le imprese e l'internet



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Gli aspetti legali

Questo breve documento non ha la pretesa di trattare in modo esauriente gli aspetti legali delle attività d’impresa in rete – un tema su cui esiste una vasta, e spesso confusa, letteratura. Ma i concetti più rilevanti si possono riassumere in poche pagine. La premessa generale, anche per quanto riguarda la legge, è una constatazione semplice. La natura fondamentale delle transazioni, e quindi delle implicazioni legali, non cambia per il fatto che si usa la rete. Ecco che cosa ne dice Andrea Monti, uno dei pochi avvocati italiani che hanno seriamente approfondito gli aspetti giuridici dell’internet.

Comprensibilmente, prima di investire nei nuovi sistemi di comunicazione le imprese hanno bisogno di alcuni punti fermi anche sul versante giuridico; ma non è facile trovare certezze formalmente documentate. Sul piano “scientifico” pochi si azzardano a prendere una posizione chiara su una materia che sembra cambiare forma ogni volta che viene osservata; in attesa di qualche “caso concreto” che fornisca elementi di studio. Non a caso in Italia la letteratura di settore ha avuto un notevole impulso con l’emanazione delle prime sentenze (ormai citate e stracitate in ogni nuova pubblicazione). Su piano pratico, per fortuna, il problema è assai meno complesso – se si evita di cadere in una trappola: immaginare che esista un luogo separato chiamato “ciberspazio” o “realtà virtuale” o “metaterritorio”; e credere che quel mondo di fantasia sia così diverso, rispetto a ogni realtà conosciuta e sperimentata, da richiedere una propria giurisprudenza. Un altro approccio – che condivido – sta nel non ritenere di aver dinnanzi un monstrum ma più semplicemente un mezzo tecnico (infrastruttura telematica) e un ambiente di comunicazione, la cui diffusione pone riflessioni su alcuni aspetti del nostro corpus iuris facendone salvo l’impianto sostanziale. In altri termini, dobbiamo confrontarci con una “realtà separata” che mal si presta al confronto con le categorie giuridiche note? In sostanza, non è così.

L’esperienza (pur recente) ha dimostrato che le leggi vigenti possono essere applicate.

Ci sono alcune zone d’ombra delle norme che probabilmente dovranno essere interpretate, ritoccate o abrogate; ma ciò che conta – ora – è superare la confusione che domina il dibattito sulla rete. Quando manca una percezione chiara di un fenomeno, difficilmente si riuscirà a capire come, ma soprattutto se, regolarlo diversamente.

I tentativi di “regolare prima di capire” compiuti dal legislatore italiano si sono tradotti in norme inefficaci e nocive per i diritti dei cittadini e per il mondo produttivo.

Queste osservazioni non devono sembrare allarmanti. Se è vero che la giurisprudenza è confusa (più in teoria che in pratica) e che alcune norme sono mal concepite, ciò non significa che la legge ponga ostacoli esagerati a un’impresa che vuole operare nell’internet. Anzi... ciò che le imprese già sanno in fatto di leggi e comportamenti – o più in generale correttezza nelle relazioni – è e rimane il punto di riferimento fondamentale anche per l’attività in rete.

In breve, anche dal punto di vista giuridico non esiste un modo separato chiamato “internet”. Esistono, invece, frontiere, dogane, mercati di riferimento, giurisdizioni; e continuano a esistere anche quando si comunica con le “reti globali”. Anche prima che esistesse l’internet le persone e le imprese compravano, vendevano e stipulavano accordi in altri paesi senza che questo suggerisse la necessità di re-inventare il diritto.

Le cose, tuttavia, tendono a complicarsi. Ci sono forti dichiarazioni, a livello europeo come da parte delle autorità italiane, sull’importanza di assicurare la massima libertà di opinione, di scambio e di attività d’impresa in tutto lo sviluppo del networking e in particolare della comunicazione elettronica. Ma nonostante il riconoscimento di questo principio di sono tentativi di regolamentazione che possono creare difficoltà e pastoie. La tendenza “ipernormativa”, sollecitata da alcuni difensori dei “consumatori” (forse “ben intenzionati”, ma privi di una conoscenza reale dell’argomento) e purtroppo seguita dal legislatore, non giova né alle imprese né ai cittadini. Se è vero che la competizione in rete può offrire al consumatore benefici reali (in termini di confronto qualitativo oltre che di prezzo) le pastoie che fingono di proteggerlo si rivolgono a suo danno. Prima di pensare a incentivi o agevolazioni, non sempre ben concepite, i nostri legislatori e le nostre autorità dovrebbero preoccuparsi di rimuovere gli ostacoli che ci sono ed evitare di aggiungerne altri. L’ironia di questa tendenza è che l’internazionalità della rete permette, ancor più di prima, alle imprese di scegliere l’ambito legislativo in cui operare. Norme sbagliate e inutilmente repressive potrebbero generare una “fuga dall’Italia”, a tutto danno della nostra economia – e dell’occupazione nel nostro paese.

