Numero 35 30
giugno 1999 |
Questo è un "numero senza numeri".
Da ciò che mi dicono e scrivono le persone
che hanno la cortesia e la pazienza di seguirmi, noto che ci sono
tre tendenze.
Quella di chi apprezza solo le considerazioni qualitative e
si annoia con i dati.
Quella di chi considera le analisi dei dati come il motivo
più importante per leggere questa rubrica. E quella di chi
(grazie) apprezza l'una e l'altra cosa.
In questo numero accontenterò (o almeno spero) chi bada
più ai ragionamenti
qualitativi che alle analisi numeriche. Ma in un prossimo numero
ritornerò
sul tema "dati e statistiche". Ho alcune serie di informazioni interessanti,
che sto cercando di analizzare e confrontare; ma è un lavoro
lungo e complesso
anche se le deduzioni alla fine saranno, spero, semplici.
Prego chi stava aspettando ancora un po' di numeri di avere ancora
un po' di pazienza.
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1. Editoriale: È scoppiata la guerra dei
portali |
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La guerra era già in corso da tempo. Ma
ora è ufficialmente dichiarata. Per esempio, durante una
giornata dedicata all'internet nell'aula magna dell'università
Bocconi, il 16 giugno, c'è stato un momento di vistoso, quasi
comico, imbarazzo. Cinque o sei grandi organizzazioni si erano
minuziosamente preparate per dire "sono il più grande
portale italiano". Dopo che i primi due avevano fatto la stessa
affermazione, gli altri si trovarono in qualche difficoltà...
chi disse orgogliosamente "non è vero, il più grande
sono io"; chi invece disse "va bene, smettiamo questa gara di
parole, deciderà il mercato; ma vorrei spiegare che cosa
stiamo facendo". E chi tacque... per non scoprire le carte.
Una signora che conosce bene la rete, seduta accanto a me,
bisbigliò "ma com'è questa storia, che tutti fanno
tutto?" e questa è forse la sintesi più
efficace della situazione. Ma credo che il tema meriti qualche
approfondimento.
Prima di tutto, che cos'è un portale? Tutti ne parlano,
ma non è facile darne una definizione. Credo che la parola
americana portal si traduca abbastanza bene con "portale".
Infatti si tratta proprio di una grande, immensa porta, che cerca di
essere l'unica via d'accesso al tempio, alla città, al mercato
o al paese delle meraviglie. L'ambizione di ogni "portale"
è di essere ciò che America Online è per 15
milioni di americani: l'unico punto di accesso alla rete (dopo aver
comprato Compuserve e Netscape probabilmente ritenterà, in un
modo o nell'altro, di diffondere quest'idea anche nel resto del
mondo; ma non senza incontrare parecchia concorrenza). Insomma il
"portale" tende a dire: "Perché vuoi faticare a cercare
cose in giro per la rete? Vieni da me, che ci penso io". E
così costruire un "parco" di utenti che poi può vendere
a chi li vuole raggiungere...
Bertoldo chiederebbe: "se sono tanti, come può ognuno
essere l'unico portale?". Spesso i "bertoldi" hanno ragione.
Nessuno può prevedere come andrà a finire questa
guerra, ma una cosa è certa: non tutti riusciranno a ottenere
tutto ciò che sperano.
I concorrenti in Italia sono parecchi; e delle provenienze
più svariate. Qualcuno parte da una tradizione editoriale,
qualcun altro da una base tecnologica. Tutti stanno cercando di
"convergere" verso un'area che risulterà presto molto
affollata. C'è il gruppo Repubblica-L'Espresso che dopo
l'affermazione ottenuta con l'edizione online del quotidiano si
estende a un'operazione multiforme , in cui riunisce non solo le
altre testate del gruppo ma anche un motore di ricerca e un sistema
di servizi online. C'è il gruppo RCS (Rizzoli Corriere
della Sera) che finora ha cincischiato con le sue attività
online ma dichiara intenzioni non meno ambiziose. C'è Il Sole
24 Ore che da parecchi anni ha una presenza forte in rete e vuol
diventare più che mai un punto di riferimento non solo
per l'economia. C'è Virgilio che ha la dichiarata intenzione
di non essere solo un motore di ricerca, ma un grande "portale".
C'è la Microsoft che, benché sia un po' l'ultima
arrivata dopo anni di disinteresse verso la rete, sta ovviamente (e
non da oggi) usando la sua leva sul software per cercare di
impadronirsi anche del flusso dell'informazione: e ha dichiarato
apertamente di volerlo fare anche in Italia. C'è la RAI, con
intenzioni molto ambiziose anche se il suo tentativo di
costruire una facciata multifinestra per il suo servizio satellitare
(trasmesso anche da Rai 3 in ore notturne) appare piuttosto goffo.
Ci sono alcune parti della galassia Fininvest (Mondadori, Mediaset,
Publitalia) che per ora si presentano come entità separate ma
potrebbero convergere in un sistema, in qualche modo, integrato;
intanto la Mondadori ha comprato Volftp (l'ultimo residuo del defunto
impero Video On Line) che aveva già ottenuto per conto suo un
ruolo rilevante. Ci sono operatori internazionali come Lycos e Yahoo
che hanno aperto in Italia (in modo diverso, anche Altavista ha
un'interfaccia in italiano ed è in corsa per la "raccolta
pubblicitaria" sul nostro mercato). C'è la Omnitel che si
propone con l'ipotesi (per la verità un po' bizzarra) di
sviluppare la telefonia mobile come la principale, se non l'unica,
fonte di accesso alla rete. C'è la Telecom che probabilmente
sta ridefinendo le sue strategie ma sarebbe molto strano se
restasse fuori dal gioco, visto che come provider (Tin) controlla
circa metà del mercato. Ci sono altri provider, specialmente
i più "grossi", che faranno tutto il possibile per avere un
ruolo significativo; compresa Italia Online, che già possiede
Arianna, un motore di ricerca con ambizioni di "portale" (anche se
forse non è facile capire dove si collochi quell'impresa
nell'intrico delle fusioni e dei passaggi di proprietà). Ci
potranno essere altre presenze; anche perché molti operatori
procedono (come si fa anche in tanti altri settori d'impresa) a colpi
di acquisizioni. Eccetera, eccetera...
