Devo confessare, con un certo dispiacere, che ho
sbagliato una diagnosi. Spero che non sia un errore di
prospettiva nel lungo periodo; ma i tempi sono molto
più lenti di ciò che pensavo (o speravo)
qualche mese fa.
Cerano segnali, apparentemente forti, di ripensamento.
Sembrava che si stesse affermando una comprensione più
chiara della necessità di dedicare vera e paziente
attenzione alla nuova economia e alluso della rete per
attività di ogni specie commerciali o non
che non fossero lennesimo sito inutile o lennesimo
presunto "portale" o lennesimo tentativo di fare
facili guadagni aggrappandosi a qualche ondata speculativa in borsa.
Queste cose sono state dette e ripetute (anche in Italia, da
quasi un anno) ma finora non hanno ancora preso il sopravvento
sulla marea incontenibile delle false promesse, delle ipotesi
semplicistiche e di una visione irreale della rete e delle
possibilità che offre.
Rimane grande, e preoccupante, limpreparazione e il
disorientamento delle imprese "tradizionali" in
tutto ciò che riguarda luso della rete. Ma ciò
che è ancora più bizzarro è la mancanza
di spessore, di chiarezza strategica, di capacità
gestionale in molti protagonisti della cosiddetta innovazione.
Questo non è solo un problema italiano. Forrester
Research è un istituto che ha spesso diffuso previsioni
mirabolanti sulla crescita delle-business negli Stati Uniti
e nel resto del mondo. Mi sembra interessante notare come anche
una fonte orientata in quella direzione si sia accorta che
"non è tuttoro quello che luce".
Alla fine di aprile George F. Colony, presidente della
Forrester, ha pubblicato un articolo intitolato Hollow.com in cui spiega che molte imprese nella "nuova
economia" devono essere smascherate per quello che sono:
vuote, gonfie daria, prive di profondità.
Recentemente ho intervistato parecchi CEO su che cosa
succederà nei prossimi dieci anni e come linternet
cambierà le loro imprese. La maggior parte di quelle
interviste era con i capi delle tradizionali grandi imprese
globali; ma il 20 % delle conversazioni era con i leader
delle "Dot Com", le imprese nate e cresciute nella
"nuova economia".
Come sappiamo, i responsabili delle imprese tradizionali
sono spaventati dalla rete, hanno le idee confuse e si
arrabattano per aggiornarsi. Ma la grossa rivelazione
è stata la bassa qualità dei CEO delle nuove
imprese rispetto ai tradizionalisti.
Che cosa manca? Molti di questi CEO sono privi di
spessore, profondità, esperienza e buon senso
gestionale. La loro prospettiva è di breve periodo
in media tre anni. Parlano della fluidità del loro
personale, unaccozzaglia di persone in continuo cambiamento,
che affluiscono attratte dalle stock option e dalla speranza
di manovre in borsa e defluiscono alla ricerca di qualche
altra occasione speculativa.
Il loro modo di pensare si basa su cliché
semplicistici. "Essere come Amazon". "Fare
tanta pubblicità". "Limportante è
occupare territorio". "Non vogliamo fare profitto
troppo presto". "Bisogna essere nel B2B" (Per
chi non lo sapesse, è la sigla del gergo corrente per
business to business n.d.t.). Cè una ricerca
spasmodica della valutazione (in borsa) mentre il valore
(ciò che serve ai clienti) è un argomento
marginale e trascurato. In molti modi queste imprese danno la
sensazione di scatole vuote, in cui mancano gli ingredienti
fondamentali per un successo duraturo.
Quattro dinamiche guidano questa mentalità.
La prima è limitazione del passato. Guardano
indietro a imprese come Microsoft, Sun o Cisco e si
convincono che muoversi per primi voglia dire scatenare un
uragano che toglie laria ai concorrenti. Deduzione: la
fretta è tutto, velocità o morte.
La seconda è la gelosia. Gli imprenditori vedono
gente che non vale nulla diventare ricca in fretta e
vogliono una fetta della torta. Subito e non importa
come.
La terza è la golosità del denaro
disponibile. Il mercato finanziario è ingenuo e pronto
a investire in "imprese" senza consistenza. Chi
propone venture capital apprezza le finestre di breve periodo
offerte della speculazione e incoraggia gli imprenditori a
pensare nel breve termine. (Vedi lottimo articolo "Built to
flip" per una spiegazione di questa tendenza).
La quarta è lingordigia. Il pensiero dominante
è «Perché dovrei arricchirmi lentamente
con molto lavoro quando posso farlo in fretta lavorando
poco?»
Questi fattori generano imprese vuote, scarse di
esperienza, saggezza, impegno, visione di lungo termine,
attenzione al cliente, capacità di costruire. Queste
imprese non sono fatte per reggere la concorrenza, non sono
fatte per dare valore sostenibile, non sono fatte per durare.
