labirinto
Il filo di Arianna


luglio 2006

Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it



Stupidità e superstizione



Fra i commenti interessanti che ho ricevuto dai lettori di Il potere della stupidità ci sono alcune richieste di approfondire un po’ meglio un argomento: la superstizione.

Se finora non l’ho fatto, non è per disattenzione. Il motivo è che si tratta di un termine vago, impreciso. Ha confini incerti e sfumati. La definizione può essere molto soggettiva. Ciò che per una persona (o una cultura) è una sciocca superstizione, può essere qualcosa in cui altri vogliono credere. E ognuno, naturalmente, deve essere libero di credere in ciò che vuole.

C’è anche il fatto che in molte epoche (e la cosa non è finita) sono stati trattati come superstizione o stregoneria concetti che oggi consideriamo basati su solidi sviluppi scientifici. Ed è probabile che anche domani la scienza ci dia un’inaspettata conferma di qualcosa che oggi sembra un’ipotesi azzardata.

Per arrivare al centro del problema è necessario mettere da parte ogni materia di fede, religiosa, ideologica, politica o di qualsiasi altra specie. Con una linea di separazione che spesso è insidiosamente sottile. Per esempio si può essere di convinta fede cristiana senza credere al valore miracoloso di una reliquia o di un’immagine, alle infinite apparizioni di angeli, santi e diavoli – o alla continua proliferazione di statuette e simulacri che grondano lacrime o sangue. Così come si può credere a quel genere di cose senza avere alcuna profonda fede religiosa.

Da un altro lato... può essere eccessivo chiamare “superstizione” qualche piccola scaramanzia, cui talvolta vanno soggette anche persone di scarsa credulità.

Per esempio nell’andar per mare ci sono vari tradizionali pregiudizi in cui quasi nessuno davvero crede – ma molti (sia pure scherzando) evitano di invocare inutilmente la sfortuna. Una di quelle scaramanzie dice che il verde (quando non è un fanale, una luce di posizione o una parte della bandiera) porta disgrazia.

Un episodio fra mille che si potrebbero citare... nelle selezioni che precedevano la Coppa America del 2000, uno dei consorzi più forti decise di sfidare la leggenda tingendo di verde gli spinnaker della sua barca. La rottura di quelle vele fu uno dei motivi per cui perse la sfida. Fu colpa dell’effetto chimico di una tintura poco sperimentata? O del disagio di un velaio superstizioso? O di un po’ di nervosismo dell’equipaggio per un colore “infausto”?  Non lo so. Ma devo confessare che, se mi trovassi per mare su una barca con le vele verdi, non sarei del tutto tranquillo.

Un piccolo aggiornamento: nelle selezioni per la America’s Cup del 2007 la supersitzione è stata sfatata dal buon comportamento della barca spagnola con lo scafo dipinto di verde.

Molti (me compreso) ogni tanto si divertono a scherzare chiamando “scaramanzia” ciò che è semplice buon senso nell’essere preparati a problemi inattesi. Come nel caso della “legge di Murphy”.

Insomma tracciamo dove ci sembra più giusto il limite fra la credulità e la fede – e fra le credenze perverse e qualche innocua abitudine come quella di mettersi addosso un piccolo “portafortuna”. In mezzo, anche se non è facile definirne i confini, rimane qualcosa di molto insidioso: la superstizione.

È incredibile quante persone, che non sono né sciocche né ignoranti, riescano a “credere” nelle cose più assurde e bizzarre, senza chiedersi quale ne possa essere l’origine. Un po’ di ricerca storica ci fa scoprire che passare sotto una scala era pericoloso (talvolta può esserlo ancora oggi) se sopra c’era qualcuno al lavoro che poteva lasciar cadere un martello. L’improvviso passaggio di un gatto nero nella notte poteva far imbizzarrire i cavalli.

Nel Settecento, quando nacque l’idea che un cappello sul letto porta sfortuna, non era consigliabile mettere dove si dormiva un ricettacolo di sporcizia e di parassiti che proliferavano nelle parrucche incipriate. E, a quell’epoca, i “guai” stavano nel fatto che gli specchi erano oggetti rari, costavano molti soldi e ci volevano sette anni di lavoro per molarli e inciderli.

L’elenco degli esempi potrebbe essere lungo. Sono infinite le usanze e le “credenze” che in passato avevano forse un motivo, ma oggi continuano a essere seguite senza neppure sapere perché.

