la strategia



7. La strategia: lista di controllo



a. La “lista di controllo”

b. Raccolta e organizzazione delle informazioni

c. Strategie alternative

d. Scelta della strategia migliore

e. Sviluppo della strategia scelta

f. “Oltre” la strategia

g. Analisi del mercato

h. I “profili” come strumento
   di costruzione della strategia

i. Profilo della marca (secondo utilità)

l. Immagine di marca

m. E se si tratta di un prodotto nuovo?

n. Chi acquista e chi usa

o. Schema di profilo della marca

p. Profilo del concorrente

Sintesi





 

a. La “lista di controllo”

Un pilota, prima di decollare, segue una precisa “lista di controllo” per verificare i preparativi e il piano di volo. Un pilota esperto sa a memoria, quasi d’istinto, che cosa deve controllare. Ma ciò non toglie che la “lista di controllo” sia importante, per verificare tutti i fattori, compresi quelli che possono sfuggire alla memoria anche della persona più esperta.

Questa è la “lista di controllo” per chi mette mano a una strategia.

 

b. Raccolta e organizzazione delle informazioni

Abbiamo già detto che se le informazioni sono abbondanti occorre scegliere; se sono scarse occorre trovare informazioni o formulare ipotesi. Occorre raccogliere e organizzare le informazioni sulla “situazione di mercato”:

  • il prodotto
  • il mercato
  • gli effetti dell’ambiente
  • la concorrenza
  • i segmenti di consumatori
  • la storia della marca
  • vincoli ed esigenze del cliente

 

c. Strategie alternative

  • Preparare il “profilo di marca” (brand benefit profile) per definire i punti di forza e di debolezza della nostra marca dal punto di vista del consumatore.
  • Preparare i “profili dei concorrenti” per identificare le loro strategie e le loro situazioni.
  • Valutare le diverse alternative strategiche possibili per la nostra marca.
  • Preparare i “profili strategici alternativi” per mettere in evidenza gli elementi più rilevanti delle diverse strategie possibili.

 

d. Scelta della strategia migliore

  • Valutare le diverse strategie possibili e decidere qual è la più promettente.
  • Annotare i motivi che hanno determinato la scelta.

 

e. Sviluppo della strategia scelta

Preparare le linee di sviluppo e completare la strategia con tutte le informazioni e i criteri necessari per metterla in atto, e scrivere:

  • Il profilo del consumatore
  • La strategia specifica per ciascun reparto o funzione professionale (per esempio la strategia “creativa”, quella per la scelta dei mezzi, eccetera)

 

f. “Oltre” la strategia

Preparare una “analisi degli sviluppi possibili” per mettere a fuoco possibilità che possono essere emerse durante lo sviluppo del lavoro ma che esulano dalla strategia pubblicitaria in senso stretto.

 

g. Analisi del mercato

Studio della situazione di mercato

Abbiamo detto che la costruzione della strategia è un processo creativo; e che “la creatività sta nel trovare nessi nuovi fra cose note”.

Il primo passo sta nello scoprire quali sono queste “cose note” comprese anche quelle meno ovvie (cioè che da una osservazione elementare del problema possono apparire non rilevanti –vedi capitolo 4).

L’informazione è la materia prima con cui si costruiscono le strategie; in questa fase occorre un “appetito vorace” per ogni sorta di dati noti o reperibili sul mercato, sulla nostra marca, sul prodotto, su chi lo distribuisce, su chi lo usa, su una varietà di fattori ambientali più o meno connessi al tema che ci interessa. Più informazioni si hanno, meglio è. Un elemento che a prima vista sembra irrilevante può rivelarsi prezioso nella successiva fase di approfondimento.


Le fonti

Abbiamo già citato  una serie di metodi per raccogliere informazioni. Ricordiamo qui che è sempre utile leggere riviste tecniche e di categoria, repertori statistici, e naturalmente i dati sulla concorrenza.

Spesso all’interno di un’agenzia, o di qualsiasi impresa che si occupi di comunicazione, esistono basi estese di informazioni; non solo biblioteche professionali e raccolte di giornali e periodici, non solo uffici addetti alla raccolta di informazioni, ma anche analisi fatte per altri prodotti ed altre campagne che possono rivelarsi utili nel caso in esame. Ci sono anche informazioni che si possono ottenere da servizi esterni, comprese le ricerche di mercato, le analisi sui mezzi e il controllo della concorrenza.

