c. Come siamo percepiti e
come vogliamo essere percepiti
Tutto il metodo di definizione della strategia fa perno intorno alla risposta che diamo a due semplici domande: come siamo percepiti dal consumatore nel nostro target group (o in ciascuno dei segmenti se ci rivolgiamo a più di uno); e come vogliamo essere percepiti.
Questo punto è strettamente collegato con il concetto di immagine di marca e con altri due concetti che è utile richiamare in questa sede: il posizionamento e la quota di mente.
Esaminiamo brevemente questi due concetti.
a. Posizionamento (positioning)
Su questo tema esiste una letteratura altrettanto vasta che sullimmagine di marca; esistono anche sottili, e non sempre concretamente utili, dibattiti sui due metodi di definizione.
Basti qui dire che il posizionamento è il luogo che la marca occupa nella mente del consumatore: quanto è più preciso e differenziato rispetto ad altri, tanto è più forte. Un fenomeno rilevante è il fatto che ogni posizionamento forte tende per riflesso a spostare quelli altrui; e che loccupazione della strada maestra ha il vantaggio in più di relegare gli altri in un ruolo gregario o in nicchie specialistiche ristrette. Mi sembra utile ricordare qui che il concetto di strada maestra non è necessariamente generico, cioè può non riguardare tutto il mercato; la promessa più rilevante per un segmento specifico può essere molto diversa da quella che interessa al mercato in generale.
b. Quota di mente (share of mind)
La quota di mente (per contrapposto alla quota di mercato) non rappresenta lo spazio occupato dal prodotto rispetto alla quantità consumata sul mercato, ma lo spazio occupato dalla marca nella mente del pubblico. In termini generali, la quota di mente potrebbe confondersi con la pura e semplice notorietà della marca; ma questo non è esatto. La quota di mente rappresenta la dimensione complessiva della specifica accettazione della marca allinterno della gerarchia di scelta del consumatore; è quindi una quota di mercato potenziale.
Se la quota di mercato è più piccola della quota di mente, questo significa che il potenziale della marca è sotto-utilizzato (per esempio perché la distribuzione non rende disponibile il prodotto a tutti quelli che vorrebbero acquistarlo; o perché una parte degli acquisti è deviata da attività promozionali o politiche di prezzo).
Se la quota di mercato è maggiore della quota di mente, è probabile che altri fattori (prezzo, distribuzione, promozione) influiscano in modo importante sulle vendite. Questa può essere una situazione favorevole nel breve periodo, ma potrebbe rivelare una debolezza della marca.
Possiamo quindi dire che la formulazione di come vogliamo essere percepiti definisce sia limmagine di marca, sia il posizionamento che vogliamo; e che la dimensione del target group e il numero di persone allinterno di esso che riusciamo a convertire costituiranno la nostra quota di mente.
c. Come siamo percepiti e
Come vogliamo essere percepitiLimportanza di questo modello è che la definizione non viene data nel nostro linguaggio e dal punto di vista del fabbricante; ma dal punto di vista del consumatore e nel suo linguaggio.
Dobbiamo scrivere ciò che, secondo noi, il consumatore pensa, con le sue parole. Non in gergo aziendale o pubblicitario, non in lingua accademica, ma nella lingua viva, umana e naturale del consumatore che non parla del prodotto con tutto quel rispetto e quella cerimonia che chi ha speso anni e miliardi per mettere a punto un prodotto crede di doversi aspettare.
Dobbiamo scrivere, sempre con le sue parole, ciò che vogliamo che il consumatore dica dopo che sarà completato leffetto della nostra campagna (qualche volta subito, più spesso dopo mesi o anni). Non quello che noi diciamo, ma le cose (assai diverse) che il consumatore penserà dopo aver digerito, trasformato e assimilato il nostro messaggio e averlo collocato nel suo sistema percettivo.
Per poter scrivere queste due semplici frasi occorre aver pensato e analizzato a fondo la situazione; conoscere il consumatore; e avere unipotesi molto concreta di ciò che pensa. E qui sta lessenza fondamentale del nostro lavoro.
Il fatto importante, in questo metodo, è che la definizione di come siamo percepiti e come vogliamo essere percepiti è realistica, espressa non nei termini concettuali della strategia o nel gergo dotto delle ricerche, e neppure nel linguaggio della pubblicità, ma nella lingua vera delle persone.
Una definizione precisa di come vogliamo essere percepiti permette anche di verificare più concretamente, dopo lo svolgimento della campagna, se si sta raggiungendo lobiettivo confrontando ciò che le persone dicono con ciò che pensavamo avrebbero detto. Anche le differenze nel modo di esprimersi, quando si verifica a posteriori, possono essere significative e aiutarci a indirizzare meglio la continuazione della campagna.
Questa può essere unoccasione per ripetere che in generale le ricerche sul ricordo della pubblicità non ne misurano lefficacia. Ciò che ci interessa sapere non è se qualcuno ricorda un annuncio, un film o un manifesto, ma se e come la comunicazione (che non mai solo pubblicità, ma è sempre il frutto di tutti i rapporti diretti o indiretti delle persone con limpresa e con ciò che offre sul mercato) ha modificato la sua percezione di un prodotto o di una marca.