Offline Riflessioni a modem spento


Gli italiani e l’internet:
la divisione
è culturale

(non “digitale”)

settembre 2001

also available in English



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
la rubrica online Il mercante in rete
  e due libri: La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Nel luglio 2001 il Censis ha pubblicato una nuova analisi sull’uso degli strumenti di comunicazione nelle famiglie italiane. Il testo completo del massiccio documento (un centinaio di pagine) è disponibile online.

Si chiama Primo rapporto annuale sulla comunicazione in Italia – Offerta di informazione e di uso dei media nelle famiglie italiane. È previsto un ulteriore approfondimento in ottobre. Va riconosciuto al Censis il merito di averlo reso disponibile in rete – ma purtroppo con disattenzione e sciatteria in fatto di ingombro e compatibilità. Come rilevava Franco Carlini sul Corriere della Sera del 5 luglio, il file offerto online ha una “mole” di 900 kilobyte mentre il testo che contiene è di 130. Potremmo aggiungere che si sono dimenticati di “zipparlo” (cosa che l’avrebbe ridotto a 180 o 50 k) e che è in un formato (word 2000) non facilmente gestibile da chi non usa sistemi Microsoft o non ha i più recenti (e costosi) aggiornamenti del software.

Su questo sito trova una sintesi di alcuni dati, con qualche commento un po’ più esteso di quello che può stare in questa pagina – dove mi limito a qualcuna delle constatazioni più interessanti.

Dice il Censis, nell’introduzione: «Abbiamo potuto constatare, non senza una punta di sorpresa, che nelle case degli italiani è presente una vera e propria abbondanza di strumenti di comunicazione. Le abitazioni non sono solo piene di televisori e apparecchi radio ma anche di libri, giornali e riviste, oltre che di telefoni cellulari, computer e videoregistratori, impianti per la tv satellitare, consolle per i videogame e collegamenti all’internet».

C’è tuttavia una distinzione, che divide circa a metà il mondo delle famiglie. Quelle che hanno una crescente abbondanza di mezzi di comunicazione, e un po’ soffrono della congestione che ne deriva – e quelle che rimangono in uno stato di scarsità. Si disegna così «il quadro di un paese in cui una metà dei cittadini possiede gli strumenti (culturali prima ancora che tecnologici) per approfittare delle opportunità offerte dalla “società dell’informazione”, mentre l’altra metà accusa gravi handicap che non sono determinati dalla carenza di beni materiali, bensì da un deficit di competenze linguistiche, abitudini cognitive, motivazioni comportamentali».

Il fatto interessante è che questo non è un fenomeno nuovo, né derivato dalla diffusione dei nuovi sistemi. Al contrario, è radicato in una situazione preesistente.

Non è sorprendente (anche se in contrasto con alcune opinioni diffuse) il fenomeno costatato dal Censis: «è la metà degli italiani che legge libri e giornali – e che ha confidenza con la radio, il teletext e il videoregistratore – che si trova più facilmente a suo agio con i computer e l’internet. Gli altri possono avere anche la casa piena di media, vecchi e nuovi, però non li usano, continuando ad avere come principale se non unico punto di riferimento la televisione».

In altre parole, le famiglie che già avevano consuetudine con una gamma abbastanza estesa di strumenti di informazione (compresi libri e giornali) sono quelle in cui si stanno diffondendo i nuovi strumenti, compresa l’internet; mentre quelle “meno abbienti di informazione” rimangono confinate nel limitato mondo cognitivo della televisione “generalista”.

Secondo questo studio c’è un computer nel 43 % delle famiglie ma solo nel 20% se ne fa un “uso costante”. C’è un collegamento all’internet nel 20 %, ma un reale utilizzo in poco più della metà – 11 %. (L’esattezza di questi numeri è discutibile e discussa. Nessun dato statistico è mai “certo”. Ma la sostanza del quadro non è diversa da ciò che rilevano altre ricerche). La prima e più ovvia constatazione è che (come già sapevamo da altre fonti) l’accesso alla rete è molto più diffuso di quanto fosse due o tre anni fa. Ma se quello che il Censis chiama “consumismo mediatico” porta molti a dotarsi di attrezzi e strumenti, ciò non significa che siano usati e che diventino davvero risorse di vita e di cultura.

A parte l’immagine preoccupante (anche se un po’ semplicistica) di “due Italie” – l’una un po’ più attenta e informata, l’altra passiva e inerte – resta il fatto che anche dove l’abitudine alla molteplicità dell’informazione è abbastanza radicata, e dove la diffusione dell’internet continua a crescere, manca ancora una diffusa comprensione dei veri valori e della reale utilità della rete. E questo – giova ripeterlo – non è un problema di disponibilità delle tecnologie (che semmai diventano un ostacolo quando sono sovrabbondanti o inutilmente complesse). Solo in parte è un problema di risorse economiche e di costi. Nella sostanza rimane, come è sempre stato, un problema culturale. Di atteggiamenti, comportamenti, relazioni umane – e contenuti.


 

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