Offline Riflessioni a modem spento


Bavaglini e bavagli
sei anni dopo

agosto 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Sei anni fa (luglio 1998) un articolo in questa rubrica era intitolato Balie, bavaglini e bavagli. Il tempo è passato, le dimensioni della rete sono quintuplicate nel mondo, sestuplicate in Italia (vedi i dati internazionali ed europei) ma i tentativi di tenerla a balia, e così imbavagliarla, continuano a proliferare.

Dicevo allora: «L’Italia è uno strano paese. Continuiamo a ripeterci che abbiamo troppi “lacci e lacciuoli”, che l’accumulo di norme mal concepite e indecifrabili fabbrica solo inefficienza e corruzione; ma si continuano ad ammucchiare norme su norme, leggi e regolamenti, che raramente risolvono i problemi e più spesso creano impicci».

Che cosa è cambiato? Praticamente nulla. Continua l’abitudine di ammucchiare norme e leggi complesse, mal congegnate, difficilmente interpretabili – e spesso motivate da intenzioni diverse da ciò che si vuol fare apparire.

Dicevo anche: «Non è mai il caso di fidarsi di chi vuole tenerci a balia. Agli occhi di costoro siamo masse di bambini goffi e bavosi, cui occorre mettere bavaglini che spesso si trasformano in bavagli».

Anche da questo punto di vista le cattive abitudini (e le ambigue intenzioni) continuano – anzi tendono a peggiorare. Non si tratta solo della diffusione, spesso grottesca, di falsi allarmi e di ingiustificate paure (vedi Bufale, piagnistei e demonizzazioni). Ma anche di infiniti tentativi di imbrigliare, censurare, limitare la libertà nell’uso della rete.


Il problema, naturalmente, non è solo italiano. Ci sono, come sappiamo, situazioni peggiori della nostra. In una larga parte del mondo la libertà di opinione e di informazione è fortemente repressa in tutte le sue forme – compreso l’uso della rete. (Vedi La Cina e altri problemi).

Ma anche dove la libertà è una garanzia costituzionale non mancano i tentativi di “controllare con la scusa di proteggere”. Per esempio il 6 luglio 2004 la Supreme Court degli Stati Uniti ha dichiarato, per la seconda volta, incostituzionale il Child Online Protection Act del 1998 (che non era mai entrato in vigore). Si ripete, anche se in modo diverso, ciò che era accaduto il 26 giugno 1997 con l’abrogazione del famigerato Decency Act del 1995.

Che le garanzie costituzionali pongano un limite agli abusi può essere confortante, ma è preoccupante che i tentativi di repressione continuino a moltiplicarsi. Ed è evidente che la vicenda non è conclusa. In molti paesi, compresa l’Italia, ci sono in atto e in progetto altre iniziative di quel genere.

Il problema è sempre lo stesso: che cosa si intende per “decente”? Quando si stabilisce il principio che può essere vietato o censurato ciò che qualcuno considera “indecente”, si apre la strada a ogni sorta di repressioni culturali. Dalle foglie di fico è facile passare all’abolizione di opinioni sgradite o di informazioni “sconvenienti” per chi esercita (o ispira) una funzione di filtro o di censura. Così è stato in tutta la storia dell’umanità – e così è ancora oggi, nonostante la moltiplicazione dei mezzi di informazione e di comunicazione. (Vedi Cenni di storia dei sistemi di informazione – e in particolare il capitolo in cui si parla di libertà di stampa).


Il concetto di “pornografia” è, ovviamente e notoriamente, molto discutibile. Ciò che per una cultura o una persona è osceno, per un’altra può essere accettabile. Il risultato, nelle società dove c’è libertà di opinione e di comunicazione, è che ognuno è libero di guardare o leggere ciò che vuole. Ma c’è il problema di evitare che cose “inadatte” siano disponibili a persone troppo giovani. Un divieto totale non è praticamente possibile, ma ci sono cose “vietate ai minori”.

In generale c’è molta ipocrisia in quelle norme e nella loro applicazione. E ci sono seri problemi nella “delega” a una “tutela generale” di ciò che deve essere una precisa responsabilità delle famiglie e degli educatori. Se una famiglia, o una scuola, scelgono di insegnare che i bambini nascono sotto i cavoli o sono portati dalle cicogne, è una loro responsabilità decidere come, e quando, dire la verità (e spiegare perché prima l’avevano nascosta).

C’è, in tutto questo, una profonda differenza fra i “bambini”, che vivono sotto il controllo delle famiglie e delle organizzazioni didattiche, e i “ragazzi” o “adolescenti”, che hanno maggiore libertà e iniziativa personale. Per i più piccoli ciò che conta è l’attenzione degli adulti, che sappiano seguirli con la necessaria attenzione e non abbandonarli da soli a esperienze, anche solo di spettacolo o di lettura, che possono turbarli o confonderli. Peri i più “grandicelli” conta l’educazione, fin dall’infanzia, a saper scegliere e capire (i divieti hanno spesso l’effetto contrario: stimolano alla ricerca di ciò che è proibito).

È illusorio, e pericoloso, pensare che un sistema di divieti imposto dall’esterno possa sostituire il delicato e fondamentale compito delle famiglie e degli educatori.


