Non è un “sogno”


F.A.Q.
 
Risposte ad alcune domande riguardanti l’articolo
Finalmente! Tutto funziona
nella serie I garbugli della rete – dicembre 1997
e il capitolo 23 di L’umanità dell’internet – aprile 2001

di Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it

 

 
freccia1. È un sogno irrealizzabile?

freccia2. È una profezia?

freccia3. Come ci si può arrivare?

freccia4. Perché c’è un computer nella trattoria?

freccia5. I computer possono essere tutti compatibili?

freccia6. Insomma, si tratta di Java?

freccia7. Che cos’è e come funziona la “scheda”?

freccia8. Ma dove si trovano i soldi?

freccia9. Che cosa c’entra il Senegal?

freccia10. Che cos’è un “minidisco”?

freccia11. Che cosa sarebbe USOS?

freccia12. Che cosa significa “depenalizzato”?

freccia13. Ma perché la “GoodSoft” dovrebbe essere così gentile?

freccia14. 20 euro sono pochi per un buon word processor?

freccia15. Tre megabyte sono pochi per un buon word processor?

freccia16. Che cosa sarebbe WUSCII?

freccia17. Perché tante lingue?

freccia18. Un buon OCR può costare “solo” 50 euro?

freccia19. Come fai a scaricarlo in pochi minuti?

freccia20. Come farebbero a vendere libri a metà prezzo?

freccia21. Chiuderebbero le librerie?

freccia22. È possibile davvero un giornale “stampato in casa” e “su misura”?

freccia23. Biglietto, prenotazione...

freccia24. In un mondo interconnesso, si va ancora a teatro?




1. È un sogno irrealizzabile?


No. Tutte le ipotesi “sognate” sono soluzioni perfettamente possibili con tecnologie già oggi esistenti, o che sarebbe facile mettere a punto. Ciò che manca non è la tecnologia, ma la volontà di applicarla in modo davvero utile agli utenti e alla comunità.

Se era così quattro anni fa, a maggior ragione lo è oggi. Ma negli anni si sono moltiplicate tecnologie inutilmente complesse e ingombranti, spesso malfunzionanti e fastidiose – mentre di soluzioni semplici e pratiche come queste ancora non si vede traccia.


2. È una profezia?

No. Nessuno può prevedere come sarà il futuro. È possibile, sperabile, desiderabile che le cose si evolvano in modo più utile e funzionale; ma non possiamo prevedere come, né quando. Inoltre, qui non si tratta di un immaginario “futuro”: le ipotesi nell’articolo e nel libro sono basate sulle tecnologie di ieri e di oggi. È possibile che ne nascano altre, oggi impreviste, che possano offrire soluzioni altrettanto valide, o migliori.


3. Come ci si può arrivare?

Ci sono varie strade possibili. Una è che il mercato diventi più aperto e competitivo, e quindi da una più “sana” concorrenza si arrivi alle soluzioni. Un’altra è che gli utenti, invece di “subire” la situazione come fanno oggi, sappiano ribellarsi e mobilitarsi – e così imporre soluzioni più intelligenti (e contemporaneamente meno costose). Una terza è che ci sia un intervento “politico”: cioè che qualche organizzazione “super partes” (come i governi nazionali o sovranazionali, la comunità scientifico-universitaria, le “istituzioni” internazionali, le associazioni del volontariato) intervenga in modo da costringere gli operatori (soprattutto i produttori di software) ad alcune scelte di base, da cui poi discendono le soluzioni specifiche. La soluzione più efficace sarebbe una convergenza di tutti e tre i fattori.

Gli anni passano... Comincia a diffondersi più largamente la percezione del fatto che nelle tecnologie qualcosa non va – e che stiamo andando di male in peggio. Ma continuano a non esserci soluzioni efficaci e sufficientemente diffuse.


4. Perché c’è un computer nella trattoria?

Il giorno in cui l’uso della rete fosse diffuso come il telefono, sarebbe del tutto normale la presenza di un computer (o di un terminale) collegato in rete, un po’ dovunque; in ogni stanza d’albergo, in ristoranti, bar e trattorie, stazioni, aeroporti, treni, aeroplani, eccetera.