Credo che sia impossibile prevedere "chi vincerà", anche
perché non si è ben capito su quale terreno si
svolgerà la battaglia. Vista la molteplicità dei
contendenti, è chiaro che non potranno vincere tutti; o almeno
alcuni dovranno accontentarsi di un'affermazione inferiore alle loro
ambizioni. La "torta", per ora, è troppo piccola
perché così tanti che si affollano intorno al buffet
possano ritagliarne una "fetta" soddisfacente. Ma il gioco, in
prospettiva, è molto più complesso. Ciò che
vogliono fare i "portali", nelle loro svariate forme e
interpretazioni, è occupare il territorio. Controllare i
flussi e i percorsi, le strade e i ponti: così che qualcuno,
in un modo o nell'altro, debba pagare un pedaggio.
Lo sviluppo della rete non è mai stato, e non sarà,
omogeneo. Ma credo che si stiano delineando due grandi tendenze; non
necessariamente contrapposte, ma intrecciate e "co-evolventi". Una
che tende a riportare l'internet nel solco dei sistemi di
comunicazione tradizionali: grandi e centralizzati. Non so quanto
questa tendenza prevarrà, ma credo che sarà una delle
componenti del sistema. In questa prospettiva si giustifica
l'esistenza dei "portali". Alcuni estesi e generici, altri
più mirati e specializzati. Con una gamma infinita di
tipologie e di dimensioni, dal grandissimo al piccolissimo, e con una
differenza di culture e di modalità che speriamo rimanga
smisuratamente varia e mutevole, ricca di crescente
diversità.
L'altra, più simile all'internet delle origini e oggi
apparentemente in ombra, che mette il timone nelle mani delle singole
persone. Veramente interattiva, e soprattutto attiva da parte di chi
cerca il suo percorso individuale nella rete, il suo sistema di relazioni,
i suoi canali di dialogo. Questa tendenza è tutt'altro che
esaurita; ci sono "nuovi utenti" che, dopo essere entrati in quella
che apparentemente era solo una grande biblioteca o una raccolta di
cartoline, scoprono i canali di dialogo. E la forza inesauribile del
"passaparola" continua ad aumentare il loro numero.
La coesistenza dei due sistemi non mi sembra, in sé, un
problema. Se devo solo guardare il bollettino meteo o sapere qual
è l'esito delle elezioni in Israele, posso servirmi del
"portale" che mi è più comodo (sempre che, così
facendo, non rischi di tirarmi addosso una bordata di spamming). Se voglio informazioni e
scambi meno ovvi, è meglio che cerchi la mia strada.
L'importante è che sia diffusa la conoscenza di tutti e due i
modi di usare la rete. Perché chi si accontenterà del
primo alla fine sarà la vittima. Più povero di
risorse, di cultura, di stimoli, di scambi, di idee, di alternative.
Di conseguenza, anche di denaro.
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2. La crisi dei motori di
ricerca |
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Se grandi gruppi finanziari si contendono a colpi
di miliardi il possesso dei grandi motori di ricerca è
perché pensano che siano, o possano diventare, "portali". Non
perché funzionano come dovrebbero. La constatazione delle
difficoltà in cui si trovano è quotidiana, per chiunque
cerchi di usarli. In un articolo che ho scritto l'anno scorso ( Le vie della rete sono
infinite) osservavo che anche nell'uso dei "motori di ricerca"
capita spesso di imbattersi in qualcosa di interessante con un
percorso che non è il più ovvio. Un esempio fra
mille... pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio da una persona che
non conoscevo. Si chiama Stefano Casertano e mi ha gentilmente
permesso di pubblicarlo.
I mefistofelici strumenti di selezione di un motore di
ricerca, prendendo spunto dalla voce "bilancio+ospedali" mi hanno
portato a conoscenza del tuo pamphlet. Alla quarta ora di
infruttuosa navigazione, ormai assuefatto alle terrificanti e
accattivanti proposte che ammiccavano da ogni finestrella telematica,
ho abbandonato la ricerca universitaria e mi sono gettato a capofitto
nella lettura. È stato molto interessante... |
Il fatto è che le parole "bilancio" e "ospedali" non
compaiono insieme in alcun documento sul mio sito. Il testo che
Stefano ha trovato interessante parla di tutt'altro. Né il
mio nuovo "amico di penna" né io abbiamo un'idea precisa di
come quel search engine abbia trovato il percorso.
La situazione sta peggiorando. Il motivo è spiegato con
una certa precisione in un articolo nel numero di giugno di
Scientific American; firmato collettivamente da un gruppo di
lavoro dell'IBM che si chiama Clever
Project.
Ci sono centinaia di milioni di pagine nella world wide web.
