Offline Riflessioni a modem spento


L’internet non è
solo un gioco

settembre 2003



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Giocare è bello, piacevole, divertente e utile. Con il gioco i bambini imparano, crescono, sviluppano le loro capacità. E anche “da grandi” giocare fa bene, libera l’anima, aiuta il buonumore, arricchisce la fantasia. La vita senza gioco non sarebbe solo più noiosa, ma anche più povera di valore e di significato. Se l’internet fosse solo un grande giocattolo, meriterebbe di esistere per quel motivo. Ma è anche tante altre cose.

Un bambino deve imparare (fin dall’infanzia – e sempre più mentre cresce) che la vita non è tutta un gioco. Che bisogna essere pronti a incontrare la realtà. Talvolta bella, interessante, stimolante. Ma anche difficile, faticosa o pericolosa. Un personaggio in un cartone animato può cadere in un precipizio senza farsi male – o in un videogioco può rinascere mille volte. Un bambino che stesse sempre davanti a un computer (o a una consolle, o a un televisore) e non si sbucciasse mai un ginocchio cadendo dalla bicicletta sarebbe un bambino scemo e poco capace di muoversi nel mondo in cui vive.

Il gioco è “virtuale”. L’internet no. È vero che in rete non ci possiamo toccare (né per abbracciarci né per prenderci a botte). Ma il dialogo è reale, diretto, umano e concreto. L’informazione e lo scambio (di idee, opinioni o sentimenti) sono elementi essenziali di ogni cultura umana.

È vero che gran parte della “comunicazione di massa” è sempre più lontana dalla realtà, sempre più persa nell’autocontemplazione di minuscoli salottini frequentati dai soliti quattro gatti. Ma immaginare che sia quello il mondo in cui viviamo può essere un’illusione molto pericolosa.

Forse è meglio chiarire che quando parlo di “gioco” non intendo scherzo, burla, umorismo o satira. Sono cose diverse. Non solo senza un po’ di umorismo la vita sarebbe squallida – ma, come diceva Shakespeare, many a true word is spoke in jest (press’a poco “molte verità si dicono scherzando”).

C’è parecchio umorismo scadente, come quando qualcuno dice “la sai l’ultima?” e ci propina storielle che facevano sbadigliare i nostri bisnonni o che ripetono i più triti cliché. Anche online molti “barzellettieri” sono più noiosi che divertenti. Ma quando l’umorismo ha le ali può volare alto – e qualche volta una satira intelligente dice più di tanti dotti sproloqui.

Ci sono anche “giochi” che hanno una funzione seria. Si chiamano “simulazioni” – e se ben fatte possono essere molto utili. Ma, prima che un pilota possa imparare da un simulatore come atterrare in un aeroporto che ancora non conosce, dovrà aver fatto molte ore di volo su aeroplani veri, cominciando con qualche piccolo velivolo da addestramento prima di mettere le mani su macchine più complesse.

Accade, invece, che si confonda la simulazione con la realtà. Da almeno vent’anni esistono studi ben documentati sulla cosiddetta MBA syndrome. Cioè una persona che ha studiato, in teoria, gestione d’impresa (master in business administration) quando si trova a lavorare nel mondo reale non adatta il progetto operativo all’evoluzione del mercato, ma tenta di forzare il mercato a seguire uno schema di simulazione. Il problema è seriamente reale. Le conseguenze sono, contemporaneamente, comiche e catastrofiche.

La situazione è peggiorata con le molte falsificazioni delle strategie d’impresa che imperversano, con crescente intensità, a partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso. Non sono fenomeni nuovi. C’erano situazioni analoghe nel diciottesimo e diciannovesimo secolo. (Vedi I “baroni ladroni” – la storia è vecchia).

Ma in tempi più recenti si è messa in moto un’accelerazione che ha l’andamento precipitoso di una caduta inerziale. La diffusione dei titoli di borsa fra i “piccoli risparmiatori” e l’estensione “globale” della finanza speculativa hanno portato il problema a dimensioni che non si erano mai viste prima.

Non è vero che la “bolla speculativa” fosse basata solo sulla cosiddetta new economy. Ci sono stati sconquassi speculativi in imprese di ogni specie – dalle risorse energetiche alle società di consulenza o di verifica finanziaria. E dalle nostre parti si sono visti fenomeni analoghi che riguardano case automobilistiche, imprese alimentari, squadre di calcio, eccetera.

Ma è vero che si è addensata particolarmente sull’e-business la proliferazione di progetti irrealizzabili con “simulazioni” campate per aria. Se avessero giocato a monopoli, o si fossero limitati a scambiarsi partecipazioni di valore immaginario, avrebbero perso solo soldi finti. Ma sono stati bruciati molti miliardi di soldi veri. Quelli di chi ha investito i suoi risparmi in progetti fallimentari – e di chi è rimasto senza lavoro per il tracollo delle imprese o per le drastiche riduzioni di personale nel disperato tentativo di “far quadrare i conti”.