Ma anche senza attendere quel momento, possiamo immaginare che un oste intelligente faccia un investimento di poco più di un milione (se sa come fare, non occorre che spenda di più) e una spesa abbastanza modesta per il collegamento – perché usa personalmente la rete e perché molti dei suoi clienti la usano, quindi vengono più volentieri da lui. Naturalmente è sottinteso che si mangia bene, l’ambiente è piacevole e il prezzo è giusto, perché se fosse una cattiva osteria nessun computer la potrebbe salvare.

Inoltre... se si verificassero le altri parti del “sogno”, spenderebbe ancora meno.


5. I computer possono essere tutti compatibili?

Certamente. Anzi dovrebbero esserlo. Una delle assurdità fondamentali del sistema attuale è che esistano sistemi operativi e singole applicazioni “non comunicanti” fra loro. In un mercato evoluto e serio soluzioni del genere sarebbero inaccettabili. I nostri nipotini, quando saranno grandi, rideranno di noi e della stupidità dei sistemi con cui siamo costretti a convivere.


6. Insomma, si tratta di Java?

Non lo so. Anni di furiose battaglie e polemiche pro o contro questa o quella tecnologia finora non hanno portato risultati, in termini di utilità reale per la nostra vita quotidiana. È tecnicamente possibile che tecnologie “a oggetti” possano facilitare sistemi “leggeri”, universali e intercomunicanti. Ma potrebbero esserci anche soluzioni diverse.

Il problema non è di tecnologia. È di strategia complessiva dei sistemi; cioè di “volontà politica”, nel senso “buono” della parola. Vedi anche la risposta 3.


7. Che cos’è e come funziona la “scheda”?

Non è importante, secondo me, che cosa sia. Può essere una di tante soluzioni tecnologiche, dalle smart card alle schede PCMCIA o ai supporti magnetici, ottici o magneto-ottici che contengono in un dischetto tascabile tutto ciò che può servire per operare indipenndentemente su un computer e collegarsi alla rete. L’importante è che si tratti di un sistema “universale” cioè accettato da tutti i computer (come oggi un dischetto floppy o un cd-rom). È tecnicamente banale inserire in una “scheda” tutto ciò che può occorrere a una persona per collegarsi, più i suoi archivi personali e alcuni software di uso abituale. In questo racconto l’ipotesi è che il modem (o meglio, il suo equivalente digitale, perché ormai la “modulazione” appartiene al passato) sia già presente nel computer dell’oste; ma naturalmente potrebbe anche averlo in tasca il cliente, perché già oggi può stare in una scheda di piccolissime dimensioni, come quelle che si usano nei computer portatili.

Un fatto molto importante è che queste soluzioni, se diffuse, non avrebbero un costo elevato. Tutti i prodotti ad alta tecnologia hanno un costo “tendente a zero” se fabbricati in grande quantità. Basta che una tecnologia sia “adottata da tutti” perché il costo scenda rapidamente a livelli molto bassi; se non c’è una situazione di monopolio (o “confusopolio”) la riduzione dei costi si riflette sui prezzi.

L’ipotesi qui è che si possa andare in giro, anziché con un computer portatile, con una scheda delle dimensioni di una carta di credito o di un dischetto floppy. Tecnicamente, le soluzioni sono disponibili. Ciò che manca è l’organizzazione.


8. Ma dove si trovano i soldi?

Uno dei problemi della tecnologia pasticciata con cui siamo costretti a vivere è che è assurdamente cara. Si sprecano miliardi (di dollari) in cose inutili. Se ci fossero sistemi standardizzati, semplici ed efficienti, i prezzi scenderebbero a precipizio. Se l’uso della rete fosse ben radicato e maturo nelle abitudini delle persone, ci sarebbe una domanda che farebbe diventare necessaria l’installazione di attrezzature adeguate in ogni sorta di locali pubblici e privati; e questo farebbe ulteriormente scendere il prezzo.