Secondo uno studio del NEC Research Institute di Princeton, New
Jersey, il motore di ricerca con la base più ampia non ne raggiunge
più del 16 per cento; l'anno scorso un'analisi dello stesso
istituto diceva che era il 34 per cento. Nel 1998 si stimava che ci
fossero 300 milioni di pagine web; oggi si pensa che siano più
di 800 milioni. Secondo Clever Project ogni giorno se ne aggiunge un
altro milione. Una "pagina" può essere un testo di poche
righe o di molte centinaia di parole. Trovare tutto questo materiale
e classificarne il contenuto è un'impresa enorme, che deve
necessariamente essere delegata (in tutto o in parte) a sistemi
automatici. Per quanto elaborati e raffinati possano essere quei
sistemi, non hanno alcuna possibilità di essere "intelligenti"
nel senso umano della parola. Sistemi "euristici" classificano i
testi secondo la frequenza con cui compare una certa parola; ma
questo non significa affatto che la graduatoria di rilevanza sia
corretta. Per esempio (dice l'articolo) il libro Tom Wolfe The
Kandy-Kolored Tangerine-Flake Streamline Baby verrebbe
classificato da uno di quei sistemi euristici come altamente
rilevante per la parola ernia, perché all'inizio del testo
è ripetuta dozzine di volte; mentre il libro parla di
tutt'altro. D'altra parte, ci sono testi dedicati a un argomento che
considerano una parola-chiave così ovvia da non citarla quasi
mai. Per esempio nella homepage dell'IBM non compare la parola
computer.
Alle difficoltà che comunque esistono con qualsiasi testo
si aggiungono talvolta le "astuzie" di chi introduce in una pagina
(in modo palese o anche in forma "nascosta", cioè in parti del
linguaggio HTML non visibili in una normale lettura) ripetuti
"segnali" intesi a farsi trovare, e a collocarsi in un punto alto
della classifica, con certe parole-chiave.
Il risultato è quello che tutti possiamo vedere. Se
facciamo una ricerca molto "stretta", cioè con una definizione
precisa che contiene almeno una parola poco diffusa, troviamo un
numero limitato di testi (ma probabilmente non tutti quelli che
riguardano l'argomento che ci interessa). Se usiamo una parola
semplice abbiamo più probabilità di trovare ciò
che cerchiamo, ma il numero di alternative disponibili può
essere esorbitante.
In italiano è più facile, perché c'è
meno materiale? Direi di no. Prima di tutto, sono pochi gli
argomenti per cui può essere sufficiente una ricerca in
italiano; anche su temi "nostrani" c'è spesso materiale
interessante in altre lingue. E poi, per quanto piccolo rispetto al
totale, il volume del materiale in italiano è già
sufficiente per mettere in crisi i motori di ricerca.
Prendiamo un motore e chiediamo "Dante Alighieri". Trova 10.000
pagine; ma sono troppo poche... potrebbero esserci sfuggite molte
cose. Infatti con la parola "Dante" da sola ne trova più di
200.000, con "Alighieri" 34.000. Con "inferno" 120.000, "Conte
Ugolino" 60.000, "Beatrice" 200.000, "Pia de' Tolomei" 80.000 (se
scriviamo dei invece di de' ne trova 1.700.000,
perché "dei" non è solo una congiunzione, quindi anche
un raffinato sistema sintattico non può riconoscerla come
tale; e con una chiave breve come "pia" si rischia di trovare tutto
ciò che contiene una parola che contiene quelle tre lettere,
da "piano" a "copia"). Con "Francesca da Rimini" ne troviamo 1.200,
che benché poche rispetto alle altre chiavi di ricerca sono
già un'esagerazione; e naturalmente non sono tutte,
perché in molti testi è chiamata solo Francesca. Con
"Paolo e Francesca" la lista scende a 200 pagine, che sono
palesemente troppo poche. Ci sono le soluzioni cosiddette "booleane"
che permettono di raffinare la ricerca; ma anche con quelle l'impresa
è tutt'altro che facile. Per esempio se chiediamo i testi in
cui le parole "Paolo" e "Francesca" sono vicine (near) ci
vediamo offrire 200.000 pagine. Naturalmente l'impresa è meno
ardua se il territorio è più ristretto (per esempio se
cerchiamo un commento su Dante di uno specifico autore). Ma in
generale la ricerca in rete non è facile se non abbiamo
un'idea abbastanza precisa di che cosa stiamo cercando e di
dov'è.
Inoltre, c'è il problema dei sinonimi. Con la chiave di
ricerca "automobile" posso trovare una quantità enorme di
informazioni, in inglese come in italiano. Ma oltre a doverci
orientare in una massa già troppo abbondante ci
mancherà molto materiale in cui si usa la parola "car" o
"macchina" o "auto" e così via, moltiplicato per tanti
sinonimi in tante lingue diverse. La parola "aircraft" è
presente in un milione di pagine web; figuriamoci che cosa succede se
aggiungiamo "airplane", "aeroplano", "aeromobile", "velivolo"
eccetera...
E, come abbiamo visto, la "graduatorie" non ci aiutano; è
abbastanza improbabile che ciò che ci interessa sia fra le
"prime 20" o "prime 100" pagine nell'elenco. Insomma, è
difficile. E con il numero sempre crescente di pagine online il
compito dei motori diventa sempre più arduo.
Il gruppo di lavoro Clever Project sta studiando varie
strade per rendere meno ingestibile la situazione. Per esempio
un'analisi linguistica per migliorare la qualità delle
analogie semantiche (cosa già difficile in inglese e piuttosto
ardua se la si estende a una mescolanza di lingue diverse, compreso
l'italiano). Gli autori infatti ammettono che un'efficace gestione
dei sinonimi e dei contesti è un'impresa molto difficile.