Come abbiamo già detto, una fonte quasi sempre sotto utilizzata è il cliente. Il briefing che riceviamo contiene quelle informazioni che il cliente pensa siano utili. Quasi sempre l’organizzazione dell’azienda conosce molte più notizie, alcune delle quali possono essere molto più illuminanti per noi di quanto il cliente pensi o sappia.

È utile parlare con gli intermediari, i venditori, i rivenditori, i fornitori del cliente. Se e quando possibile, con i suoi concorrenti.

Non sono da sottovalutare le conoscenze personali o occasionali.
Se ci occupiamo di un dentifricio, può essere illuminante un colloquio con un amico dentista.

In sostanza non c’è una regola su come raccogliere e organizzare le informazioni: il modello va costruito ogni volta secondo il tema e il mercato. Tuttavia può essere utile uno schema di riferimento che risulta applicabile nella maggior parte dei casi:

Schema delle informazioni base

  1. Il prodotto. Descrizione del prodotto (o servizio) e dei prodotti concorrenti, con particolare attenzione alle differenze significative, comprese (se disponibili) le informazioni su prove d’uso del prodotto e dei concorrenti.


  2. Il mercato. Dimensione (in lire e in quantità), tendenza, stagionalità, situazione e tendenze dei prezzi, situazione e tendenza degli imballaggi, situazione ed evoluzione della distribuzione (canali, organizzazione di vendita, vincoli, deperibilità, ecc. e relativi punti di forza e debolezza). Investimenti pubblicitari (dimensione totale, andamento stagionale e nel tempo, tipo di mezzi, rapporto investimento-vendite, ecc. comprese attività collaterali).


  3. Situazione ambientale. Cambiamenti demografici o di comportamento dei consumatori; stili di vita, opinioni, atteggiamenti; effetti di leggi e regolamenti attuali e previsti; evoluzione tecnologica; ecc.


  4. Concorrenza. Andamenti di vendita e quote di mercato, situazione delle aziende, potenziale distributivo e promozionale, punti di forza e di debolezza, investimenti pubblicitari, strategie e contenuto della comunicazione (non solo pubblicitaria), concorrenti indiretti, possibili nuovi concorrenti; individuazione di “dove” possiamo conquistare quota (o rischiamo di perderla).


  5. Segmentazione. Tipi di rapporto fra consumatore e prodotto-marca. Modi e occasioni d’uso. Caratteristiche dei consumatori frequenti (heavy user), medi o infrequenti; stili di vita, scala di valori, atteggiamenti e comportamenti verso marca e prodotto.


  6. Marca. Origini e storia; andamento delle vendite e delle quote di mercato; storia pubblicitaria (investimenti, strategie, messaggi e loro evoluzione nel tempo), dati finanziari, regionalità, stagionalità, posizione nel “paniere” consumatori, livello di prova da parte di nuovi consumatori e livello di riacquisto, frequenza di acquisto e di uso, penetrazione (nelle famiglie), distribuzione (nei canali di vendita), atteggiamento dei rivenditori, situazione degli imballaggi e dell’esposizione, punti di forza e debolezza.


  7. Fattori cliente. Posizione e ruolo della marca rispetto ad altre della stessa azienda. Obiettivi generali dell’impresa, vincoli, o altri fattori di cui occorre tener conto.


  8. Obiettivi e strategie di marketing come definiti dal cliente. (Non sempre queste direttive devono essere prese alla lettera; sono molte le occasioni in cui l’agenzia contribuisce alla formulazione delle strategie aziendali e di mercato, o comunque ne elabora una propria interpretazione).


  9. Obiettivi dell’agenzia. Ci sono particolari possibilità di sviluppo, o di arricchimento culturale e professionale, che meritano uno speciale approfondimento?

 

Mettere “in ordine” le informazioni

A questo punto del lavoro lo “stratega” ha dinnanzi a sé una massa disordinata di informazioni. Qualche volta insufficienti, spesso sovrabbondanti.

Se le informazioni si presentano con un ordine o uno schema prestabilito, meglio diffidarne. Se non è il nostro ordine, vuol dire che stiamo accettando passivamente un criterio di analisi stabilito da qualcun altro (il cliente, uno studioso che vede il problema da un punto di vista diverso, l’opinione prevalente sul mercato, o il puro caso).

Il nostro compito non è analizzare tutta la massa di informazioni, ma “separare il grano dal loglio” o “trovare i granelli d’oro che sono nascosti nella sabbia”. Questo non è un procedimento facile, perché i “nessi” più importanti sono spesso i meno ovvi.