Mettere un terminale in ogni stanza di un albergo costa poco più che metterci un televisore (e con tecnologie meno assurde costerebbe meno). Il problema è che oggi la maggior parte della clientela vuole il televisore e il telefono, ma non sente ancora la necessità del terminale; né si rende conto che avrebbe il diritto di esigerlo. Basterebbe innescare il “circolo virtuoso”; ma in questo momento la ruota sta girando all’incontrario. (Vedi Il pendolo di Ermete e Il computer a manovella ).


9. Che cosa c’entra il Senegal?

Ovviamente qui non mi riferisco necessariamente a un paese specifico, ma alla possibilità (del tutto reale) che la rete si diffonda in paesi dove oggi ha una penetrazione trascurabile. Anche in questo caso, dal punto di vista tecnico le soluzioni ci sono (comprese le connessioni “via etere”) ma mancano volontà chiare e scelte organizzative efficienti. Anche i costi potrebbero essere enormemente ridotti con le giuste scelte di tecnologie e di metodi. L’apprendimento tecnico non è un problema così difficile come può sembrare; è più facile (e molto meno pericoloso) imparare a collegarsi in rete che imparare a usare un kalashnikov o un bazooka.

Non sono affatto convinto che la rete, in sé, sia un “toccasana”. Applicata in modo sbagliato, in una situazione politica e culturale repressiva o non rispettosa della cultura locale, può fare più danno che bene. Ma, se inquadrata in una politica intelligente e aperta, potrebbe dare benefici enormi.

Ci sono paesi giganteschi, come l’India e la Cina, ancora in gran parte “tagliati fuori” (vedi la sezione dati). Le situazioni politiche, sociali ed economiche dei due paesi più popolati del mondo sono molto diverse; ma in tutti e due uno sviluppo di nuove possibilità di comunicazione potrebbe avere conseguenze straordinarie. Le capacità e le soluzioni tecniche non mancano; e anche dal punto di vista economico la spesa per “mettere in moto il circolo virtuoso” non sarebbe insostenibile. Ma le scelte politiche, le soluzioni organizzative....


10. Che cos’è un “minidisco”?

Chissà. Sto approfittando del “privilegio dell’immaginazione”, spesso usato da autori di fantascienza. Per esempio il grande Isaac Asimov ha sempre evitato, intenzionalmente, di spiegare che cosa sia il “cervello positronico” dei robot: ciò che conta nelle sue ipotesi non è la tecnologia, ma sono le conseguenze che derivano dall’esistenza di “qualcosa” che funzioni in un certo modo.

Nel nostro caso, l’ipotesi è tutt’altro che “fantascientifica”. Un “minidisco” potrebbe, per esempio, essere un “cd-ram” (con la “a”, cioè riscrivibile). Potrebbe avere una capacità inferiore a quella di un attuale cd-rom, o forse uguale; ma sarebbe comunque “mini” rispetto ai “mega” DVD che da anni sono in circolazione (ma finora usati quasi solo per la riproduzione di film). Nulla di fantastico o “futuribile”... la tecnologia esiste già.

O potrebbe essere tutt’altra cosa. Non molti anni fa un dischetto da 1,44 Mbyte sembrava grande. Non è difficile immaginare che qualcosa di molto più “capiente” lo possa sostituire; si tratta solo di scegliere fra le tante tecnologie disponibili e adottarne una come “standard”. Poco dopo, la tecnologia scelta costerebbe pochissimo. Come è già accaduto nel caso dei cd-rom.


11. Che cosa sarebbe USOS?

Come per il “minidisco” e per le altre tecnologie... non ha importanza che cosa sia, o come si chiami, l’ipotizzato Unified Standard Operating System. L’importante è che ci sia un unico sistema operativo, che sia pubblico e gratuito, che funzioni bene e che abbia una struttura “aperta”: cioè permetta l’uso di qualsiasi applicazione, da chiunque prodotta.