Stanno sviluppando concetti interessanti, come quello delle
mining communities: cioè comunità di persone che
condividono specifiche aree di interesse e lavorano insieme per
trovare, produrre e organizzare le informazioni. Naturalmente ci
sono già molte comunità di questo genere nella rete, ma
può essere un'idea cercare di catalogarle, renderle più
facilmente reperibili, aiutarle a conoscersi fra loro, eccetera.
Stanno anche lavorando sul concetto di hyperlink. Il
sistema è piuttosto complesso, ma in sostanza implica la
scelta di fonti "autorevoli" per diversi argomenti o settori della
conoscenza, che funzionino come "nodi" o "stazioni di smistamento"
nel mare magnum del materiale disponibile. Ma gli autori
dell'articolo non sembrano rendersi conto dei problemi culturali che
stanno dietro a queste scelte. Non credo che il rischio sia un
sistema "orwelliano" di spietata censura e rigido controllo
dell'informazione, perché se qualcuno tentasse di farlo il
gioco verrebbe scoperto; ma è inevitabile che nella scelta dei
"nodi autorevoli" intervengano pregiudizi culturali.
Con lodevole candore, gli autori di Clever Project
ammettono che il lavoro è appena all'inizio, che molti aspetti
restano da approfondire, che il compito è difficile
anche perché la situazione è in continuo
cambiamento.
Il problema della "congestione informativa" non è nato con
la rete. Esiste, ed è oggetto di discussione e
approfondimento, da molti anni. La disponibilità diretta di
tanto materiale in rete lo ha solo reso più evidente. Ma
oggi, con la rete, ci aspettiamo che in qualche modo il problema sia
più facilmente risolvibile. E restiamo delusi quando
"tocchiamo con mano" quanto sia difficile orientarsi nell'enorme
quantità del materiale disponibile.
Quali saranno le soluzioni? Non lo so. Ma mi sembra necessario
che siano più di una. Già oggi esistono, nel mondo,
800 motori di ricerca e non credo che il numero tenda a diminuire.
Lo sviluppo più utile per il futuro mi sembra una crescente
specializzazione, così che ciascuno possa scegliere i nodi e
le fonti più affini alle sue esigenze. Ma credo che nulla,
mai, potrà sostituire la curiosità personale e la
ricerca di strade meno ovvie; e che nessuna soluzione tecnica, per
quanto raffinata, potrà sostituire il filo sottile ma forte
dei rapporti umani e la capacità individuale di scoprire, con
ingegno, fantasia e un po' di fortuna, quei percorsi meno facili ed
evidenti che sono spesso i più utili.
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3. Il valore della fiducia |
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"Guarda com'entri, e di cui tu ti fidi"
dice Minosse a Dante nel canto V dell'Inferno. La citazione non
è scelta a caso. Spero che abbiano in mente questo verso,
più che "lasciate ogni speranza", quegli operatori nel
mondo dell'internet che usano metafore infernali. Sono parecchi...
uno dei più ambiziosi "portali" italiani si chiama Virgilio;
lo stesso nome aveva un pupazzo demoniaco che si offriva come guida
alla rete in una trasmissione televisiva; un sito che mette in burla
i motori di ricerca si chiama Caronte; non ho capito perché
l'anno scorso la Tin, in una campagna promozionale, abbia scelto come
simbolo un diavoletto. La rete,
naturalmente, non ha nulla di diabolico; o almeno non più del
mondo in cui viviamo, di cui è uno strumento e uno specchio.
Ma quando ci si avventura in un terreno nuovo è spontanea una
certa diffidenza.
Siamo così abituati a fidarci, nella nostra vita
quotidiana, che spesso non ce ne accorgiamo. Quando entriamo in una
gelateria, non chiediamo un certificato di commestibilità
degli ingredienti. Se chiediamo a una persona sconosciuta
un'indicazione stradale, ci aspettiamo che ci indichi il percorso
giusto; e di solito la nostra fiducia è premiata. Abbiamo
idee abbastanza precise (anche se non sempre giustificate) su quali
sono le persone o le organizzazioni di cui ci possiamo fidare
e quali no. Ma in rete... entriamo in contatto con qualcuno che
può essere all'angolo di casa oppure all'altra
estremità del pianeta e la differenza non è
immediatamente percettibile. Qualcosa che abbiamo imparato fin
dall'infanzia dice, dentro di noi: "non accettare caramelle da
uno sconosciuto". Soprattutto, abbiamo la percezione di essere
in un ambiente che non conosciamo bene. La nostra propensione alla
fiducia scende, le nostre difese si alzano.
Eppure... è interessante notare come nel dialogo in rete
molte persone siano disposte ad aprirsi, a fidarsi anche di
qualcuno che non hanno mai visto più di quanto
farebbero al primo incontro con la stessa persona in un altro
ambiente. Perché hanno una sensazione di minor pericolo
(c'è meno imbarazzo che in un incontro personale, si attenuano
i ruoli e le differenze; e si ha la tranquillizzante percezione di
poter uscire dalla situazione come e quando si vuole, con la semplice
pressione di un tasto). Ma anche perché di quel "qualcuno" si
sono fatte un'idea; in base a ciò che dice, a come pensa, al
modo in cui si esprime e al contesto in cui avviene l'incontro.
(L'articolo di maggior successo, fra tanti che ho scritto sulla rete,
è intitolato
L'anima il corpo; a distanza di più di due anni continuo a
ricevere posta da qualcuno che l'ha letto in qualche angolo del
mondo).