Fra gli elementi da riesaminare a questo punto ci sono le caratteristiche del prodotto. Ci bastano le informazioni che abbiamo dal cliente? Quale elemento rilevante per il consumatore e stimolante per lo sviluppo creativo può essere rimasto in ombra? Oltre al dialogo con i tecnici, può essere rivelatrice anche l’osservazione del prodotto in uso: è sempre bene osservare in concreto il comportamento, i gesti, le reazioni di un consumatore esperto (per esempio, nel caso di un prodotto alimentare, di una persona che cucina abitualmente).


h. I “profili” come strumento
    di costruzione della strategia

I “profili” non sono stesure finali di strategia. Queste sono molto più dettagliate e portano fino a linee di guida esecutiva. I “profili” sono più sintetici, rappresentano punti di passaggio nell’elaborazione; sono strumenti per il gruppo di lavoro che elabora la strategia.

È bene che i “profili” siano scritti, per due ragioni. La prima è che mettere una cosa per iscritto aiuta a chiarirsi le idee. La seconda è che rimangono come punti di riferimento per il lavoro successivo e anche per un riesame a distanza di tempo.

Ci sono tre tipi di “profili”:

Il profilo della marca (Brand Benefit Profile) per osservare marca e prodotto dal punto di vista del consumatore.

Il profilo del concorrente (Competitive Brand Profile) per osservare con gli occhi del consumatore le alternative che il mercato gli offre.

Il profilo di strategia alternativa (Alternate Strategy Profile) permette di esaminare in forma sintetica diverse ipotesi di strategia; solo per la soluzione scelta (o più soluzioni quando si intendono realizzare e verificare su basi estensive) si stenderà la strategia vera e propria.

 

i. Profilo della marca (secondo utilità)
   
(Brand Benefit Profile)

Lo scopo di questo “profilo” è identificare le caratteristiche positive e negative (“punti di forza” e “punti di debolezza”) della marca dal punto di vista del consumatore.

Questa non è una valutazione del prodotto dal punto di vista del laboratorio, né una descrizione tecnico merceologica delle sue caratteristiche.

Bisogna tener conto qui di quanto abbiamo detto a proposito di percezione, di esperienza diretta del prodotto e di chi lo usa, di segmentazione e di come il consumatore opera le sue scelte.

Il punto centrale di questa analisi è quello, già più volte ribadito, che il consumatore non acquista prodotti ma acquista marche e soprattutto acquista utilità (benefit) secondo il suo punto di vista.

Una volta in Italia una casa produttrice di dadi per brodo presentò un dado con una elevata percentuale di estratto di carne proponendone il miglior valore nutrizionale. Fallì completamente perché quando una persona acquista un dado per brodo compra sapore, non proteine. Il risultato di questa operazione fu che le marche concorrenti, valutata la sue fallimentare esperienza, ridussero il contenuto di estratto di carne nei loro prodotti.

 

l. Immagine di marca   (Brand Image)

Il “profilo della marca” è strettamente collegato al concetto fondamentale di “immagine di marca”.

Sulla Brand Image esiste una vasta letteratura. Basti qui definirla come la percezione che ha della nostra marca, e soprattutto della sua utilità (benefit) per lui, il consumatore; e in particolare quel sistema di atteggiamenti che costituisce il nostro segmento (o target group).

L’immagine di marca non è “costruita” soltanto dalla pubblicità (esistono marche con identità precise che non hanno mai speso una lira in pubblicità). È il risultato di un sistema complesso in cui interagiscono le esperienze personali del consumatore, le posizioni dei concorrenti, l’intero sistema culturale e ambientale, le percezioni di “rischio”, lo stato d’animo e la situazione pratica in cui il consumatore si trova, e così via.

Alcuni trovano utile immaginare la marca come una persona e descriverne le caratteristiche e il rapporto che ha con questa persona il nostro consumatore. Questo può essere in buon metodo. Il Brand Benefit Profile è talvolta definito Brand Personality Profile. Alcune specifiche tecniche di ricerca (analisi “transazionale”) si basano su questo concetto.

La scuola “junghiana” (il cui maggior profeta in Italia è stato Jean-Pierre De Ry, quando era presidente della Lever) sostiene che l’immagine di marca è “latente” nella mente delle persone e che il nostro compito (Socrate lo avrebbe chiamato maieutico) è “tirarla fuori”. Anche questo è un concetto valido che può essere di grande utilità.

 

m. E se si tratta di un prodotto nuovo?