Difficile? No. Unix è di fatto pubblico e gratuito (c’è Linux). Il protocollo TCP/IP, che è il cuore dell’internet, è pubblico e gratuito – e funziona da trent’anni. C’è un’infinità di software, anche di ottima qualità, disponibile come freeware o shareware. Nessun altro sistema al mondo è basato su piattaforme “private” di proprietà di un singolo produttore, che fa il bello e brutto tempo e di fatto impone il suo standard a tutti gli altri. Il monopolio di Microsoft (o di chiunque altro) e l’esistenza di sistemi di fatto ancora “chiusi”, come Apple, sono assurdità.

Sarebbe immaginabile che i televisori o le radio funzionassero solo con un sistema di proprietà del signor X? O che ci fossero automobili che funzionano solo con una certa marca di benzina? O che ci fossero diversi tipi di corrente elettrica, con lampadine ed elettrodomestici compatibili solo con l’uno o con l’altro? (già è un assurdo che cambiando paese si trovino tensioni e spine elettriche diverse; e che ci siano ancora sistemi televisivi diversi, come PAL, SECAM e NTSC – ma con la televisione digitale anche questo anacronismo sparirà). Dev’essere proprio l’informatica (e con lei la telematica), che pretende di essere all’avanguardia, l’ultimo baluardo di questa antiquata assurdità?

Come dicevo nella risposta 3, ci sono varie strade per cui si può arrivare a sistemi pubblici, gratuiti e condivisi. Ma in un modo o nell’altro, presto o tardi, ci si dovrà arrivare. Con un enorme miglioramento dell’efficienza e un’altrettanto enorme riduzione dei costi.

Questo problema era già vecchio e grave quattro anni fa. È assurdo che non sia stato risolto e che sia ancora così scarso l’impegno per trovare una soluzione.


12. Che cosa significa “depenalizzato”?

Lascio a chi è più esperto di me in materia giuridica il compito di approfondire l’argomento. So che il termine “depenalizzare” è tecnicamente improprio; ma, senza entrare nelle sottigliezze della terminologia legale, ciò che intendo dire è che l’uso di software non registrato non può e non deve essere un “reato”. È un assurdo legale e sostanziale che sia considerato un “crimine” nel diritto penale e perseguibile “d’ufficio”. Al massimo è una violazione di contratto, e come tale una questione civile da affrontarsi, semmai, per iniziativa “di parte”. (Vedi Il diritto di copiare).

La balorda legge vigente in Italia in questa materia era stata in parte “mitigata” dalle ragionevoli sentenze di alcuni magistrati. Il parlamento (molto sensibile alle pressioni delle grandi lobby l’ha modificata e peggiorata. (Vedi La mostruosa legge sul “diritto d’autore”).

Al di là degli aspetti giuridici, la disponibilità di tanto shareware dimostra che non è necessario ricorrere ai “rigori della legge” per poter ottenere la (legittima) ricompensa del proprio lavoro. Chi offre software di qualità a prezzi ragionevoli non incoraggia il “contrabbando”. Operazioni intelligenti, come l’offerta di servizi, assistenza, aggiornamenti eccetera, sono molto più efficaci di qualsiasi tentativo di persecuzione legale o poliziesca. In un libero mercato di operatori intelligenti e orientati al servizio il problema dei “diritti” sul software potrebbe trovare infinite soluzioni molto più civili, umane ed efficienti che non le azioni terroristiche di chi ha scatenato nel 1994, e poi di nuovo negli anni successivi, ondate demenziali di sequestri; e in varie occasioni ha pubblicato sui giornali sgradevoli annunci in cui minacciava di “mettere in manette” chi non rispetta le sue prepotenti e avide regole.go&


13. Ma perché la “GoodSoft” dovrebbe essere così gentile?

Per motivi egoistici. In un mercato aperto e concorrenziale i vantaggi che otterrebbe sarebbero molto maggiori dei costi (che sui “grandi numeri” sono comunque “tendenti a zero”).

