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I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
21 – aprile 2004


Chi ha paura
di sapere l’inglese?

Nell’aprile 2004 si è sparsa lo notizia che Google ha deciso di quotarsi in borsa. (vedi l’aggiornamento alla fine di La legge di Google). La stampa di mezzo mondo è stata invasa di commenti e congetture. Qualcuno ha pensato a un ritorno della “bolla” speculativa nelle “nuove tecnologie”. Qualcun altro, in modo più plausibile, ha ipotizzato che se Google offrirà le azioni direttamente ai risparmiatori, mettendole all’asta, potrebbe nascere un modo nuovo di operare in borsa.

Qualche segno di cambiamento si era già notato alla fine del 2003, quando alcune grandi imprese americane hanno annunciato agli analisti finanziari che non intendono puntare sui risultati trimestrali, ma su strategie di lungo periodo, e perciò preferiscono avere azionisti “di risparmio” rinunciando a quelli che si aspettano guadagni in tempi brevi.


Ma l’argomento di questo articolo non è la borsa, né la finanza, né il futuro di Google o dei concorrenti che sarebbero pronti a prenderne il posto se avesse un decadimento di qualità. È una strana “deriva” che hanno avuto i ragionamenti su questo tema in qualche importante giornale italiano.

Già nei mesi precedenti si era sentita qualche voce, di persone che si dichiaravano “esperte” dell’internet, affermare che la rete è pericolosa perché minaccia di distruggere la lingua e la cultura italiana. Non so quanto sia ignoranza o malafede, ma comunque è una grossolana assurdità.

La notizia riguardante Google ha scatenato una nuova serie di divagazioni ancora più sciocche. Sembra che molti “autorevoli” autori non avessero la minima idea di che cosa sia l’internet, né alcuna nozione dei motori di ricerca, e perciò abbiano pensato che tutto nascesse improvvisamente con Google. Ignorando perfino che chi si collega a Google dall’Italia trova il servizio in italiano. E che può, se vuole, orientare la ricerca su una di cento lingue.


È ovviamente vero che la lingua più diffusa nell’internet è l’inglese. Ma potremmo cominciare a tranquillizzarci constatando che l’italiano è fra le cinque o sei altre lingue più presenti in rete (vedi dati internazionali e comunità linguistiche). Il punto sostanziale, tuttavia, è un altro. Un sistema aperto come l’internet favorisce, non ostacola, la molteplicità delle lingue.

Ci sono biblioteche che raccolgono libri in centinaia di lingue diverse. Tuttavia tenerle aggiornate e complete è un’impresa complessa e impegnativa. Online, invece, è molto facile conservare testi in milanese o in napoletano o in qualsiasi lingua o dialetto del mondo. (Possono avere qualche problema, peraltro risolvibile, le lingue che usano alfabeti diversi, ma questo non riguarda l’italiano).

Quindi è vero il contrario di ciò che dicono quelle persone, o ambienti culturali, che hanno paura della rete. Un sistema di conservazione solo “cartacea” potrebbe limitare la possibilità di accedere a testi scritti in lingue diverse dall’inglese – o dalla lingua locale in ciascun paese del mondo. Con l’internet, invece, chi sa l’italiano lo può leggere quando vuole anche se si trova in Patagonia o in Alaska.

Che l’inglese sia oggi la lingua internazionale non è “colpa” di Google, né dell’internet. E dobbiamo chiederci seriamente se sia un problema.


Ho già scritto varie volte, anni fa, sull’importanza di capire il globalese. Ma i diffusi vaneggiamenti sul tema mi fanno pensare che sia opportuno ritornare sull’argomento.

Per duemila anni i codici di scambio internazionale sono state le due lingue “ufficiali” dell’impero romano: il latino e il greco. Ancora oggi sono più conosciute in giro per il mondo di quanto possiamo immaginare – e sono la base della terminologia scientifica, compresi molti neologismi che ci è più facile capire se ne conosciamo l’etimologia.

Possiamo avere scarsa simpatia per il defunto impero coloniale britannico, o essere infastiditi dall’enorme potere americano, ma il fatto è che la lingua internazionale di quest’epoca è l’inglese – e non se ne vede un’altra in grado si sostituirla. Conoscerla è un vantaggio, non un indebolimento culturale.

Sapere più di una lingua, comunque, fa bene. Allarga la mente, arricchisce le possibilità di capire. Se chi di “madrelingua” inglese non ne ha mai imparata un’altra... è più debole di chi ne conosce almeno due, perché ha una minore apertura mentale.


Se non sappiamo l’inglese, non solo abbiamo difficoltà a comunicare con il resto del mondo, ma non capiamo bene neppure l’italiano. Siamo pieni di neologismi che derivano dall’inglese, ma hanno assunto un significato distorto perché non ne conosciamo bene l’origine (vedi Ambiguità di alcune parole inglesi). Finiamo con l’esprimerci in un pasticciato patois che non è né italiano, né inglese, con cui richiamo di non capirci bene neppure fra noi.

Dobbiamo, naturalmente, sapere bene l’italiano (a giudicare da ciò che si sente e si legge... sembra che anche da questo punto di vista stiamo andando maluccio). Ma è necessario sapere bene anche l’inglese – e se impariamo una terza lingua, tanto meglio.

Se vogliamo che la nostra cultura sia capita nel mondo, dobbiamo saperci esprimere nella lingua del mondo. Sapere l’inglese non è una debolezza, ma un rafforzamento delle nostre risorse culturali.

Con tutto il dovuto rispetto per i nostri dialetti, che sono spesso interessanti e divertenti, non possiamo esportare idee, pensieri, cultura, prodotti o servizi esprimendoci solo in bergamasco. Comunque è più facile trovare le poesie di Carlo Porta o di Gioachino Belli nell’internet che in una biblioteca in giro per l’Italia.


Il timore che dimostrano certi cattivi maitre à penser suscita qualche sospetto. Forse li infastidisce che una diffusa conoscenza delle lingue, o della varietà di fonti e verifiche offerte dall’internet, possa permettere ai loro lettori o discepoli di controllare le loro affermazioni, dubitare delle loro opinioni e teorie, formarsi una cultura più libera e indipendente. Se fossero buoni maestri, ci vorrebbero più capaci di pensare, non chiusi nella prigione dell’obbedienza.

Non dobbiamo “rassegnarci” con fastidio alla necessità di sapere l’inglese ma, al contrario, considerarla come una risorsa. Non dobbiamo “soffrire” per la possibilità di conoscere più di una lingua, ma capire quanto sia utile come ginnastica mentale.

Se, in aggiunta all’italiano e all’inglese, conosciamo anche qualche dialetto... qualche altra lingua straniera... e almeno un po’ di latino e greco ... tanto meglio. Non è così difficile come può sembrare. L’esperienza dimostra che quando si sanno due o tre lingue è più facile impararne qualcuna in più.

La paura di sapere l’inglese, o qualsiasi altra lingua che si ha la possibilità di imparare, come la paura di conoscere l’internet, somiglia pericolosamente a una generica paura di sapere. O di uscire dalla spazio protetto di una chiusa parrocchia culturale.



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