Sono innocue? Non sempre. Se cominciamo, anche in piccole cose, a credere nell’incredibile rischiamo di scivolare verso situazioni pericolose. Perché possiamo farci del male se usiamo, per una malattia o per qualsiasi altra cosa, un rimedio o una cautela sbagliata. Perché possiamo diventare prigionieri di abitudini che superano la soglia delle “piccole manie innocue” e diventano opprimenti ossessioni.

Ma c’è di peggio. Perché le superstizioni sono spesso lo strumento di chi vuole approfittarne per affermare il suo potere sugli altri. Per rubacchiare un po’ di soldi... o per fare danni enormemente più grandi.

È inevitabile, a questo proposito, guardare con occhio critico il comportamento dei cosiddetti mass media. Televisione, giornali, eccetera dedicano una quantità incredibile di attenzione a maghi, fattucchiere, indovini... e all’astrologia. Che duemila anni fa, quando c’era scarsa distinzione fra scienza e mito, poteva essere in qualche modo connessa con l’astronomia. Ma oggi è inconciliabile con qualsiasi conoscenza sulla struttura del cosmo – o anche solo del sistema solare.

Ci sono trasmissioni dedicate agli oroscopi anche nelle più “importanti” emittenti televisive. Rubriche sull’argomento anche in riviste considerate “serie”. Per non parlare di infiniti personaggi che in pubblico e in privato conducono assurde conversazioni sul tema «di che segno sei?». È facile indovinare la risposta di editori, direttori, redattori, autori e conduttori di programmi. «Questo il pubblico vuole e questo gli dobbiamo dare». Ma non è una scusa accettabile.

Non dico che sia il caso di mettere negli oroscopi un avviso come quelli sui pacchetti di sigarette: «È scientificamente insostenibile e può nuocere alla salute mentale». Sarebbe inutile e potrebbe avere l’effetto contrario. Ma sarebbe desiderabile che la “grande informazione” avesse un comportamento un po’ meno irresponsabile e smettesse di incoraggiare continuamente ogni sorta di superstizioni. E così evitasse di nutrire il circolo vizioso della stupidità.

Naturalmente l’astrologia è solo uno fra tanti esempi. Ci sono tante, troppe cose in cui abbiamo l’abitudine di credere – o a cui ci piace credere per un’infinità di motivi, dal desiderio di illuderci alla tentazione di dar forma a ogni sorta di immotivate paure.

Il rimedio, naturalmente, non sta in un’ipotetica (e spesso discutibile) “razionalità assoluta”. Emozioni, sentimenti, intuizioni, fantasie sono importanti e necessarie, almeno quanto l’uso della ragione. Ma possiamo leggere con piacere un bel libro di fiabe senza per questo temere che un orco ci divori o sperare che una benevola fatina ci tiri fuori dai guai.

Possiamo sognare, nel sonno o a occhi aperti, di salire fra le nuvole su un tappeto volante o a cavallo di un ippogrifo. Ma al risveglio, o alla fine di una pausa di fantasia, dobbiamo ritornare in un mondo in cui per volare ci vuole un aeroplano – o almeno un paracadute.

Possiamo studiare un’antica leggenda, scoprendone i contenuti e i valori (talvolta profondi e affascinanti) senza per questo “prendere alla lettera” i suoi aspetti meno credibili. Possiamo accettare l’ammonimento del padre di Amleto anche se non crediamo ai fantasmi.

Insomma è meglio stare in guardia. Perché, una volta fatti i necessari “distinguo”, rimane il fatto che la superstizione è una forma perniciosa di stupidità. Quando qualcuno, facendoci credere l’incredibile, approfitta della nostra ingenuità – con un danno che può variare dallo spreco di denaro a una totale riduzione in schiavitù. Ma anche quando non c’è alcun intervento esterno e siamo noi a farci del male per i più assurdi motivi.




Post scriptum
9 ottobre 2006

Talvolta un piccolo dettaglio può dare un segnale non irrilevante. Un articolo nel Corriere della Sera del 9 ottobre 2006 è dedicato all’osservatorio astronomico Jungfraujoch che si trova a 3.585 metri sul livello del mare. Una vistosa didascalia dice che “il laboratorio più alto del mondo” si occupa di astrologia.

Probabilmente è solo un refuso o un lapsus calami, ma è sintomatico che qualcuno, nella redazione di un “grande” giornale, possa immaginare una stazione scientifica in cima alle Alpi svizzere dedicata a fare oroscopi.





A questo proposito vedi anche:

La stupidità e la paura

Il potere dell’oscurantismo

La stupidità del “fondamentalismo”

Il problema dell’idolatria


Ringrazio Elda Lanza per le notizie
sulle origini storiche di alcune superstizioni
tratte dal suo libro Signori si diventa




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