Inoltre, allargando la base dei suoi utenti, e avendo ottenuto la loro fiducia e simpatia, avrebbe una larga possibilità di vendere altre sue applicazioni (per esempio, nella “storia possibile” che ho immaginato, compro subito il suo nuovo OCR).

Un buon servizio di assistenza online e di gestione dei rapporti con i clienti costa molto meno di un grosso ufficio legale (e di una serie di “liti”) e procura molti più amici.


14. 20 euro sono pochi per un buon word processor?

Credo di no. Anzi... per un aggiornamento, sia pure sostanzioso, è un po’ caro. Un prodotto di successo e largamente diffuso potrebbe costare meno. E se immaginiamo che il mercato, nel frattempo, si sia esteso ai paesi oggi esclusi... le “economie di scala” potrebbero essere enormi.

Ma, così come l’ho immaginata, la GoodSoft è seria, simpatica e affidabile... non esce mai con un upgrade se non ci sono miglioramenti davvero importanti... il software è molto ben fatto... insomma non mi preoccupo di una cifra che, tutto sommato, non è tale da mettermi in crisi.


15. Tre megabyte sono pochi per un buon word processor?

Credo di no. Qui l’ipotesi è che i sistemi siano tutti intercomunicanti, per cui ogni nuovo software installato verifica quali funzioni sono già disponibili; e che le funzioni “non necessarie”, o di utilizzo occasionale, non si installino ma si lascino sul “minidisco” (vedi risposta 10). L’ipotesi è anche che si usino tecnologie più “leggere” e meno ingombranti.

Comunque... anche se fossero quattro o cinque cambierebbe poco, dato che oggi un disco rigido di qualche gigabyte ha un prezzo accessibile, e domani costerà ancora meno. Il problema è evitare “elefantiasi” inutili del software, che non solo occupano spazio ma tendono anche a rallentare il sistema e a creare inutili complicazioni.


16. Che cosa sarebbe WUSCII?

Lo standard ASCII (American Standard Code for Information Interchange) è, appunto, americano; cioè pensato per una lingua senza accenti, come l’inglese.

In italiano, gli accenti sono quasi sempre alla fine delle parole; ce la possiamo cavare mettendo un apostrofo al posto dell’accento. Ma in francese, in tedesco, in spagnolo e in tante altre lingue il problema è più difficile.

Non vorrei entrare qui nelle complicazioni tecniche, né nelle differenze fra i caratteri ASCII a 7 bit (che “passano” in rete) e quelli “estesi” a 8 bit, fra cui ci sono le lettere “accentate” (che invece non “passano” se non sono codificati). Né parlare del codice Unicode a 16 bit, che (per quanto ne so) è usato solo da “pochi eletti”.

Come si risolve il problema, anche in questo caso, mi è indifferente. L’importante è che ci sia una soluzione unica, semplice e condivisa. Un marziano di passaggio, o un uomo del futuro, si rotolerebbe dalle risate se vedesse che una semplice “è” diventa un codice di sette caratteri in HTML e di tre in MIME; oppure diventa caratteri “strani” e diversi secondo il word processor che si usa. I codici sono incompatibili fra loro. Sarebbe lungo ricostruire come si è arrivati a soluzioni così contorte; ma il fatto ovvio è che in questo, come in tante altre cose, occorre un’unica soluzione, semplice e condivisa.

Tanto per fare un esempio elementare su come è stupido il sistema... la maggior parte delle tastiere italiane contiene alcuni caratteri di uso rarissimo, ma non la “tilde” ~ (ASCII 126) che è usata in alcuni indirizzi web.

Quanto alla trasformazione di un testo da un word processor a HTML e viceversa... evidentemente esistono programmi che lo fanno. Ma sono (come quasi tutto il software oggi dominante) complicati, macchinosi e inefficienti. Soprattutto non sono compatibili. Ciò, che funziona con un browser fa pasticci con un altro, ciò che è leggibile con un sistema si ingarbuglia quando si usano soluzioni diverse, le tecniche continuano a complicarsi rinnegando quella compatibilità e “universalità” di soluzioni che è la natura fondamentale della rete e la condizione indispensabile della sua efficienza.