La situazione, ovviamente, è diversa quando si tratta di
comprare o vendere qualcosa; o comunque in ogni transazione che va al
di là del semplice dialogo. Se la fiducia è importante
in ogni relazione d'impresa, lo è ancora di più nella
rete. Naturalmente possiamo ottenere una certa fiducia in base a
ciò che i nostri interlocutori già sanno di noi;
è più facile, almeno all'inizio, stabilire la relazione
se si è una marca conosciuta o se per altri motivi si ha un
capitale precostituito di credibilità. Ma (ancor più
che in altre situazioni) in rete non basta ottenere fiducia; bisogna
conservarla. Come? Mantenendo ciò che promettiamo e
non promettendo ciò che non possiamo mantenere. Sembra
banale, ma non lo è.
Un'impresa ha abitualmente un'idea precisa dei percorsi e delle
relazioni; sa quali sono i controlli che deve esercitare, sulla
propria attività e su quelle di altri, per soddisfare le
esigenze dei suoi clienti. In rete, i fattori in gioco si
moltiplicano e le difficoltà possono sorgere dove non ce le
aspettiamo. Il nostro interlocutore non ha (come non l'abbiamo noi)
una percezione chiara e immediata delle molteplici funzioni o
disfunzioni tecniche, o errori umani, che possono inceppare qualcosa.
Chi è responsabile? Chi ci ha messo la firma, cioè
l'impresa "committente". Conquistare la fiducia in rete è un
processo graduale e impegnativo. Perderla può essere cosa di
un istante.
Quali sono i rimedi? Quelli su cui tendo a insistere ad
nauseam. La sperimentazione, l'esperienza, il controllo
e la disponibilità al dialogo. Il dottor Lucio Carli dirige
l'attività online della
Fratelli Carli che da quasi novant'anni vende olio d'oliva
(oltre a parecchi prodotti "attinenti") con consegna a domicilio; da
tre anni usa anche l'internet. Quando lo incontrai, non molto tempo
fa, in un convegno, mi mostrò con sincero entusiasmo un
messaggio di critica, ricevuto per e-mail da un suo cliente.
Perché con entusiasmo? Perché gli aveva
segnalato un problema, di cui l'impresa non si era accorta; e
così gli dava la possibilità di risolverlo.
Vale la pena di entrare in questa specie di campo minato?
Avventurarsi in un territorio seminato di rischi imprevisti, dove
ottenere e mantenere fiducia richiede una continua attenzione?
Secondo me, si. Perché si impara molto; e perché chi
per primo saprà ottenere la fiducia dei clienti online
avrà costruito le basi di un forte vantaggio competitivo. Ma
non è qualcosa che si possa improvvisare, né sistemare
una tantum con una soluzione standardizzata.
La fiducia si coltiva con tempo e pazienza, con un impegno continuo;
con la qualità, con il servizio e con una gestione attenta
delle relazioni.
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4. Il valore della
relazione |
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Ho ascoltato e letto molte diverse e contrastanti
spiegazioni del leggendario successo di Amazon. Compresi i dubbi di chi fa
notare che finora quell'impresa non ha fatto profitti; o dichi
esprime perplessità sulla quotazione del suo titolo in borsa.
Ma un fatto rimane: Amazon non è solo la più grande
libreria online del mondo, ma è considerata in assoluto la
più grande impresa di vendita in rete e l'esempio
più noto di successo nel "commercio elettronico". Era una
piccola impresa quando ha "aperto i battenti" online nel luglio 1995.
Oggi ha un catalogo di 4,7 milioni di libri e serve 10 milioni di
clienti in 160 paesi, con un fatturato di 400 milioni di dollari.
Sono un cliente di quella libreria da anni e credo di sapere qual
è il motivo fondamentale del suo successo.
La strategia di Amazon è una puntuale, attenta, costante
attenzione alla relazione con i suoi clienti. Non vorrei ripetere
quanto ho già detto due anni
fa sulla qualità del loro servizio. Se non per confermare
che, nonostante la gigantesca crescita, sono riusciti a mantenere
quella qualità di relazione; come confermano mie esperienze
anche recenti e quelle di parecchie persone che conosco.
Dai libri, l'attività di Amazon si sta allargando ad altri
settori. È naturale. La fiducia, la qualità di
relazione che ha con milioni di clienti è una base solida che
può reggere la costruzione di altri edifici: purché lo
stesso livello di servizio sia mantenuto in ogni nuovo sviluppo.
Potrei raccontare parecchie esperienze, con altri fornitori,
molto meno felici; come, in parte, ho già fatto. Ma preferisco
cedere la parola, ancora una volta, a uno dei miei autori preferiti.
Nel suo articolo
Customer service (21 giugno 1999) Gerry McGovern dice:
L'e-commerce è più impegnativo di quanto si
può pensare. Si parla dell'internet come di un fantastico
strumento commerciale che permette di vendere al mondo intero a costi
enormemente ridotti. Troppo facile per essere vero? Si, lo è.
Molti sovrastimano largamente l'internet come strumento di
commercio, mentre sottostimano i costi di una vera operazione
commerciale online. Non si diventa "e-commerce enabled" mettendo su
un sito con un server sicuro. Non basta essere "on the web" per
diventare miracolosamente un'impresa globale e far sparire
improvvisamente magicamente tutti i problemi della
vendita in mercati stranieri o anche solo nel mercato interno.
Smettiamo di sognare e guardiamo la realtà.