Nel caso specifico della rete, i bambini di solito non sono interessati a usarla. Se lo sono, non possono essere abbandonati da soli online – così come non è ragionevole che vadano in giro incustoditi, in città in campagna. Anche indipendentemente dalla possibilità che facciano “brutti incontri”, o che vedano o leggano cose inadatte alla loro età, l’infinita varietà della rete è un sistema troppo complesso per un bambino lasciato a esplorarlo da solo.

L’introduzione di “filtri” non solo è inutile, ma è pericolosa: perché può indurre famiglie ed educatori ad affidare a “tate elettroniche” un compito per cui sono inadatte e inadeguate. Passata l’infanzia, il problema si aggrava, perché il divieto diventa un incentivo ad andare a cercare ciò che è proibito.

(È ovvio che se un ragazzo di 12 anni ha la possibilità di vedere un film “vietato ai minori di 13” si precipita a farlo, non tanto perché è interessato a ciò che vedrà, ma soprattutto perché vuole scoprire che cosa gli hanno proibito. In rete è ancora più facile trovare un modo per “aggirare” eventuali blocchi o divieti).

Se qualcuno vuole mettere un ostacolo nel computer di casa sua, per impedire l’accesso “non autorizzato” alla rete, o limitarlo ad alcuni percorsi di sua scelta, naturalmente è libero di farlo. Così come può mettere un blocco al telefono, chiudere a chiave il televisore – o tenere in scaffali chiusi libri, giornali o riviste di cui non vuole condividere la lettura. Resta un problema suo come governare la curiosità di chi si chiede perché quelle cose siano rinchiuse o nascoste.

Ma quando i controlli sono “centralizzati” il quadro cambia profondamente. Non solo si arriva inevitabilmente alla censura e al controllo delle informazioni e delle opinioni. Ma c’è anche il fatto che le risorse offerte sono spesso legate a interessi privati – e sarebbe ingenuo immaginare che non ne approfittino per favorire ciò che conviene a loro e per ostacolare la concorrenza.


Una vicenda diversa, e non meno ambigua, è quella che riguarda la cosiddetta “pedofilia”. Sono mancate, e continuano a essere scarse, le attività serie e approfondite per colpire alle radici il grave problema delle violenze contro bambini e minorenni – e le molteplici forme di aggressione e sfruttamento sessuale, di cui sono vittima anche persone adulte. C’è stata, invece, un’insistente “demonizzazione” dell’internet, di cui sono vittima molti innocenti – e ancora oggi, benché siano meno frequenti i grandi “clamori” sull’argomento, le persecuzioni continuano.

(Ci sono parecchi articoli su questo argomento nella sezione “libertà e censura” – vedi per esempio i link che si trovano in Perseverare diabolicum).


Un altro pretesto, non meno preoccupante, riguarda le prevenzione e la repressione del crimine – con una particolare accentuazione nel caso del terrorismo internazionale. La storia non è nuova. Ma ovviamente si aggrava nella preoccupante situazione di oggi.

Il problema esiste fin dalle origini della rete. È ovvio che tutti i sistemi di comunicazione, compresa l’internet e altre forme di networking, possono essere usati da criminali di ogni specie. Ed è altrettanto evidente che se ne servono abitualmente, fin dall’inizio, le organizzazioni (legittime o non) di indagine, di intelligence e di spionaggio.

Non è facile stabilire dove sia il limite fra la necessaria azione contro ogni genere di criminalità e le violazioni dei diritti dei cittadini onesti. Ma è evidente che quel limite viene troppo spesso superato – in modi, e con intenzioni, che nulla hanno a che fare con la prevenzione o repressione del crimine. (Vedi Ambiguità e pericoli della prevenzione).

Tutto questo si aggrava con la crescita del terrorismo. Ovviamente non si tratta solo dell’internet. Le mistificazioni e le strumentalizzazioni invadono in mille modi la cultura e la società civile. Il problema è noto e grave in tutti i suoi molteplici aspetti. Ma è necessario ribadire, anche nel caso della rete, che ogni invasività o distorta repressione non solo è inutile per la lotta contro i terroristi, ma spesso ottiene l’effetto contrario.


Mentre si accumulano leggi e norme mal concepite, che con ogni sorta di pretesti si accaniscono contro la rete, è scarsa e inefficace l’azione contro l’ondata crescente dello spamming – cui si associano spesso attività truffaldine (vedi Spam e scam).

Insomma c’è chi infetta la rete dall’interno, con comportamenti scorretti o fastidiose invasività. E c’è chi, senza tentare seriamente di risolvere quei problemi, si affanna a cercare in tutti i modi di condizionarne l’uso, restringerne l’orizzonte, limitarne la libertà e l’apertura.


Un altro abuso, di cui si era parlato sei anni fa, è l’assurda pratica di sequestrare computer nel corso delle più svariate indagini o liti giudiziarie.

Il problema non era nuovo allora (vedi 1994, 2004... “1984” la storia continua) e non è risolto oggi. Anche se alcuni magistrati, e una parte delle “forze dell’ordine”, hanno capito che possono svolgere efficacemente il proprio compito senza ricorrere a inutili abusi, quel genere di inutili e perverse procedure è tutt’altro che scomparso.


Con tutti i problemi che ci affliggono, è facile pensare «Vabbè, ma che m’importa? Posso vivere tranquillamente anche senza usare l’internet – o stando nei limiti che le balie mi vogliono imporre». Ma il problema non è così banale. Quando si rinuncia troppo facilmente a un pezzo di libertà si rischia di perderne molta di più.



 

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