17. Perché tante lingue?

Anche indipendentemente dallo sviluppo della telematica (ma particolarmente nella rete) è chiaro che nel mondo c’è una sola lingua internazionale. Se in passato erano il greco e i latino (e in parte lo sono ancora) oggi è l’inglese; o meglio quella forma semplificata dell’inglese che chiamo globalese e che ci permette di dialogare con persone di lingue diverse in ogni angolo del mondo. Ma non credo che questo significhi la fine delle diverse lingue, perché dialogo globale non significa omogeneità, né perdita delle “radici”; comunque la diversità è un valore importante, nelle culture umane come in biologia. Per questo è bene che, nella rete come in ogni attività culturale e di scambio, convivano i due valori: l’internazionalità e le culture locali (o anche non, perché ci sono molte comunità linguistiche estese oltre i confini delle nazioni).

Ci sono centinaia di lingue al mondo, e la distinzione fra “lingue” e “dialetti” è tutt’altro che chiara. Ci sono anche diverse varianti di lingue molto diffuse; per esempio lo spagnolo di diversi paesi latino-americani non è uguale al castigliano. Già oggi esistono correttori ortografici diversi per l’inglese britannico e quello americano o australiano, e ce ne potrebbero essere di più. Spesso si dimentica che ci sono più persone in India che parlano, leggono e scrivono correntemente l’inglese di quante ce ne sono nelle isole britanniche o in tutta l’Europa continentale.


18. Un buon OCR può costare “solo” 50 euro?

Penso proprio di si. Certo ci sono meno scanner che persone che scrivono, quindi le “economie di scala” sono minori che per un word processor. Già quattro anni fa c’erano buoni software OCR (Optical Character Recognition) offerti online a 99 dollari. Immaginiamo un mercato molto più grande...


19. Come fai a scaricarlo in pochi minuti?

Non è detto che un software di buona qualità debba essere molto ingombrante. Anzi spesso è vero il contrario. Anche senza collegamenti a “banda larga” si può fare un downoload in pochi minuti..


20. Come farebbero a vendere libri a metà prezzo e a spedirli in mezzo mondo a costi bassi?

Oggi i libri sono composti in elettronica. Possono essere ristampati, anche in un formato diverso, in modo molto semplice. Il ricavo lordo dell’editore, compreso il diritto d’autore, è circa metà del prezzo di copertina; il resto è costo di distribuzione. Una volta che l’edizione è impostata, il costo di stampa è poco più del costo della carta (se no come potrebbero esistere i libri a mille lire?).

Un “formato unificato” determinerebbe sistemi di stampa e legatura ancora più automatizzati e ancora meno costosi.

Un formato standard (con una logistica adeguata) permetterebbe ai servizi postali di gestire i pacchi in modo totalmente automatico, con enorme risparmio di costi. Inoltre è del tutto giustificabile che ci siano prezzi agevolati per un servizio culturale.

Oggi, in Italia, l’affrancatura per “stampe non periodiche” di 100 grammi (non “standardizzate”, spedite una per volta, in modo “individuale“) è di 1300 lire per tutta l’Europa. Un libro, anche in formato “leggero”, potrebbe pesare un po’ di più; ma si tratterebbe solo di stabilire una “scala tariffaria” adeguata al formato standard, che sarebbe definito proprio in base alle esigenze tecniche dei servizi postali. E poi, con un po’ di organizzazione e automazione...

Un lettore attento potrebbe dire: ma come fai a far stare “Guerra e Pace” in poco più di 100 grammi? Qui ci sarebbe probabilmente un’astuzia, già praticata da molte edizioni, “economiche” e non: un libro molto lungo sarebbe in due o più volumi, o sarebbe definito convenzionalmente“doppio” o “triplo”. Il concetto generale non cambia.