Uno studio condotto in 11 paesi da Consumers International e
pubblicato nel giugno 1999 dice che "benché comprare beni
sull'internet possa dare vantaggi ai consumatori offrendo convenienza
e scelta, ci sono ancora molti ostacoli da superare prima che i
consumatori possano acquistare in rete con fiducia". Negli
esperimenti condotti da questi osservatori, l'8 per cento dei
prodotti ordinati non è mai arrivato. Solo il 32 per cento
dei siti esaminati offre informazioni su come protestare se qualcosa
non va. Secondo un altro studio, pubblicato in giugno da Net
Effect, il 67 per cento delle persone interessate a dare acquisti in
rete rinuncia all'idea per la mancanza di un efficace "customer
support" in tempo reale; e solo il 5,7 percento fa un ordine. Sempre
in giugno, la Federal Trade Commission americana ha diffuso un suo
studio su 200 siti web in 18 paesi. Ha constatato che solo il 26 per
cento dei siti dava indicazioni sulla restituzione dei prodotti e
solo il 9 per cento sui termini di annullamento dell'ordine. "Se le
persone non si sentono sicure e tranquille con il commercio
elettronico, non useranno l'internet e tutte le rosee previsioni
sullo sviluppo commerciale della rete non si avvereranno" ha
osservato il ministro americano del commercio, William Daley.
Non basta vendere per sviluppare le vendite, come sanno bene tutte
le imprese di successo. Perciò mi sorprende che persone
normalmente ragionevoli perdano la testa quando si tratta di
e-commerce. Parlano animatamente di quante occasioni apre e di come
ridurranno i costi a un centesimo di quelli attuali.
Si, l'occasione c'è; è grande e aperta. Ma sembra che
ogni imprenditore e il suo cane si stano precipitando a cercare di
approfittarne. È un mondo di cane-mangia-cane meglio
stare attenti. L'internet non è la pietra filosofale. I
costi sono costi. Ciò che succede con la rete, come
nell'information technology, e che i costi non si eliminano, si
spostano. L'IT in certe aree ha ridotto i costi, ma ha ridotto
anche la fedeltà dei clienti; così aumenta il costo di
trovare nuovi consumatori. L'internet fa la stessa cosa. Ci sono
imprese che investono milioni e milioni (di dollari) per costruire e
mantenere le loro marche nell'affollato ambiente online. Possono
aver bisogno di meno personale per gestire i siti web; ma chi lo sa
fare costa caro ed è difficile trovarlo. L'automazione non
è tutto. Come dimostra efficacemente lo studio di Net Effect,
le persone desiderano comunicare con altre persone prima di fare un
acquisto. Se l'e-commerce non diventa reale (cioè umano) le
relazioni con i clienti saranno il suo tallone d'Achille.
Perché una citazione così lunga? Perché il
percorso dell'analisi, ricco e complesso, porta a un'inevitabile
conclusione: la relazione è ciò che conta. E anche
perché ci conferma che il problema non è solo italiano.
Il gigante (reale o immaginario) del "commercio elettronico" mondiale
ha ancora i piedi d'argilla. Il gioco è aperto, quasi nessuno
ha le idee chiare; solo Amazon e pochi altri hanno una reale,
consolidata esperienza.
C'è un'obiezione, che ho sentito spesso. Siamo in Italia;
non è facile quotare in borsa un'impresa in perdita e mettersi
a riparo dai rischi con parecchi miliardi in banca. Dobbiamo far
tornare i conti. Come possiamo permetterci di dare a milioni di
clienti un servizio così efficiente (e costoso) come quello
che offre Amazon?
Si è già parlato, fin dal primo numero di questa rubrica, dei
motivi per cui le imprese italiane possono, più di altre,
avere un successo in rete. In sostanza, secondo me, un fatto
è chiaro: siamo davanti alla classica equazione problem-opportunity .
Con il notevole vantaggio che la dimensione è flessibile. In
rete ognuno può definire il suo ambito di azione; costruire
una sua rete su misura. Che non
è una "nicchia", ma un vero e proprio mercato.
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5. Il valore delle
comunità |
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Da quattro o cinque anni, man mano che la
diffusione dell'internet assumeva la portata dei "grandi numeri",
l'attenzione si è andata concentrando sui (presunti) fenomeni
"di massa" e sembrava perso di vista quello che è
sempre stato il tessuto portante delle reti telematiche: le
comunità. Ora sembra che il concetto sia venuto di moda,
come strumento di marketing; ma credo che l'argomento vada
approfondito con una certa attenzione esenza dimenticare
ciò che si è imparato nell'ormai lunga esperienza delle
comunità online.
L'idea delle comunità come strumento per la comunicazione
d'impresa cominciò a diffondersi dopo la pubblicazione di un
libro di cui ho già
parlato quasi due anni fa: Net Gain di John Hagel e Arthur
Armstrong. Si diffuse il concetto che it takes a village to make
a mall ("ci vuole un villaggio per aprire un mercato"). In
sintesi, la tesi del libro è che è che le
comunità in rete "sono una cosa ottima per l'umanità
e quindi anche una cosa buona per il business".
Il concetto di "gestione di comunità" sta cominciando a
diffondersi anche da noi (anche se finora mi sembra di vedere
più discussioni teoriche che efficaci applicazioni pratiche).
Per esempio Elena Antognazza, che gestisce mktg, uno dei gruppi di discussione
italiani in tema di "web marketing", dedica particolare attenzione a
questo argomento. Vedi il suo articolo Il marketing
relazionale: introduzione alle comunità di
interessi.
Ci sono vari modelli tecnici e strutturali di comunità
online, che esistono da dieci o vent'anni. Liste di dialogo,
newsgroup, BBS,
"liste civiche", community network, eccetera. Anche la
piattaforma world wide web può essere usata efficacemente per
costituire e organizzare comunità: cioè non è
detto che un "sito web" debba essere solo una vetrina, una biblioteca
o un catalogo. Può essere (e in molti casi è) un punto
di riferimento per una (o più di una) comunità
online.
