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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 58 – 26 luglio 2001

 

 
Spero che i “lettori affezionati” – di cui alcuni seguono
questa rubrica da più di quattro anni – non siano
troppo delusi per la sua minore frequenza.
La periodicità è sempre stata “irregolare”.
Se da qualche tempo è rallentata, dipende anche
dal fatto che alcuni temi sono svolti in altre aree,
che si sono progressivamente aggiunte su questo sito.
Come la serie offline, altre tre rubriche, alcuni libri
e articoli che escono “occasionalmente” su varie testate.
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle
novità
per verificare se c’è qualcosa
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: Si vendono meno computer


Pare che “per la prima volta nella storia” le vendite di personal computer siano in diminuzione (specialmente negli Stati Uniti). Fra i molti articoli sull’argomento, uno dei più chiari (in italiano) è quello di Pino Laurenza su Puntonet.

Come in tante cose... la medaglia ha due facce.

Era evidente che nei mercati “maturi” si dovesse arrivare a una situazione di questo genere. Se i fabbricanti e venditori di computer sono sorpresi, è perché credevano di vivere in un mondo irreale di crescita all’infinito – o perché non hanno la minima idea di quale sia l’evoluzione “naturale” di un mercato. Nessuna crescita può essere lineare o “esponenziale”. In tutte le evoluzioni c’è un inevitabile assestamento quando si arriva alla “saturazione”. Quando quasi tutte le persone e le imprese che volevano una certa cosa ce l’hanno, resta solo il mercato della sostituzione – che è evidentemente più piccolo e più lento di quello del primo acquisto.

Per molti anni si è tenuto in piedi un mercato “drogato”, con innovazioni false o inutili, con un sovraccarico artificioso di funzioni ingombranti, per “forzare” la sostituzione di macchine perfettamente funzionanti con altre di maggiore “potenza”.

Si è perfino inventata una “legge” che non è mai esistita come tale – e che (benché un’affermazione del 1964 avesse, all’epoca, un significato reale) è stata distorta per 37 anni con l’evidente intenzione di “far sembrare” che ci fosse un’inevitabile e veloce “obsolescenza” (vedi La leggenda di Moore).

Presto o tardi... era inevitabile che il gioco finisse. Anzi sta accadendo (in seguito alle “forzature” introdotte negli anni scorsi) molto più tardi di quanto sarebbe accaduto secondo un’evoluzione “fisiologica” del mercato.

Si notano già (anche da noi) diminuzioni di prezzo. Non solo dei computer, ma anche di periferiche, accessori eccetera. Anche questo era inevitabile – e anche questo sta accadendo in ritardo.

Che cosa accadrà con il software? Dipende da ciò che faranno i produttori – e in particolare la Microsoft. Se il suo nuovo sistema operativo (di cui naturalmente non c’è alcun bisogno) non richiederà un potenziamento di hardware, il ciclo della “innovazione forzata” si ripeterà per il software ma non per le macchine. Se invece l’installazione del nuovo sistema mettesse in crisi troppi dei computer oggi operativi... si potrebbe scatenare quel backlash, quella rivolta che è già diffusa in molte “frange” del mercato ma non ha ancota assunto la forza e il vigore di un’onda travolgente. Si vedrà...

(Intanto già sappiamo che i nuovi sistemi Microsoft tenteranno ancora più aggressivamente di “intrappolare” il traffico internet deviandolo secondo gli interessi di quell’azienda e di chi la paga per farlo. In contrasto con l’altro gigante, Aol - Time Warner, che vuol fare la stessa cosa pro domo sua. È un fenomeno sempre più preoccupante – ma è un altro discorso).

L’altra faccia della medaglia è che c’è un immenso mercato potenziale di “prima installazione” in quella larga parte del mondo che è ancora scarsamente dotata di strumenti tecnologici (e in quella parte della popolazione che si trova in una situazione analoga anche nei paesi “ricchi”). Una “domanda disponibile” che potrebbe aprire enormi mercati. Ma per soddisfarla non occorrono solo prezzi bassi. Occorrono anche macchine stabili, robuste, affidabili e durevoli nel tempo. Con software altrettanto stabile, semplice, affidabile e non soggetto a continui cambiamenti. Cioè un ripensamento sostanziale dei prodotti e delle loro funzioni. Quanto più drammatica sarà la “caduta” del mercato com’era finora, tanto più potremo sperare che si cominci a cambiare strada. Se no... i tentativi (per ora confusi e incerti) di produrre computer “diversi” in paesi come l’India... potrebbero spostare l’equilibrio dagli attuali dominatori del mercato ad altri. Con un impatto ancora più violento di quello che ebbero più di trent’anni fa le esportazioni di automobili giapponesi – o quindici anni fa, nel mercato dei computer, i primi “cloni” coreani.

Probabile? Purtroppo no – almeno per ora. Ma possibile. Non sono pochi, nella storia, i casi di cambiamenti forti e “imprevisti” (anche se, col senno di poi, è facile capire come fossero prevedibili).

 

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loghino.gif (1071 byte) 2. Il G8 e l’internet


Ora che stanno cominciando a esaurirsi le infuocate e confuse polemiche sugli sconvolti e sconvolgenti fatti di Genova del 19-21 luglio 2001... può essere opportuno ritornare su un’analisi di dati che avevo fatto fino a due anni fa (e che poi non ho aggiornato perché il quadro è essenzialmente lo stesso). L’uso dell’internet non è certo l’unica misura del grado di “sviluppo” di un paese. Ma è un indice, non irrilevante, non solo della disponibilità di tecnologie di comunicazione, ma anche dalla capacità di comunicare.

