la strategia


2. Princìpi generali

a. Eschine e Demostene

b. Forma e contenuto

c. Logica e sentimento

d. Disciplina e “creatività”

e. Che cosa vuol dire “creativo”?

f. Ciò che conta non è ciò che diciamo,
   ma ciò che il nostro interlocutore capisce

g. La nascita di una strategia non è un processo lineare

h. Un obiettivo ovvio non è una strategia

i.  “Il tempo per farlo”

Sintesi

Alcune citazioni





a. Eschine e Demostene

Nel 1980 la mia agenzia di pubblicità pubblicò questo annuncio:


Quando parlava Eschine,
gli Ateniesi dicevano:
“senti come parla bene”.
Quando parlava Demostene,
gli Ateniesi dicevano:
“uniamoci contro Filippo”.
Noi siamo della scuola di Demostene.




Questo testo rimase per più di dieci anni affisso all’ingresso dell’agenzia e ripetuto in molte delle sue comunicazioni, fino a divenirne un marchio di identità.

Qual è la differenza fra la scuola di Demostene e quella di Eschine? È meno evidente di quanto sembri. Anche gli allievi di Eschine affermano di voler “persuadere”, di voler ottenere risultati.

La differenza sta nel fatto che “quelli di Eschine” sono troppo condizionati dalla contemplazione narcisistica del proprio lavoro, dalla qualità estetica o intellettuale fine a se stessa.

C’è un “Eschine” in tutti. Anche chi crede di essere della scuola di Demostene rischia spesso di cadere in questa trappola.

Anche le imprese che investono in pubblicità, e si aspettano risultati, possono lasciarsi trascinare dalla contemplazione delle loro campagne o dal soddisfacimento rituale dei loro metodi.

Il mondo che ci circonda tende spesso a gratificare con applausi, consensi e premi i comportamenti alla “Eschine”.

Solo una continua sorveglianza, una attenta disciplina ci può assicurare di essere buoni allievi di Demostene. Una delle funzioni del metodo strategico è aiutarci ad evitare questo rischio.

 

b. Forma e contenuto

Da migliaia di anni i filosofi discutono su forma e contenuto.

Si può affermare che la forma è tutto, il contenuto irrilevante. La biologia ci insegna che la vita e pura forma (struttura) e il contenuto (sostanze chimiche) è solo materia prima.

Nel nostro caso intendiamo per “contenuto” il messaggio che vogliamo comunicare, e per “forma” il modo in cui lo esprimiamo.

Per molti anni, noi della scuola di Demostene abbiamo sostenuto che la forma è importante, ma è molto più importante il contenuto. Ciò che oggi abbiamo imparato è che questo è un falso problema. Forma e contenuto, strategia ed esecuzione, sono due aspetti della stessa cosa. Il che cosa diciamo, e il come lo diciamo, non solo sono ugualmente importanti, ma sono inseparabili.

Questo è il primo principio pratico da tenere presente nella formulazione di una strategia; e uno dei motivi per cui è difficile sia impostare una strategia efficace, sia eseguirla correttamente.

 

c. Logica e sentimento

Un altro argomento spesso dibattuto è se si debba dare più importanza ai fattori “razionali” o a quelli “emozionali”. Se il comportamento umano sia governato dalla logica o dal sentimento. Alcuni parlano di “cuore” e di “mente”. Altri dissertano sul predominio dell’emisfero destro o sinistro del cervello.

Non è questa la sede per discutere di fisiopsicologia. Ai fini pratici, anche questo è un falso problema.

Dobbiamo sempre proporci di comunicare con un essere umano nella sua interezza. Se cerchiamo di sezionarlo avremo a che fare con un reperto di laboratorio. Non una persona.

Il secondo principio pratico per la costruzione di una strategia è che dobbiamo cercare una sintesi unitaria che non separi il cuore dalla mente, la ragione dall’emozione.

 

d. Disciplina e “creatività”

Un altro vecchio dibattito riguarda la supposta antitesi fra coerenza strategica e qualità “creativa”.

Questa è probabilmente la più diabolica fra le idiozie che insidiano il lavoro di chi fa comunicazione; e come una perversa Fenice rinasce continuamente dalle sue ceneri.

È in base a questo pregiudizio che si realizzano campagne pedestri per una passiva obbedienza a strategie troppo ovvie. È in base a questo pregiudizio che si realizzano campagne falsamente “brillanti” che non hanno una chiara strategia o se l’hanno non la interpretano correttamente. La verità è che quanto più precisa è la strategia, tanto più vivace e brillante potrà essere l’esecuzione.

Se si fosse costretti a scegliere fra l’esecuzione mediocre di una strategia corretta e l’esecuzione brillante di una strategia sbagliata, sarebbe meglio scegliere la prima strada. Ma un buon impianto strategico si basa sul principio di non volere essere costretti a questa scelta; l’importante è sviluppare strategie precise che portino a esecuzioni innovative e interessanti.

