le imprese e l'internet



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Il linguaggio

La comunicazione in rete, ovviamente, ha alcune caratteristiche che la rendono diversa da qualsiasi altra (ritorneremo su questo tema nell’appendice). Ma su questo argomento c’è parecchia confusione. Il fatto che le tecnologie disponibili offrano molte possibilità non significa che debbano essere usate tutte. Da che mondo è mondo, abbiamo molti modi diversi di comunicare. Ma ciò non significa che ogni volta che parliamo con qualcuno dobbiamo metterci a cantare, o che ogni volta che vogliamo esprimere un’opinione sia necessario spiegarci con un disegno.

Con la diffusione di tecnologie che permettono di trasmettere più facilmente immagini, suoni e anche (“carico di banda” permettendo) animazioni, si è diffusa la strana percezione che l’internet sia un ambiente prevalentemente “audiovisivo”. Non è vero. Dice Don Tapscott, nel suo bel libro Growing up Digital:

L’umanità sta ritornando alla parola scritta. Siamo arrivati a un altro grande ciclo di cambiamento, dalla magia della televisione alla magia dell’interattività. L’introduzione di molteplici forme espressive in questo nuovo ambiente non cambierà l’importanza della parola scritta come la forma principale di dialogo.

Qualcuno pensa che le persone adulte siano più abituate alla lettura, e che i giovani invece siano irrimediabilmente “audiovisivi”. Anche questo non è vero. Il libro di Don Tapscott da cui è ricavata questa affermazione è interamente dedicato al comportamento degli adolescenti in rete.

E inoltre... nessuno aveva previsto la moda, che si è diffusa fra i giovani in Italia, dell’uso di “messaggini” SMS con i telefoni cellulari. Che probabilmente non è, come alcuni dicono, la nascita di un nuovo genere letterario (vedi Esiste una cultura wireless?). Ma è un altro esempio di ritorno all’uso della parola scritta.

Per capire come funziona la comunicazione in rete, può essere utile paragonarla ad altri modi di comunicare. Con la premessa, forse necessaria, che non sto confrontando “mezzi”, ma sistemi; l’internet non è un “nuovo mezzo”, ma un ambiente in cui possono svilupparsi molti media diversi. Così come il rapporto fra chi legge e la carta stampata non riguarda solo i giornali; e la visione di immagini in movimento su uno schermo non è propria solo della televisione.

Forse perché si guarda su uno schermo, molti pensano che la rete somigli alla televisione (vedi L’internet non è la televisione). Invece è molto più simile alla stampa – con importanti differenze dovute alla struttura “ipertestuale”.

Vediamo alcune caratteristiche di tre modi di comunicare.



Televisione
 
Stampa Rete
Immagine, suono,
movimento
Testo e immagini
Testo e immagini
(possibile suono e movimento)
 

Tempo obbligato
(tempo di visione-ascolto
determinato dall’emittente)

 
Tempo soggettivo
(tempo di lettura
deciso da chi legge)
Tempo soggettivo
(tempo di lettura
deciso da chi legge)

Ricezione passiva
 
Lettura attiva Lettura e ricerca attiva

Scarsa possibilità
di approfondimento
 
Buona possibilità
di approfondimento
Possibilità molto estesa
di approfondimento

Tempo limitato
 
Tempo illimitato Tempo illimitato
Ora o mai più
(basta un momento
di distrazione
e il messaggio, se non sarà
ripetuto quando la stessa
persona è in ascolto,
è perduto per sempre)
Possibilità di ritornare
(fino a quando si conserva
un libro, un giornale
o una rivista – o un ritaglio
o una fotocopia)

Possibilità di ritornare
senza limiti di tempo
(finché un testo rimane in rete
possiamo sempre ritrovarlo,
anche se non l’abbiamo
conservato “su carta”
o nella memoria
del nostro computer)

 

Visione spesso collettiva
 
Lettura individuale Lettura individuale

  Difficilmente conservabile
(quasi nessuno registra)
 
  Facilmente conservabile   Facilmente conservabile


Come si può constatare, la struttura del messaggio in rete è molto più simile alla stampa che alla televisione. Con una differenza fondamentale: l’assai maggiore possibilità di approfondimento, di spiegazione – e di gestione da parte del lettore – offerta dalla comunicazione elettronica. Ci sono anche interessanti somiglianze fra la rete e la radio; dovute, in questo caso, non all’uso della vista o dell’udito ma alla qualità della relazione.

Nel caso dei banner (gli “striscioni” in miniatura con cui si realizza abitualmente la pubblicità sui siti web) il criterio di riferimento è ovviamente l’affissione (messaggio sintetico e immediato) ma con una fondamentale differenza: un manifesto murale è fine a se stesso, mentre un banner può portare a un link, cioè (per chi lo desidera) a uno spazio di approfondimento o all’accesso diretto a un servizio.

C’è una tendenza esagerata a usare banner “animati”, con la speranza che il movimento attiri l’attenzione dei lettori. La soluzione è tecnicamente facile e questo è probabilmente il principale motivo della sua diffusione. Spesso questi trucchi sono più fastidiosi che attraenti. È molto più importante badare al contenuto.

Non tutto, naturalmente è testo. L’uso di grafica funzionale e intelligente può essere utile. Se si parla di un prodotto è bene mostrarne l’aspetto esterno e (quando ce n’è motivo) la struttura tecnica. Ma usarla bene non è facile; e spesso un sovraccarico di “apparenze” è solo una maschera per nascondere la debolezza del contenuto.

Se un’impresa dice poco di sé in un breve comunicato pubblicitario, o anche in un annuncio su un giornale che ha ovvie limitazioni di spazio, la cosa è comprensibile e accettata. Ma non in rete, dove è possibile dire “tutto”. Chi frequenta la rete lo sa; e se una persona “nuova arrivata” non lo sa, lo imparerà presto. Insomma ci troviamo davanti a un pubblico che ha tutti i diritti di essere esigente; anche perché ha speso tempo e impegno per venire a cercarci. Si è già parlato, nel capitolo precedente, dell’infinita profondità di informazioni che si può offrire con un sistema ipertestuale. Chi legge in rete si aspetta di avere ampie possibilità di approfondimento. Se qualche informazione manca, si chiederà se non abbiamo nulla da dire; o. peggio, se abbiamo qualcosa da nascondere.

Soprattutto... il criterio fondamentale è uno: mettersi nei panni di chi legge. Se abbiamo un sito online, visitarlo immaginando di essere qualcuno che non l’ha mai visto prima. Comunque, collocarci dal punto di vista dei nostri interlocutori. Chiedere la loro opinione – e ascoltarla con tutta l’attenzione che merita.




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Questo è il capitolo 15 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 


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