C'è un fatto ovvio, ma non mi sembra inutile ribadirlo
e cercare di approfondirlo un po'. Il concetto di
comunità è vecchio come il mondo. Non è
immaginabile alcuna società umana che non sia un tessuto di
comunità. Si incrociano (ciascuno di noi fa parte di
parecchie comunità diverse) ma ognuna ha un'identità
propria. Possono essere aggregati labili, che durano poche ore o
pochi giorni; o sistemi di relazione consolidati e ritualizzati, che
durano secoli o millenni. Possono avere una struttura formale e una
gerarchia, o essere aggregazioni spontanee senza un "centro"
apparente. Che cosa accade in rete? Le stesse cose.
Ognuno di noi gestisce quotidianamente, anche quando non se ne
accorge, diversi sistemi di comunità. Qui vorrei soffermarmi
(perché ne derivano precise conseguenze pratiche) sul concetto
di "gestire". Molti lo intendono in senso gerarchico: il compito di
gestire è di chi occupa un livello "alto" in una gerarchia e
si riferisce a chi sta al di sotto di quel livello. Credo che sia
utile e importante intendere il concetto in modo diverso. Conosco
parecchi dirigenti d'impresa che mi spiegano come la parte più
impegnativa del loro lavoro non sia gestire i "dipendenti" ma i
livelli più alti dell'organizzazione. Attenti studiosi delle
relazioni umane spiegano che un'amicizia (anche un amore) ha bisogno
di essere "gestita" cioè nutrita di attenzione e cura
se vogliamo che cresca e ci dia tutta la ricchezza di cui
è capace. Questo genere di affettuosa gestione (ho scelto
intenzionalmente un aggettivo emozionale) è importante in
tutte le comunità umane; e specialmente in quelle online, dove
manca la presenza fisica.
Non tento una "classificazione" delle comunità online, che
potrebbe essere semplicistica (quindi inadeguata) o troppo complessa.
Anche perché qualunque sia lo schema dell'esistente ognuno
può avere un'idea nuova o definire una comunità "su
misura"; e spesso è proprio questa la soluzione migliore. Ma
credo che alcuni criteri generali possano essere utili.
- Ci sono due visioni "estremistiche". Quella di chi pensa
che una comunità sia automaticamente distrutta o corrotta se
interviene una presenza commerciale; e quella di chi crede che basti
organizzare comunità "di comodo" insulsi salotti
nell'angolo di un negozio, o tutt'al più sistemi di
"fidelizzazione" che, per quanto elegantemente si possano vestire,
sono poco più che "raccolte punti" (come per esempio i "club"
delle linee aeree). La strada giusta non è una "via di mezzo"
fra questi due estremi ma una concezione completamente diversa: in
cui da un lato si capisca che un apporto "commerciale" può
essere utile (anche, ma non solo, perché porta denaro);
dall'altro che una comunità "asservita" perde valore e
credibilità sostanzialmente muore o si trasforma in uno
sterile sottoscala.
- Si può entrare in una comunità esistente o crearne
una ex novo. Nell'uno e nell'altro caso bisogna essere
rispettosi. Non essere "invasivi" se entriamo in un territorio che
ha già una sua cultura. Non essere "prepotenti" se
organizziamo qualcosa che sarà tanto più utile quanto
più sarà capace di vivere di vita propria e trovare
percorsi e sviluppi che non avevamo previsto.
- Una comunità deve essere libera. Tutti i partecipanti
devono avere pari diritti, tutte le opinioni devono essere rispettate
(anche quelle scomode) ed è bene che ci sia spazio per
l'innovazione e l'imprevisto. Ma ciò non significa anarchia
totale. Occorre una definizione di identità (la cosiddetta
policy) che stabilisca qual è l'area di interesse e
quali sono le regole di comportamento. Occorre una persona
responsabile che gestisca, con rispetto ma fermezza, l'andamento del
dialogo, per evitare deviazioni, dispersioni, complicazioni e inutili
appesantimenti. Cioè quello che da sempre, nelle liste e nei
newsgroup, si chiama "moderatore"; e quel sistema di "buona creanza"
e rispetto reciproco che, fin dalle origini della rete, si chiama
netiquette.
Quando si organizza una comunità online (o si entra in una
comunità esistente) è meglio non pensare subito,
né prevalentemente, a "vendere". Una comunità non
è lo scaffale di un negozio o una bancarella di "offerte
speciali". È una preziosa fonte di informazioni, verifiche e
idee. Un modo per costruire relazioni, dare servizio, coltivare
rapporti di familiarità e fiducia. Non è uno scherzo
dire che una comunità viva e attiva è un gruppo di
persone che lavora gratis per noi. Ma dobbiamo ricordare che nulla,
mai, è del tutto gratis: quelle persone devono ricevere
qualcosa in cambio. Conoscenza, esperienza, informazione. E magari,
qualche volta, anche un segno tangibile della nostra riconoscenza.
Non voglio mettere limiti alla fantasia... ma è opportuno,
secondo me, che questi riconoscimenti siano ad personam e che
si evitino le più banali ovvietà, come un cd-rom "fondo
di magazzino" o il quarantacinquesimo tappetino per il mouse.
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6. Non siamo tutti uguali |
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In attesa di qualche approfondimento, che vedremo in un
prossimo numero, sull'utilizzo della rete in Italia, questi sono
alcuni semplici dati che riguardano la situazione negli Stati Uniti.
