le imprese e l'internet



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Mailbox, domain, indirizzi:
una questione di identità

Un problema che sembra, stranamente, trascurato è l’uso della mailbox aziendale. Una persona può o deve usare la mailbox (cioè l’identità) dell’impresa per la sua corrispondenza personale? D’altro lato, quanto e quale controllo può esercitare un’impresa sull’uso dell’internet da parte del suo personale?

Vedi L’uso della mailbox aziendale e il capitolo 19 di La coltivazione dell’internet. Sui problemi che sorgono nelle imprese con l’uso della “posta elettronica” vedi I misfatti dell’e-mail aziendale.

Usare una mailbox aziendale non è come telefonare a casa dall’ufficio per dire «questa sera farò tardi». È come usare la carta intestata dell’impresa. Cosa che ovviamente non è corretto fare quando si tratta di corrispondenza privata. Perciò è necessario che ogni persona, se usa la rete per l’ufficio e anche in privato, abbia almeno due mailbox. E il diritto, se vuole, di usare per la corrispondenza personale una chiave di crittografia che non sia conosciuta dall’impresa in cui lavora.

Non tutti hanno bisogno di “codici cifrati”. Molta corrispondenza online è di tale natura che nessuno ha motivo di preoccuparsi se viene letta o “intercettata”. Ma c’è da chiedersi quante imprese mandino per via elettronica informazioni che non vorrebbero rivelare troppo presto ai loro concorrenti. O tengano quelle informazioni su computer collegati alla rete – con difese così fragili che non occorre un “grande hacker” per andarle a leggere.

Non è questa la sede per entrare nella misteriologia dello spionaggio industriale... anche se sappiamo che alcuni sistemi “pubblici” di controllo della rete sono stati usati al servizio di interessi privati (e che alcuni software molto diffusi contengono funzioni nascoste che li rendono “ispezionabili” online da chi li produce). Ma è sorprendente quanto siano ancora deboli, anche in imprese bene organizzate, i sistemi di riservatezza e di sicurezza. Non si tratta soltanto di soluzioni tecniche, ma anche di comportamenti delle persone. Più che di addestramento alle tecncnologie si tratta di una “presa di coscienza” e di una più diffusa percezione delle responsabilità.

Non è la sicurezza l’unico motivo per cui un’impresa non dovrebbe mai delegare a “terzi” la gestione dei suoi sistemi. È comprensibile che non tutti possano avere un proprio server, direttamente controllato da personale interno. Ma anche quando è ragionevole andare in hosting su servizi esterni, quanti chiedono e ottengono le necessarie garanzie? Quanti difendono con sufficiente attenzione la propria identità? Quanti si garantiscono la titolarità del domain, il controllo sulla posta, le difese contro ogni interferenza? (Vedi il capitolo 16).

Sembra un po’ troppo diffusa la tendenza a “liberarsi del problema” accettando qualcuna delle infinite offerte di chi dice «non preoccuparti, ci penso io». Col poco brillante risultato di cadere in soluzioni preconfezionate e imitative, che non sono mai le migliori. E, peggio ancora, di cedere a qualcun altro un pezzo della propria identità.

Se finora la titolarità dei domain è stata vista soprattutto come un problema legale (difesa di nomi e marchi) è importante che tutto il sistema di denominazioni con cui un’impresa si presenta in rete sia visto come una risorsa strategica di comunicazione, come un’orchestrazione di identità riconoscibili e di connessioni rilevanti. Quante e quali presenze è giusto avere, in relazione non tanto alle “divisioni” organizzative dell’impresa quanto alle relazioni con i diversi mondi esterni? Quanto devono essere autonome, ciascuna con una forte e distinta identità, e quanto connesse al sistema complessivo d’impresa? Quali devono essere disponibili a tutti e quali invece chiuse, cioè riservate a particolari categorie di interlocutori? Le attività in rete non possono e non devono essere viste solo come un accumulo di attività tattiche o di strategie separate. Devono riflettere con chiarezza i valori e le intenzioni di tutto il sistema impresa, con una coerente declinazione delle varie attività specifiche. Elementi essenziali di governo, come questi, devono non solo essere fortemente presenti nel primo sviluppo dei progetti online ma anche poi, e sempre, con coerenza e continuità.

L’internet non è una moda passeggera. Molte cose dovranno cambiare, ma la rete continuerà a esserci e diventerà uno strumento necessario per tutti. Meglio pensare in anticipo a una chiara definizione delle identità (che non è soltanto una difesa legale di marchi d’impresa o di prodotto). Compresi i nomi dei domain e delle mailbox.

Per cominciare... ogni impresa dovrebbe assicurarsi che non siano usate le mailbox aziendali per motivi privati. Il costo è marginale... non solo esistono i servizi “gratuiti”, ma con una spesa trascurabile ogni azienda potrebbe regalare a tutti una mailbox personale. Va lasciato ai tecnici, ai giuristi, ai sindacalisti e ai tutori ufficiali della privacy il compito di stabilire come possa essere impedito a un’impresa di ispezionare una mailbox privata quando qualcuno la usa dall’ufficio. Ma se si cominciasse a spiegare alle persone che non è corretto usare l’identità dell’impresa per la corrispondenza privata avremmo fatto un sostanziale passo avanti.




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Questo è il capitolo 19 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 


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