Era imbarazzante constatare lidiozia delle hollow.com nella
trasmissione televisiva del Super Bowl (la finale del
campionato di calcio americano n.d.t.). Al terzo intervallo
della partita la pubblicità delle Dot Com era
diventata la parte più comica dello spettacolo. Con
pochissime eccezioni, era un fenomenale spreco di denaro.
Quasi nessuno trasmetteva lidentità di unimpresa o
informazioni rilevanti sui servizi offerti.
Come andrà a finire? Alcune straordinarie imprese
saranno costruite in modo da dominare leconomia
dellinternet. Ma permettetemi di sottolineare la parola
costruite. Ci vorranno anni. Fatica, impegno, sangue, lacrime
e sudore. Consapevolezza pazientemente sviluppata. Scelte
illuminate e decisioni chiare per costruire i veri
protagonisti. Le hollow.com finiranno nel cestino della carta
straccia insieme a una quantità di colpevole venture
capital e day trading.
Una diagnosi severa. Ma ben motivata.
Non meno interessante è il lungo articolo di Jim
Collins,
Built to Flip, citato da George Colony. Riassumerne anche solo le
parti più rilevanti occuperebbe troppo spazio; ma per
capirne il senso possono bastare le parole di una ex allieva
di Jim Collins, con cui larticolo inizia.
Ho sviluppato il nostro modello di business sullidea di
creare unimpresa forte e durevole come ci insegnavi a
Stanford e i venture capitalist mi hanno guardato come se
fossi matta. Poi uno di loro mi ha puntato un dito e ha
detto: «Non ci interessano imprese forti e durevoli.
Torna da noi con unidea che puoi realizzare velocemente e
portare in borsa o vendere entro 12 o 18 mesi».
E due brevi paragrafi con cui larticolo si conclude.
Perché la nuova economia ritrovi la sua anima
dobbiamo porci alcune domande dure. Siamo impegnati a fare il
nostro lavoro con autentica eccellenza, non importa quanto
sia arduo il compito e lunga la strada? Il nostro lavoro
è in grado di produrre un risultato di cui possiamo
essere orgogliosi? Il nostro lavoro ci dà un senso di
valore e significato che va oltre il fatto di guadagnare
denaro?
Se non siamo in grado di rispondere si a queste domande,
siamo sulla strada del fallimento e non importa quanti soldi
potremo intascare. Ma se siamo capaci di rispondere si siamo
in condizione di ottenere non solo un successo finanziario ma
anche il più prezioso dei risultati: una vita di
lavoro che vale la pena di essere vissuta.
E in Italia? Se ci guardiamo intorno vediamo ripetersi
gli stessi errori, la stessa superficialità, le stesse
frettolose miopie. Compresa la disperante, rutilante,
ripetitiva nullità delle campagne pubblicitarie (e in
generale delle promesse) delle imprese che si contendono il
mercato dellinternet. E che spesso si confondono con la pari
nullità di chi vende tuttaltro ma usa gli stessi
triti cliché. È quasi impossibile (quanto
inutile) ricordare chi ci stia proponendo lennesima donna
nuda marchiata come una bestia da macello, lennesimo
preliminare di sesso, lennesimo personaggio che forse
è unidoru o forse è una donna vera fotografata
male, lennesimo puerile pupazzo, lennesima pretenziosa
pseudofilosofia del futuro, lennesimo contributo al
confusopolio tariffario... o lennesima pretestuosa sceneggiata di questo o quellaltro personaggio televisivo.
Ancora una volta, stiamo pedestremente copiando il peggio
della lezione americana. Cosa che da noi è ancora
più grave, perché non abbiamo la stessa
dimensione di risorse né un mercato interno abbastanza
grande per poterci dare uno spazio sufficientemente ampio in
cui vagare senza meta con la speranza di imbatterci in un
inaspettato tesoro. Ancora una volta, la conclusione è
chiara: dobbiamo imparare agli errori altrui non per copiarli
ma per fare meglio. Non è facile, ma è
possibile; e se tanti dei più pericolosi concorrenti
internazionali commettono così banali errori è
facile dedurne che ci sono spazi importanti di sviluppo per
chi sa far meglio. Cioè non tentare di rapinare la
nuova economia, ma coltivarla con il necessario impegno.
Post scriptum (20 maggio 2000)
Devo alla cortesia di un amico la scoperta di una curiosa vignetta
di Dana Summers, pubblicata sullOrlando Sentinel.
Me lha segnalata Stefano Crudele dopo aver letto questo articolo.
(Per chi non sa linglese... il mendicante a sinistra porta un cartello
che dice "disposto a lavorare per mangiare" quello a destra
"dispostoalavorarepermangiare.com"). Si può
interpretare in vari modi... ma conferma una certa diffusa perplessità
a proposito dei soldi versati indiscriminatamente sulle "dot com".
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