21. Chiuderebbero le librerie?

No. Le edizioni “standardizzate” non sarebbero quasi mai prime edizioni; sarebbero edizioni relativamente “povere”, e per molti conta il piacere di avere in mano un “bel libro”; comunque rimarrebbe insostituibile l’esperienza di aggirarsi fra gli scaffali, chiedere consiglio al libraio, guardare, toccare, sfogliare... Le librerie dovrebbero difendersi con una scelta intelligente del loro assortimento, con il servizio ai clienti, con un ambiente gradevole. Ci sono librai che lo sanno fare: nessun sistema automatico li può sostituire.

Fin dal 1980 si è identificato e definito quel fenomeno che John Naisbitt riassunse nella formula high tech, high touch: cioè ogni avanzamento della tecnologia crea una spinta di segno diverso, che valorizza il “calore” dei rapporti umani, il valore del contatto e dello scambio personale (uno degli aspetti interessanti della rete è che può essere, infatti spesso è, un sistema in cui questi valori non si contrappongono o si “bilanciano”, ma si fondono e si arricchiscono a vicenda).

Naturalmente i libri in “formato unificato postale” sarebbero venduti anche in libreria, a un prezzo un po’ più alto (perché l’acquirente risparmia i costi di spedizione e li ha subito, senza doverli ordinare) e con un margine ridotto, ma “ragionevole”, per il libraio e il distributore. In libreria (e anche online) avremmo una scelta fra diverse edizioni dello stesso testo, a prezzi diversi; accade anche oggi, e non sempre scegliamo la più “povera”.

Succederà davvero qualcosa di simile? Non lo so... ma una cosa è chiara: la comunicazione elettronica non sostituisce il “libro stampato”; come dimostra anche il fatto che una delle aree di maggior successo nel “commercio elettronico” è la vendita di libri. Del resto molti, me compreso, se trovano in rete un testo interessante più lungo di una o due pagine non lo leggono su un monitor, ma lo stampano su carta.

Naturalmente analoghe facilitazioni e soluzioni organizzative potrebbero (anzi dovrebbero) esistere per i libri in forma digitale, per la musica e per i film (specialmente con i nuovi dischi DVD, che stanno sostotuendo le videocassette: vedi risposta 10) . Vedi a questo proposito anche l’articolo I libri digitali.


22. È possibile davvero un giornale “stampato in casa” e “su misura”?

Qui non parlo di “rassegne stampa”; né dei molti “giornali in rete”. Parlo di giornali “cartacei”, confezionati secondo le scelte del lettore, trasmessi via rete e stampati nella casa (o nell’ufficio) dell’abbonato.

L’idea è tutt’altro che nuova. Tecnologie in grado di fare “giornali su misura” e “stampati a domicilio” esistevano vent’anni fa. Oggi, evidentemente, le possibilità tecniche sono molto più avanzate. Non è un problema di tecnologie, ma di abitudini, di organizzazione... e di volontà degli editori.


23. Biglietto, prenotazione...

Spero di non dover spiegare che, con le tecnologie esistenti, è possibile prenotare (e pagare) online aerei, treni, alberghi, teatri... Nulla impedisce che biglietti eccetera (compresa l’assegnazione del posto in aereo, in treno o a teatro, o della camera d’albergo) siano “emessi” sulla nostra stampante, a casa o in ufficio (o registrati sulla nostra scheda elettronica tascabile, – vedi la risposta 7 – senza alcun bisogno di carta). È solo un problema di metodo e di organizzazione da parte di linee aeree, ferrovie, alberghi, teatri, eccetera – e agenzie di viaggi.


24. In un mondo interconnesso, si va ancora a teatro?

Certo. Abbiamo da molti anni ottime risorse di musica riprodotta o trasmessa, ma si continua ad andare ai concerti. Il calcio è in televisione, ma si continua ad andare allo stadio. Anche quando avremo in casa schermi giganti digitali, 500 canali televisivi, film di prima visione e spettacoli teatrali disponibili online, eccetera... non rinunceremo mai al contatto diretto, alla presenza fisica degli attori, al piacere di stare insieme e condividere un’esperienza. A questo proposito, vedi anche L’anima e il corpo.



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