 

e. Che cosa vuol dire “creativo”?

Ci sono migliaia di definizioni della “creatività”.

Fra queste la più valida è probabilmente quella attribuita a Vilfredo Pareto, che definisce la creatività come il trovare nessi nuovi fra cose note.

In questo senso, esiste “creatività” in tutto ciò che facciamo, non solo nell’area che viene chiamata convenzionalmente “creativa”.

Il quarto principio è che la creatività fondamentale sta nella strategia.

Se un elemento esecutivo (un’immagine, una frase, una musica, una scelta di mezzi) ha un effetto determinante sul risultato della campagna, vuol dire che ha valore strategico, e che dobbiamo comprenderne il motivo.

Fare comunicazione efficace non significa produrre più o meno casualmente un “pezzo”. Se non cerchiamo di capire perché un certo tipo di comunicazione funziona, non saremo in grado di svolgerla nello spazio (altre parti della campagna) e nel tempo (sviluppi successivi); né di capire se è adattabile o no a circostanze nuove. Molte campagne “nate bene” degradano perché non si è capito il vero motivo del loro successo iniziale.

 

f. Ciò che conta non è ciò che diciamo,
   ma ciò che il nostro interlocutore capisce

Questa affermazione sembra ovvia. Eppure molto spesso si rischia di concentrare l’attenzione sul messaggio che noi emettiamo e sulla sua coerenza rispetto alle nostre intenzioni – e dimenticare che il messaggio non esiste finché non viene ricevuto.

Nessun messaggio viene ricevuto passivamente. Molti vengono semplicemente ignorati. Quelli che arrivano subiscono un’immediata e profonda trasformazione.

Questa trasformazione avviene in due fasi (che in realtà sono fuse in un’unica, istantanea sintesi percettiva, ma che ci è utile distinguere per capirle).

La prima è la percezione, cioè il modo in cui il ricevente assimila e “fa suo” il messaggio. La ricerca (come l’esperienza quotidiana in tutti i rapporti umani) ci dimostra continuamente come ogni persona tolga, aggiunga e trasformi, per cui ciò che “capisce” può essere qualcosa di completamente diverso da ciò che credevamo di aver detto.

La seconda è il formarsi di un’opinione o di un atteggiamento, che è determinato dal sistema di conoscenze, convinzioni e valori (ma anche dubbi e pregiudizi) già esistenti nella mente del nostro interlocutore. Il quadro è ulteriormente complicato dalla presenza di altri messaggi (principalmente, ma non solo, quelli dei nostri concorrenti) che modificano il contesto e quindi il modo in cui i nostri messaggi sono ricevuti.

Il quinto principio è che la strategia deve riguardare ciò che il pubblico riceverà ed elaborerà, non ciò che noi diremo.

 

g. La nascita di una strategia
    non è un processo lineare

Molti pensano che la formulazione di una strategia sia un procedimento lineare che parte dai dati di mercato e procede per successive deduzioni fino a stabilire il posizionamento più logico e la strategia più coerente.

Non è coś, se non si vuole arrivare a soluzioni banali.

La formulazione di una strategia è un meccanismo a molte dimensioni, in cui apporti e stimoli diversi si incrociano nella ricerca di una sintesi nuova.

Non è la regola, ma è accettabile che la soluzione nasca da un’intuizione improvvisa, da un “pensiero laterale”, o anche da un fatto esecutivo: una possibilità realizzativa in un annuncio o in un film, la disponibilità in un particolare mezzo o strumento, può far “scattare” l’intuizione strategica.

Il sesto principio è che comunque nasca la soluzione, deve avere tutte le coerenze necessarie per essere una vera strategia; tutta la sostanza per non essere un fatto isolato, ma la matrice di una campagna che possa durare nel tempo.

 

h. Un obiettivo ovvio non è una strategia

Disse una volta Hal Riney, quando dirigeva la Ogilvy & Mather a San Francisco: «Hanno lavorato tre mesi, macinato una montagna di dati, fatto ricerche complesse e poi mi hanno dato una strategia che diceva: dobbiamo convincere i consumatori che il nostro prodotto ha un buon sapore».

In un’altra occasione (questa volta in Italia) una grande impresa, fra le più intelligenti e professionali, consegnò all’agenzia un documento di sintesi strategica che cominciava con queste parole: «La nostra strategia è far conoscere il prodotto e indurre i consumatori ad acquistarlo».

Ci sono infiniti esempi di questo genere. La trappola dell’ovvio è sempre presente. Una strategia (come un “posizionamento”) non è tale se non ha una propria identità distinta e caratteristica; se non costituisce al tempo stesso un binario rigido per l’esecuzione e uno stimolo per la vivacità creativa (le due cose, giova ripeterlo, non sono contraddittorie; quanto più precisa è una strategia, tanto più brillante può essere l’esecuzione).