Ciò che serve davvero non è un intrico di garanzie formali che in pratica non proteggono nessuno, ma una seria informazione ed educazione dei consumatori – cioè di tutti i cittadini – perché sappiano come affermare i loro diritti. E dal lato delle imprese un vero e paziente investimento nel costruire rapporti di reciproca fiducia.

Veniamo ora ad alcune considerazioni specifiche sui fattori da tenere sotto controllo, anche per motivi legali e contrattuali, quando si opera in rete.

Anche ciò che segue si basa sulla competenza specifica dell’avvocato Monti



Per le infrastrutture fisiche

  • Il livello di sicurezza delle infrastrutture dell’internet provider (o altra impresa che gestisce quegli aspetti del sistema); dal punto di vista dei possibili attacchi esterni come del controllo dell’integrità dei dati.


  • Le prestazioni dell’internet provider (larghezza di banda, raggiungibilità da altre reti, efficienza tecnica dei sistemi, manutenzione, backup).


  • Il possesso da parte dell’internet provider – e/o di ogni altra organizzazione che opera al servizio dell’impresa – delle autorizzazioni, licenze e quant’altro necessario per svolgere la sua attività. (Un’inadempienza potrebbe provocare la sospensione del servizio e quindi un danno per l’azienda-cliente).


  • La corretta attribuzione del “dominio IP”. L’impresa deve essere, a pieno diritto, titolare del domain. Se no, provider o altri fornitori poco corretti possono intestare a sé il domain – e così impedire all’impresa-cliente di cambiare fornitore.


  • Le tecnologie impiegate nello sviluppo delle applicazioni e dei siti (più sono legate a una certa piattaforma, meno facilmente sono esportabili e quindi più difficile è rivolgersi ad altro fornitore).


Per lo sviluppo di un sito

  • La corretta attribuzione del diritto d’autore sui testi, sull’impaginazione HTML, sugli elementi grafici e su ogni cosa che appare nel sito – comprese le tecnologie e metodologie utilizzate per l’offerta e gestione di servizi, l’organizzazione di relazioni e sistemi di dialogo, eccetera. Se non pattuito diversamente, i diritti spettano al fornitore (o anche a eventuali “terzi”) e quindi l’impresa rischia di non poter utilizzare quelle soluzioni se cambia fornitore o se desidera servirsene in un contesto diverso.


  • L’esistenza di clausole contrattuali o esplicite intese sulla tempestività degli aggiornamenti.


Per l’esercizio di attività commerciali

  • La forma giuridica richiesta per la validità del contratto (vedi le osservazioni che seguono).


  • L’età del contraente (nell’ipotesi di vendita di prodotti o servizi all’utente finale). Iminorenni non possono stipulare accordi giuridicamente validi.


  • Nel caso di esportazione, la normativa vigente nel paese di destinazione. Ci sono casi (tipicamente nel settore alimentare) in cui la commercializzazione di certi beni o servizi è sottoposta a prescrizioni specifiche – o addirittura vietata.


Uno dei problemi delle transazioni elettroniche è la certezza dell’identità delle parti e la non contestabilità degli ordini o delle offerte scambiate reciprocamente. La soluzione a questi problemi viene dalla crittografia, basta su algoritmi che non servono solo a “cifrare” un testo (cioè a renderlo comprensibile solo a chi possiede la “chiave” per decifrarlo) ma anche a “certificare” chi ne è l’autore. Le sue applicazioni moderne hanno consentito di elaborare meccanismi di “firma digitale” grazie ai quali, identificate una tantum le parti, è possibile scambiarsi messaggi che non possono essere contestati quanto a provenienza e contenuto.

A questa certezza tecnica non corrisponde automaticamente una certezza giuridica nel caso di quei particolari tipi di contratto in cui la “forma scritta” è un obbligo formale (per esempio quelli riguardanti beni immobili) perché secondo la legge italiana solo la firma digitale che possiede certe caratteristiche rende il documento informatico assolutamente sostituibile a quello cartaceo. Purtroppo le applicazioni operative di questa normative richiedono tempo; ma intanto la crittografia può essere utilizzata tranquillamente per stipulare ogni sorta di contratti, esclusi solo quelli che hanno l’obbligo della “forma scritta”.

In ogni altro caso basta che le parti si scambino il consenso e il contratto è valido; la crittografia funziona come garante dell’identità delle parti. Come avviene per le imprese che usando le sperimentate tecnologie dei “server sicuri” stipulano milioni di transazioni perfettamente legali. Un altro esempio di uso intelligente di strumenti tecnici e giuridici già esistenti, senza necessità di andare a cercare soluzioni complesse, macchinose, costose – e soprattutto inutili.




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Questo è il capitolo 16 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 



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