunicazione può (e dovrebbe) tendere a ridurre i solchi di separazione. Ma troppo spesso non è così. Quando si sviluppano spazi di allargamento e di uguaglianza si creano nuove barriere.

Cinquecento anni fa l’evoluzione della stampa e dell’editoria ha prodotto un fondamentale cambiamento nell’accessibilità e condivisione della parola scritta. Ma ancora oggi un solco profondo separa le persone in grado di leggere da quelle che non ne hanno la capacità o l’abitudine – e chi può accedere a un’informazione relativamente libera da chi vive in sistemi chiusi e rigidamente controllati.

Un altro grande cambiamento è avvenuto con lo sviluppo di nuovi sistemi di comunicazione. Il telegrafo dal 1844, il telefono dal 1877, il “telegrafo senza fili” dal 1901, la radio dagli anni ’20, la televisione dagli anni ’50. L’internet, nata più di trent’anni fa, dalla fine del secolo scorso sta diventando una risorsa diffusa.

(Sullo sviluppo della stampa
e delle altre risorse vedi
Cenni di storia dei sistemi
di informazione e comunicazione
).


Siamo entrati nell’era della comunicazione universale, senza limiti né confini? Così potrebbe essere. Ma così non è. I solchi che dividono il mondo si approfondiscono. Crescono le diffidenze, i conflitti, le ostilità. Non solo per la separazione, sempre più aspra e feroce, fra “abbienti” e “non abbienti” di informazione. Ma anche per gli abissi culturali che separano e contrappongono modi diversi di essere e di pensare.

Quando, intorno al 1980, si era diffusa la percezione che l’elettronica e i sistemi di rete avevano aperto ulteriori spazi di informazione e di dialogo, erano nate nuove prospettive e nuove speranze. Siamo entrati, si diceva, nell’era della comunicazione: si aprono nuovi orizzonti per le risorse inesauribili – l’intelligenza, la conoscenza, l’umanità. Era, ed è, concretamente possibile. In parte sta accadendo. Ma un’infinità di ostacoli, di divisioni, di incomprensioni e di risorse mal distribuite ritardano e ostacolano quell’evoluzione – e troppo spesso agiscono in senso contrario.


È importante capire quando le tecnologie (o altre risorse) favoriscono il dialogo e la condivisione – e quando, invece, sono un ostacolo.

Può piacere o no la telefonia mobile, ma è un fatto che in un paese come l’Italia, dove la diffusione dei telefoni fissi era ancora arretrata, con i cellulari si è arrivati alla quasi totalità della popolazione. Abbiamo, perciò, un mercato saturo. È comprensibile che si cerchi di ravvivarlo con nuove proposte. Ma il rischio è che ciò che aveva unito diventi uno strumento di divisione.

Se il mercato andasse ad assestarsi su una base di funzioni condivise da tutti (il telefono) con alcune categorie di persone che vogliono avere questa o quella prestazione in più, il risultato potrebbe essere un’accettabile “segmentazione”. Ma se invece si creasse una separazione fra chi è dotato di certe risorse e chi ne è privo, e questa diventasse una gerarchia o una discriminazione, sarebbe un preoccupante ritorno a un passato di divisione ed emarginazione.


L’uso del computer era discriminante, per problemi di costo e di capacità tecniche. Su scala mondiale rimangono profonde divisioni e privazioni. In Italia si stanno attenuando. La diffusione non è ancora molto estesa, ma se escludiamo il problema (grave anche sotto altri aspetti) delle fasce di età più avanzate (vedi I vecchi e la comunicazione) ci stiamo avvicinando alla situazione in cui il computer diventerà un elettrodomestico “di normale dotazione”.

Ci sono ancora problemi di incompatibilità, ma con un po’ di buon senso ci si potrebbe avviare verso una situazione in cui i maniaci dell’innovazione a tutti i costi siano in grado di comunicare senza problemi con chi ha meno soldi da buttar via e meno fretta di adeguarsi alla moda. Insomma possiamo sperare che, nonostante gli ostacoli tecnici e culturali, l’elettronica possa diventare sempre meno un problema, sempre più una risorsa – e uno strumento di unione e condivisione più che di separazione. (Vedi La divisione è culturale, non “digitale”).


L’internet, per sua natura, è una risorsa aperta a tutti, che offre a ognuno il diritto di esprimersi e di comunicare come vuole. Ma in pratica le divisioni sono profonde. Su scala mondiale la rete cresce vigorosamente, ma con profonde disuguaglianze che, oggi come ieri, escludono nove decimi dell’umanità. (Vedi la sezione dati). Nei paesi, come l’Italia, dove la rete si è sviluppata ed estesa, stiamo rischiando che si creino nuove divisioni.

Per esempio la diffusione della “banda larga” non è, come affermano i suoi apologeti, un modo per estendere la condivisione delle risorse – ma ha l’effetto contrario. (Vedi Quei grandi tubi pieni di nulla). Oggi circa il 20 per cento delle persone che usano l’internet dispone di una connessione “ad alta velocità”. Il che vuol dire che otto su dieci non ce l’hanno.

Se (come sta accadendo) molte informazioni o servizi sono concepiti in modo da essere gestibili solo con particolari risorse, diventano di fatto inaccessibili alla grande maggioranza. Anche chi dispone di connessioni “privilegiate” (o altre tecnologie di diffusione limitata) può trovarsi in difficoltà quando è “fuori sede” e non riesce più ad accedere a ciò che considerava abituale. Questo è solo uno dei tanti modi in cui anziché favorire una diffusione estesa e facile per tutti si creano ingiustificabili barriere e divisioni.

Se un giorno tutti i sistemi saranno efficacemente coordinati e intercomunicanti, forse arriveremo a un insieme omogeneo senza percettibili separazioni. (Vedi Quando le cuciture saranno invisibili). Ma non è facile capire quanti anni saranno necessari perché quella che oggi (benché tecnicamente possibile) è un’utopia cominci a somigliare a una realtà concreta. Intanto un’infinità di soluzioni, che si propongono come “tecnicamente avanzate”, fabbricano barriere, ostacoli, complicazioni e divisioni.


In una guerra, come in un contrasto politico o di interessi, dividere e confondere gli avversari è spesso un vantaggio per chi ci riesce. Ma è importante capire che chi vuole spaccare, disorientare, creare separazioni e privilegi, non lo fa mai per farci del bene. O è un nemico che ci vuol male, o è uno stupido che per egoistici e frettolosi motivi perde di vista il bene comune.

Guardiamoci da chi, in qualsiasi modo, crea o rinforza le divisioni. Come da chi vuole unificare e omogeneizzare un sistema in cui la sua è la voce dominante. Per quanto sorridenti e seducenti possano apparire le sembianze che assume... chi divide per imperare, come chi unifica d’imperio, non è un amico dell’umanità.



 

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