Il settimo principio è che se una strategia non è specifica e innovativa, non è una strategia.

 

i. “Il tempo per farlo”

Qualche volta si sente dire che una strategia non è stata scritta perché “mancava il tempo”. Questa è una giustificazione abbastanza strana.

La strategia è il punto centrale del lavoro di comunicazione; la base di tutto. Sarebbe come se un fabbricante di automobili ci vendesse una vettura senza motore, perché “non ha avuto il tempo di pensarci”. Potremmo avere un bell’oggetto da guardare, ma non uno strumento per arrivare dove siamo diretti.

Se stiamo lavorando secondo strategia, vuol dire che l’abbiamo in mente; stenderla su carta non è un lavoro difficile, né molto lungo, se la sappiamo già.

Se stiamo lavorando senza strategia, corriamo grossi rischi; e comunque è probabile che il lavoro vada rifatto parecchie volte prima di trovare una soluzione valida, il che richiede molto più tempo e più fatica di quanto occorra per impostare una strategia.

È necessario trovare il tempo per fare strategie; se non lo si fa è probabile che si debba perdere molto più tempo nelle fasi successive del lavoro.

 

Sintesi

Nella formulazione di una strategia si devono tener presenti sette prinćpi:

Una buona strategia deve essere una sintesi di forma e contenuto; di “che cosa” diciamo e di “come” lo esprimiamo.

Una buona strategia non deve essere solo “razionale” o solo “emozionale” ma rivolgersi a un essere umano in cui i due fattori sono inseparabili.

Quanto più precisa è una strategia, tanto più brillante può essere l’esecuzione.

La “creatività” sta nella strategia; nessuna soluzione “creativa” è valida nel tempo se non ne comprendiamo il significato e il valore strategico.

La strategia riguarda ciò che viene ricevuto e capito, non ciò che noi diciamo.

La strategia può nascere da un’intuizione esecutiva, ma deve essere riconducibile a una precisa struttura per non rimanere un fatto isolato.

Bisogna evitare la trappola dell’ovvio. Una strategia non è una strategia se non è una sintesi innovativa.

Nota: bisogna trovare il tempo per scrivere le strategie; quando non lo si fa si rischia di perdere molto più tempo nelle fasi successive del lavoro.

 

Alcune citazioni

«Chi impara, ma non pensa, è perduto. Chi pensa, ma non impara, è in pericolo».
Confucio, V secolo A.C.

«È chiaro che la retorica è utile, e che la sua funzione non è il persuadere, ma vedere i mezzi di persuasione che ci sono intorno a ciascun argomento... è proprio della retorica scoprire ciò che è persuasivo e ciò che è solo apparentemente persuasivo, come nella dialettica si scopre il sillogismo apparente».
Aristotele, “Retorica”, IV secolo A.C.

«La strategia senza tattica è la strada più lenta alla vittoria. La tattica senza strategia è il rumore che precede la sconfitta».
Sun Zu, “L’arte della guerra”, III secolo A.C.

«La promessa, una grande promessa, è l’anima di un annuncio pubblicitario».
Samuel Johnson, The Idler,1759.

«Se ricominciassi la mia vita, credo che preferirei lavorare in pubblicità che in qualsiasi altra professione. Perché la pubblicità è arrivata a coprire l’intera gamma delle esigenze umane; e unisce autentica fantasia allo studio profondo della psicologia umana. Poiché porta a un gran numero di persone la conoscenza di cose utili, la pubblicità è essenzialmente una forma di educazione... Il generale miglioramento delle condizioni di vita nelle civiltà moderne sarebbe stato impossibile senza quella conoscenza di livelli più elevati che è diffusa dalla pubblicità».
Franklin D. Roosevelt, discorso all’Advertising Federation of America, 15 giugno 1931.

«Il consumatore non è uno sciocco. Il consumatore è tua moglie».
David Ogilvy, “Confessions of an Advertising Man”, 1963.

«Il marketing è diverso dalla vendita come la chimica dall’alchimia, l’astronomia dall’astrologia, gli scacchi dalla dama».
Theodore Levitt, “Innovation in Marketing”, 1965

«La ragione per cui tante aziende oggi non ottengono risultati di vendita in rapporto ai loro investimenti di marketing non è che non investono abbastanza, e nemmeno che investono male. La ragione è che spesso non investono in modo coerente. Cercano di appoggiare le loro vendite dicendo troppe cose diverse in troppi diversi modi». Theodore Levitt, ibidem.