Un osservatore superficiale potrebbe pensare che se un prodotto o una marca non sono presenti sul mercato non esista una immagine di marca e non sia possibile tracciarne il “profilo”.

Sbagliato.

Ogni volta che presentiamo a un “consumatore potenziale” l’idea e le caratteristiche di qualcosa che non ha mai avuto l’occasione di provare, troviamo un sistema di opinioni e percezioni già molto ben costruito. L’immagine può essere “latente”, ma esiste. È già possibile tracciarne un profilo. È già possibile cominciare a chiederci “come siamo percepiti”.

Qui esistono due pericoli contrapposti:

  1. Se proponiamo un’idea nuova senza verificare il sistema di percezioni esistenti, rischiamo di sbagliare sia facendo una proposta non accettabile, sia dicendo inutilmente un mucchio di cose che il consumatore sa già.
  2. Se prendiamo alla lettera la percezione esistente, e soprattutto le prevenzioni (o percezioni di rischio) così come si trovano, possiamo uccidere anzitempo un’idea valida o imboccare una strada sbagliata. La percezione cambia nel momento in cui una proposta si concretizza e dobbiamo comprendere come può avvenire questo cambiamento.

 

n. Chi acquista e chi usa

Quando parliamo di “consumatore” può essere utile distinguere fra chi opera l’acquisto e chi usa il prodotto o servizio. Non sempre si tratta della stessa persona; e non sempre è una persona singola.

Per esempio:

L’automobile viene quasi sempre acquistata dal capo famiglia ma la sua scelta è fortemente influenzata da tutto il nucleo famigliare e da altri gruppi (colleghi d’ufficio, “amici del bar”, persone con cui esce spesso, eccetera).

Una lama da rasoio può essere acquistata da una donna, ma la scelta della marca è assai meno influenzata da lei (acquirente) che dall’uomo (utilizzatore). Accade l’inverso nel caso che un uomo venga mandato a comprare una crema di bellezza.

La scelta del tipo di olio di oliva (più o meno saporito) può dipendere dai gusti della famiglia, ma la marca è una scelta quasi esclusiva della persona responsabile degli acquisti.

La scelta di un regalo è influenzata dall’opinione (vera o presunta) di chi dovrà riceverlo quanto da quella di chi lo sceglie.

Una macchina da ufficio viene comprata dall’amministrazione o dall’ufficio acquisti ma la scelta è influenzata da molte altre persone compresi i servizi tecnici, il responsabile del reparto in cui sarà usata, il presidente della società e la persona che usa la macchina. Ognuno di loro può avere una percezione diversa dell’utilità e del rischio.

L’interlocutore che scegliamo (target group) può essere, secondo il caso, l’acquirente, l’utilizzatore o tutti e due. Di questo occorre tener conto nella definizione del “profilo di marca” e della strategia.

 

o. Schema di profilo della marca

Questo è solo uno schema. L’importanza dei diversi valori percepiti può cambiare in modo rilevante secondo la marca e il tipo di utilità di cui si tratta.

  1. Segmento. (target group) oppure area di attuale maggiore forza della marca).

  2. Utilità più rilevanti per il segmento. Valori di utilità e importanza della marca per il gruppo di riferimento. Nonostante quanto abbiamo detto sulla inseparabilità della percezione, in alcuni casi può essere utile come strumento di analisi distinguere tre tipi di utilità (benefit):
  3. razionali (utilità pratica, vantaggi materiali, funzione e metodo d’uso)

    sensoriali (quali sensazioni il consumatore riceve dalla percezione fisica del prodotto - aspetto, consistenza, forma, colore, profumo, contenitore, imballaggio esterno, ecc.)

    emozionali (quali sentimenti evoca; qual’ è la personalità, l’immagine, il “vissuto” della marca).

  4. Altre marche con utilità analoga. Dal punto di vista del segmento (target group) quali altre marche (siano o no direttamente concorrenti dal punto di vista merceologico) possono sostituire la nostra, offrire la stessa utilità, soddisfare le stesse aspettative o percezioni.

  5. Punti di unicità. Quali utilità (sempre dal punto di vista del consumatore) la nostra marca offre in esclusiva, o in modo nettamente superiore, rispetto alle altre; quanto sono importanti per il segmento in esame.

  6. Svantaggi. Ci sono problemi o elementi di soddisfazione da parte del segmento (o target group) in esame? Quanto sono importanti dal suo punto di vista?