La sbornia è passata? Non del tutto. Ci sono molteplici imbrogli che, finora, non sono venuti alla luce. Ci sono castelli in aria che riescono ancora, chissà come, a farsi passare per cose serie. Ci sono anche nuove avventure con scarse possibilità di successo.

Ma ci sono imprese che usano davvero la rete. Non più come un vago “atto di presenza” o per la ricerca di impossibili “facili guadagni”, ma per applicazioni concrete. Con prevedibili situazioni di smarrimento. Perché si scopre che occorre lavorarci davvero, che debbono essere coinvolte funzioni aziendali che credevano di potersene disinteressare. Perché c’è bisogno di formazione, verifica, costruzione di esperienza. Tutte cose che erano ovvie da anni, ma solo ora si cominciano a capire in pratica.

Sono cose ben note a chi ha seguito questa rubrica dal 1998 a oggi. E spiegate ampiamente nel libro La coltivazione dell’internet – di cui una versione più breve, Le imprese e l’internet, si trova online.

Ci sono imprese che guadagnano bene vendendo giochi. Non solo nel settore classico dei giocattoli, ma anche nel campo delle “nuove tecnologie”. Con aggeggi o sistemi, anche di uso “adulto”, che servono soprattutto per divertimento. Ovviamente non è un fatto nuovo. E naturalmente se c’è chi vuol giocare è ragionevole che si offrano strumenti di gioco. Ma se “è tutto lì”, se l’attenzione si concentra solo sui trastulli, il problema diventa serio.

Studi internazionali dimostrano che in Italia prevale l’uso “ludico” mentre sono sottosviluppate le attività professionali, di studio e di lavoro. Nell’uso della telefonia mobile, ma ancora di più nell’internet.

Fino al 1999 l’uso dell’internet in Italia era prevalentemente dall’ufficio. Da quattro anni si stanno diffondendo di più le connessioni “domestiche” – mentre l’uso della rete per lavoro rimane statico (a un livello nettamente inferiore rispetto ai paesi più evoluti). Vedi la sezione dati.

Non è mai stato vero che l’Italia sia un paese di giocherelloni – anche se ogni tanto qualcuno dà al mondo quell’impressione. Abbiamo dimostrato infinite volte di saper lavorare bene, con impegno, iniziativa, dedizione. Ma se nel generale smarrimento che affligge l’economia mondiale ci lasciamo trascinare a capire le tecnologie solo come giocattoli... il rischio diventa grave.

Se l’internet fosse solo un giocattolo, potremmo dimenticare la sua utilità come strumento di cultura, di informazione, di scambio e arricchimento umano. Ma avremmo perso una grande risorsa, di cui abbiamo appena cominciato a capire l’utilità. (È vero che la rete esiste da trent’anni, ma le evoluzioni culturali hanno bisogno di tempi lunghi).

Si dice che “giocando s’impara” e che le cose conosciute inizialmente come gioco possono poi rivelarsi utili anche per usi diversi. Spesso è vero. Ma non se tutto viene incessantemente ricondotto al gioco, se i valori pratici di utilità sono continuamente rimossi o rimandati a qualche ipotetico futuro. Serve a poco diffondere l’uso della “banda larga” o installare fibre ottiche se manca la cultura umana e organizzativa per usare con efficacia le risorse disponibili. (Vedi Quei grandi tubi pieni di nulla).

Ormai lo sappiamo... ci sono stati sprechi enormi per l’installazione di tecnologie senza un chiaro progetto di come sarebbero state utilizzate. Le risorse tecniche senza una strategia coerente e un processo adeguato non solo soltanto uno spreco, sono un danno. (Vedi Il paradosso della tecnologia). Lo dimostra, per esempio, lo stato deplorevole degli apparati burocratici, che non solo con le tecnologie non rimediano i loro storici difetti, ma spesso moltiplicano gli errori e le disfunzioni,

Ma anche nelle imprese private la situazione è spesso desolante. Non basta la tardiva decisione di spendere meno in tecnologie non necessarie – occorre anche rimediare ai danni prodotti da sistemi mal concepiti e peggio applicati. Può essere disastroso “tagliare i costi” sostituendo persone efficienti con automatismi irresponsabili. Eccetera...

Ciò che occorre è un ripensamento profondo di metodi e processi. Un lavoro paziente, impegnativo, ma capace di dare risultati importanti. Prima di tutto un miglioramento di qualità, efficienza e servizio. E poi anche, di conseguenza, ù un più vantaggioso rapporto fra costi e ricavi.

Giochiamo quanto ci pare, ma non dimentichiamo che l’internet – in generale la comunicazione – è una cosa molto seria. Il che non vuol dire, naturalmente, che debba essere noiosa, solenne, pedante o “seriosa”. È meglio se è interessante, gradevole, fluida, attraente. Ma non è un gioco.


 

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