«Una delle cose che mi sorprende di più è vedere quanti stranieri sono convinti che i pubblicitari d’America si servano delle tecniche freudiane del profondo. Sono persuasi che noi facciamo fare al pubblico quello che vogliamo; che abbiamo scoperto le profonde sorgenti pre-edipiche; che pratichiamo qualche misteriosa magia nera. Come sanno tutti i migliori pubblicitari, queste sono pure e semplici sciocchezze».
Rosser Reeves, “Reality in Advertising”, 1966.

«Il cliente finale è il consumatore. Se perdete il consumatore, tutto è perduto».
Paul Foley, Adages for Ad Agencies, 1978

«Presto o tardi, tutti i problemi sono problemi “creativi”».
Paul Foley, ibidem.

«Nell’era post-industriale la “finitezza” di sempre, che ci opprimeva ed imponeva la sua legge, si infrange. A portata di tutti gli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l’unica: l’informazione, la conoscenza, l’intelligenza».
Jean-Jacques Servan-Schreiber, “Le Defi Mondial”, 1980.

«La formula high tech - high touch descrive il modo in cui reagiamo alla tecnologia. Ogni volta che nella società entra una nuova tecnologia, deve esistere una controspinta di tocco umano – altrimenti la tecnologia viene rigettata. Più c’è high tech, più c’è high touch».
John Naisbitt, “Megatrends”, 1982.

«I futurologi sbagliano perché pensano che l’innovazione proceda in linea retta. Non e coś. Oscilla, rimbalza, sbanda e traballa».
John Naisbitt, ibidem.

«Non avete alcuna probabilità di realizzare una campagna efficace se prima non ‘fate il compito’, analizzando a fondo il problema. Ho sempre trovato molto noiosa questa parte del lavoro, ma è insostituibile».
David Ogilvy, “Ogilvy on Advertising”, 1983

«Potete ‘fare i compiti’ fino al giorno del giudizio, ma non avrete mai un grande successo senza una “grande idea”. Meno di una campagna su cento contiene una “grande idea”. Le “grandi idee” vengono dall’inconscio. Questo è vero nell’arte, nella scienza come in pubblicità. Ma l’inconscio deve essere bene informato, se no l’idea sarà irrilevante. Imbottite di informazioni la vostra mente inconscia, poi staccate i collegamenti del vostro pensiero razionale. Potete favorire questo processo facendo una passeggiata o un bagno caldo, o bevendo una bottiglia di barbera. Improvvisamente, se la linea telefonica con il vostro inconscio è funzionante, la “grande idea” si sveglierà dentro di voi».
David Ogilvy, ibidem.

«Ci aspettiamo che voi [agenzia] siate qualcosa di più che semplici fornitori; ci aspettiamo che siate i nostri “partner” nel marketing. Fra l’altro questo significa che non vi limitate alla pubblicità, ma ci aiutate a impostare le nostre strategie di marketing; significa che avete un punto di vista di marketing (oltre che di pubblicità) che sostenete, quando necessario, anche oltre i limiti della buona creanza; significa, in breve, che siete i nostri colleghi professionali nel pieno senso della parola».
Louis Gerstner, presidente dell’American Express, nella sua relazione al convegno della Ogilvy & Mather, 3 aprile 1984. (Nel 1993 Louis Gerstner divenne presidente dell’Ibm).

«Ci è necessaria quella libertà creativa che nasce da strategie rigidamente definite».
Norman Berry, “How to Create Winning Advertising Strategies”, 1984.

«Una strategia mal scelta può essere ‘mascherata’ da un’esecuzione brillante, ma solo temporaneamente. Più spesso, un’esecuzione brillante di una strategia debole agisce come il motore di un aeroplano in caduta – accelera il disastro».
Jennifer Stewart, “A Blueprint for Strategy Makers”, 1984.

«Poche veramente grandi idee pubblicitarie emergono pienamente formate e bellissime come Venere da una conchiglia nel dipinto di Botticelli... Anche quando una campagna è cominciata, possono occorrere raffinamenti creativi... Le idee richiedono, e meritano, investimento di tempo e pazienza per farle crescere».
“Unilever Procedure for Great Advertising”, l985.

«Riguardo a quella tendenza della comunicazione moderna a giocare sui più bassi istinti umani, basta dire che questo non è solo un problema di bassi valori etici ma è un problema di bassi livelli professionali e di sciatte abitudini di lavoro. Il semplice fatto è che è più facile distruggere che costruire; più facile deprimere che ispirare; più semplice istillare odio che amore, disperazione che speranza; in breve, è più facile ottenere un riflesso con un martelletto che accendere la fiamma di una vera, durevole passione».
Jerry Welsh a un convegno della Ogilvy & Mather a New York, 1989.

«Nella disciplina del marketing l’arte prevale sulla scienza. Sulla corda ondeggiante del mercato, solo l’equilibrio fra scienza e arte, fra ricerca e creazione, ci permette di camminare evitando il rischio di cadere nel precipizio».
Luis Bassat, Il nuovo libro della pubblicità , 1997.




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