Non conosco la fonte originale, né la ricerca su cui si
basano; la tabella è stata presentata, nel già citato
convegno del 16 giugno, da Carlo Malaguzzi, che dirige la Internet
Division di Microsoft Italia.
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Giugno 1996 |
Aprile 1998 |
Dicembre 1999 |
Tecnologici |
24 % |
11 % |
11 % |
Esploratori |
24 % |
12 % |
14 % |
Ludici |
22 % |
15 % |
14 % |
Riluttanti |
16 % |
29 % |
20 % |
Pragmatici |
14 % |
33 % |
41 % |
La classificazione, evidentemente, è molto semplificata.
I modi di utilizzare la rete, e gli atteggiamenti delle persone che
la usano, sono infinitamente diversi e difficilmente riducibili a
cinque o dieci "categorie". Ma pur nella sua schematicità (e
benché riguardi una situazione molto diversa da quella
italiana) questa analisi ci dice alcune cose interessanti.
È abbastanza ovvio che i "tecnologici", che erano una
parte importante (anche se non del tutto preponderante) del mondo
della rete ai tempi delle origini, diminuiscano in percentuale man
mano che l'uso si estende.
La categoria degli "esploratori" può comprendere persone
molto diverse. I più o meno immaginari "maniaci della rete"
cui ho accennato un anno fa quando parlavo del navigatore inesistente. Cioè
quelle persone che si aggirano lungamente e vagamente alla ricerca di
"non si sa cosa"; che secondo un'opinione diffusa sarebbero la
maggioranza delle persone in rete, mentre sono una piccola e labile
minoranza. Ma in questa classificazione entrano anche persone di
tutt'altra specie, cioè quelle che usano attivamente la rete
in modo preciso e mirato per ricerca, dialogo e partecipazione. Il
confine fra questi comportamenti non è preciso; i "navigatori"
vaghi dopo un po' di tempo abbandonano, oppure si trasformano in
"esploratori" più avveduti. Benché siano pochi (meno
di una persona su sei probabilmente in Italia, per ora, molto
meno di una su dieci) i veri "esploratori" sono una categoria
importante, che merita attenzione. Indipendentemente dalla
numerosità, sono un nucleo rilevante, soprattutto quando
vogliamo sviluppare una comunità o comunque stabilire un vero
dialogo interattivo.
I "ludici" sono pochi e la percentuale è in
diminuzione. Sono anche, credo, effimeri: la fase di "gioco" (come
uso prevalente della rete) può durare mesi o forse anni, ma
presto o tardi finisce. Mi sembra curioso che gran parte delle
informazioni e dei commenti sulla rete si concentri su questo tipo di
comportamento.
I "riluttanti" sono ancora parecchi, nonostante la
familiarità con la rete che si è diffusa nei paesi
più avanzati. Questa componente (spesso, fra l'altro, meno
dichiarata di quanto sia davvero) ha un peso più rilevante nei
paesi più arretrati, come il nostro. Mi sembra che questa
categoria (o meglio i vari e diversi atteggiamenti che la compongono)
meriti un'attenzione particolare. Capire quali valori
convincerebbero queste persone ad acquistare più
familiarità con la rete può portare a scoperte e
innovazioni molto significative per tutti.
La crescita dei "pragmatici" mi sembra l'elemento più
importante di questa classificazione. Probabilmente è e
sarà questa la componente più forte, per numero e per
potere d'acquisto. Poco interessati a una generica "navigazione",
poco disposti a perdere tempo, ma fortemente interessati a
informazioni e proposte precise che corrispondano ai loro interessi e
alle loro esigenze. Offrire ciò che vogliono (e mantenere la
promessa) non è facile, ma può essere molto
redditizio.
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Lista dei link
Alcuni lettori mi hanno fatto notare che stampano il
testo prima di leggerlo e quindi non possono andare direttamente,
durante la lettura, ai link offerti online. Per
comodità di chi legge offline, ecco una lista dei riferimenti
citati in questo numero.
Spamming http://gandalf.it/mercante/merca2-htm#heading04
Le vie della rete sono infinite http://gandalf.it/garbugli/garb27.htm
Clever Project http://www.almaden.ibm.com/cs/k53/clever.html
L'anima e il corpo http://gandalf.it/garbugli/garb08.htm
Fratelli Carli http://www.oliocarli.it
Il diavoletto e altri misteri http://gandalf.it/mercante/merca17.htm#heading03
Amazon http://www.amazon.com
Amazon in Europa http://www.amazon.com.uk e http://www.amazon.de
Una piccola storia di cinque libri
http://gandalf.it/mercante/merca5.htm#heading05
Tecnologie e servizio http://gandalf.it/mercante/merca30.htm#heading02
Customer service http://www.nua.ie/newthinking/archives/newthinking327/
Essere italiani in rete http://gandalf.it/mercante/merca1.htm#heading04
Debole Italia... ma grandi possibilità http://gandalf.it/offline/off01.htm
Un'idea nuova e antica: "Mianet" http://gandalf.it/mercante/merca12.htm#heading04
L'importanza delle comunità http://gandalf.it/mercante/merca8.htm#heading04
Mktg http://www.mktg.it/
Il marketing relazionale http://www.mktg.it/marketing_relazionale.htm
L'intramontabile BBS http://gandalf.it/gargugli/garb11.htm
Netiquette http://gandalf.it/net/netiq.htm
Stiamo dimenticando la netiquette? http://gandalf.it/gargugli/garb17.htm
Il navigatore inesistente http://gandalf.it/mercante/merca21.htm#hading01
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