  7. Chi è l’avversario? (Siamo sicuri?) Non sempre l’avversario più pericoloso è quello più ovvio. Chiunque operi su un mercato tiene conto della concorrenza. Ma spesso sbaglia nell’identificare concorrenti. Tutte le classificazioni di concorrenza (comprese quelle che stanno nelle “banche dati” sulle quote di mercato e sugli investimenti pubblicitari, che sono la materia prima del “controllo concorrenza”) sono basate sulla classificazione merceologica dei prodotti. Che spesso non è la “concorrenza” dal punto di vista del consumatore.

Un punto fondamentale nello sviluppo della strategia è capire quali altre possibili scelte del consumatore sono percepite come alternative alla nostra (offrono una utilità sostitutiva).

Per alcune di queste, cioè le più rilevanti (secondo il consumatore) è utile tracciare un profilo.

 

p. Profilo del concorrente (Competitive Brand Profile)

Per ognuna delle più importanti marche concorrenti (punto 3 del profilo di marca) tracciamo un profilo.

Anche in questo caso, come per il profilo di marca, quello che segue è solo uno schema di riferimento; in ogni caso si dovranno mettere in evidenza i punti più significativi di concorrenzialità nei confronti della nostra marca.

  1. Marca. Nome, società che la produce o distribuisce, gruppo cui appartiene, altri dati di base rilevanti.


  2. Sua concorrenza. Chi e che cosa pensiamo che questa marca concepisca come suoi concorrenti.


  3. Segmento. A quale target group intende rivolgersi questa marca. (Lo possiamo dedurre sia dai dati di mercato, sia da come si presenta, sia da dichiarazioni del fabbricante o di altri; l’analisi della pubblicità è ovviamente uno dei metodi per identificare le intenzioni del concorrente).


  4. Promessa. Quali vantaggi (utilità) questa marca intende proporre ai suoi consumatori. (Ovviamente si deduce da ciò che dice sull’imballaggio, sulla etichetta e nella pubblicità).


  5. Investimento pubblicitario. Quanto spende, su quali mezzi, con quale ritmo e stagionalità, con quale “target”, con quali comportamenti riconoscibili e prevedibili. È bene tener conto anche delle attività promozionali e sul punto di vendita, del comportamento verso gli intermediari (distribuzione) e, quando rilevante, delle attività indirette (pubbliche relazioni, “sponsorizzazioni” eccetera).


  6. Situazione della marca. In crescita, in diminuzione, stabile; nuova o assestata; punti di forza e di debolezza; quale grado di importanza pensiamo che abbia agli occhi dell’impresa che la vende (con quanto “accanimento” il concorrente difenderà le sue posizioni o attaccherà le nostre).


  7. Immagine. Indipendentemente da come la marca concorrente si autodefinisce, come sappiamo o immaginiamo che la veda il consumatore, e specialmente quel segmento in cui ci sovrapponiamo come concorrenti?

Nota: E se non è una marca? Se un concorrente importante non è una marca ma un “complesso di cose” (categoria di prodotti, di comportamenti o di abitudini) è ugualmente utile tracciare il “profilo” in termini di importanza per il nostro segmento e di capacità di resistenza-reazione al nostro attacco.

Esempio: un concorrente del gelato industriale è la proposta crescente delle “specialità artigianali”; è importante sapere in quali “territori” di utilità questo concorrente è pressoché inattaccabile e in quali invece il prodotto di marca può essere competitivo.

 

Sintesi

  1. Fra i molti dati disponibili solo alcuni sono rilevanti per lo sviluppo della strategia. Uno strumento per la scelta degli elementi significativi è la definizione sintetica dei “profili”.


  2. Il criterio principale è il valore della marca (utilità) così come è percepito dal consumatore (consumer benefit).


  3. In molti casi è utile distinguere fra acquirente e utilizzatore finale per stabilire chi sono i nostri principali interlocutori (target group).


  4. Il profilo della marca (Consumer Benefit Profile) definisce le utilità (benefit) della nostra marca, i suoi punti di forza e di debolezza.


  5. Consumatori diversi (o in diverse situazioni) possono avere una diversa percezione delle utilità, o una diversa scala di importanza. Il profilo di marca è quindi diverso secondo il segmento (target group).


  6. Dobbiamo definire la concorrenza. Questa non è sempre la stessa che appare da una semplice classificazione merceologica.


  7. Per scegliere il nostro “posizionamento” e la nostra strategia dobbiamo valutare i principali concorrenti dal punto di vista del consumatore; per questo tracciamo il profilo del concorrente (Competitive Brand Profile).




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