Il quadro si può riassumere, con estrema semplicità, in due grafici. Il primo rappresenta il numero di host internet nei paesi del G8 rispetto al resto del mondo

grafico

Otto paesi, con il 13 per cento della popolazione, hanno l’80 per cento dell’internet. Continuiamo a restare in una situazione in cui parlare di “reti globali” sarebbe comico se non fosse tragico.

La sperequazione si rivela ancora più grave nel secondo grafico, che mostra come ci siano grosse differenze anche fra i paesi del G8.

grafico

All’interno del G8 (come nel mondo in generale) rimane impressionante il predominio degli Stati Uniti. (Anche del Canada se valutiamo la sua presenza in rapporto alla popolazione).

L’unico cambiamento rilevante rispetto a due o tre anni fa è la posizione “relativamente meno debole” dell’Italia.

Il quadro è così evidente che ogni ulteriore commento mi sembra superfluo.

(Per un’analisi più dettagliata dell’internet nel mondo vedi la sezione dati).


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loghino.gif (1071 
byte) 3. La “truffa all’africana”



Da alcuni mesi circolano in rete parecchi messaggi, diversi fra loro ma analoghi per concetto e metodo. Fingono di provenire da paesi africani (ma è molto probabile che abbiano origine altrove). Descrivono situazioni di oppressione, intrigo e manipolazione; dichiarano di poter disporre di ingenti somme di denaro, destinate a cause utili o servizi civili, che vogliono sottrarre a governi corrotti o burocrazie perverse. Chiedono aiuto a qualcuno, fuori dal loro paese, che li aiuti a gestire quel denaro.

Non conosco casi in cui qualcuno sia caduto nella trappola, quindi non so esattamente come si realizzerebbe la truffa. Ma è probabile che somigli a quell’antico imbroglio (tuttora in voga, come raccontano le cronache) che si usa chiamare “truffa all’americana” e che gli americani chiamano confidence game. La vittima è attirata dalla tentazione di un facile guadagno (e in questo caso, in più, dall’illusione di fare qualcosa di “socialmente utile”). Rende disponibile una certa quantità di denaro, che finisce nelle tasche dei truffatori.

Non mi risulta che, finora, alcuno di questi lestofanti sia stato individuato e denunciato. Ma basta una lettura attenta di quei messaggi per capire che sono imbrogli.

Tuttavia... visto che continuano a ripetersi (e che, come dice un antico proverbio, «la madre degli sciocchi è sempre incinta») possiamo supporre che qualcuno ci stia cascando. L’imbroglio potrebbe essere così ben consegnato che le vittime, sapendo di aver fatto cose illegali, abbiano paura delle conseguenze che potrebbero subire se denunciassero il fatto alla magistratura o all’opinione pubblica



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loghino.gif (1071 byte) 4. Continua il letargo dell’Audiweb


Avevo già scritto in passato sulla storia del cosiddetto “Audiweb”. Cioè dell’ipotizzato punto di riferimento per la “misurazione” della pubblicità online. Per l’ennesima volta il progetto è arenato e non si sa quando si rimetterà in moto.

Circolano “libelli” anonimi e semiclandestini turgidi di polemiche e di malignità. Non sono da prendere molto sul serio perché sono chiaramente “di parte” – cioè opera di qualcuno che non è riuscito a manipolare l’operazione secondo i suoi interessi. Ma rivelano, ancora una volta, un diffuso disagio; e ripercorrono una storia che può essere discutibile nell’interpretazione, ma è chiara nei fatti. Il progetto “audiweb” nacque nell’estate del 1997. Quattro anni più tardi è ancora in fieri. Ne fu più volte annunciata l’imminente attuazione e ripetutamente andò in crisi. In parte perché l’operazione è meno semplice di come la si immaginasse. Ma soprattutto perché i giochi di interessi contrapposti si sono rivelati ingestibili.

Un aggiornamento un po’ più dettagliato su questa tormentata vicenda sarà preparato e messo online nelle prossime settimane. Ma intanto... la sostanza è semplice; e anche in questo caso la medaglia ha due facce.

Da un lato (come ho già detto molte volte, ma sembra necessario ripetere) la “misura della pubblicità online” è sostanzialmente inutile. Perché non potrà mai “misurare” se non pochi “grandi siti”, in un sistema dove la molteplicità e la specializzazione sono molto più importanti di qualsiasi mega-struttura “generalista”. E perché in un sistema interattivo ogni impresa può misurare direttamente l’esito di ciò che fa, senza alcun bisogno di dati generali di audience.

D’altro lato... sarebbe molto meglio se ci fosse un “audiweb” o comunque un criterio unico e condiviso. Perché, per difettoso che possa essere, si sarebbe costretti a concentrare le energie sulla sistemazione di un punto di riferimento omogeneo (e, dobbiamo sperare, trasparente) anziché sulla proposta di alternative più o meno bizzarre (e probabilmente manipolate secondo gli interessi di questo o di quello). E perché si metterebbe fine alla pletora di dati in costante contraddizione fra loro che servono solo a confondere le idee.

Inoltre... quelle imprese che sono incapaci di muoversi senza un “dato nel cassetto” avrebbero in archivio uno schema di riferimento “accettato da tutti”; così potrebbero finalmente lasciare quel rassicurante quanto inutile paracadute in fondo al cassetto e dedicarsi più seriamente a capire che cosa funziona davvero.

 

 

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