gassa

I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
19 – maggio 2003


Le scarpe a punta
e l’obbedienza involontaria

Mi sto rendendo un po’ antipatico alle donne che conosco perché faccio un po’ troppo spesso un’osservazione fastidiosa. Dico che non mi piacciono quelle strane (e, secondo me, orribili) scarpe a punta che quasi tutte indossano in questo periodo. All’inizio mi capitava per caso, per istintiva stizza, ma poi ho cominciato a farlo apposta – perché mi interessano le risposte.

Nessuna dice che le ha scelte perché le piacciono. Qualcuna dice «si trovano solo così». Qualcun’altra mormora vagamente «uff, lo sai, è la moda». Naturalmente c’è un limite all’impertinenza e perciò c’è una domanda che non faccio... «ma avevi proprio la necessità di comprare scarpe nuove?».

Non voglio dire male della moda. Perché è un settore d’impresa che dà un certo contributo alla nostra bilancia commerciale – e perché è incontestabile che ogni persona abbia il diritto di vestirsi come le pare e di comprare ciò che vuole, se se lo può permettere. Ciò che penso della moda e delle mode è già spiegato in un articolo del luglio 2002 Le insidie della moda – e ciò che penso sulla non inutilità del superfluo nel settembre dello stesso anno Il superfluo obbligatorio.

Se si trattasse solo di scarpe o di abbigliamento, non sarebbe un gran problema. Posso guardare gli occhi di una donna, e tutto il resto, trascurando i piedi, almeno fino a quando quella moda passerà e si vedranno scarpe meno sgradevoli. Il destino del mondo non cambierà a causa di qualche effimera, e non culturalmente influenzante, abitudine di abbigliamento.

Ci sono casi, ovviamente, in cui “l’abito fa il monaco”. Si tratta di capire quando sono mode (o costumi) non condizionanti – e quando invece sono squallide costrizioni o crudeli prigioni culturali.
In situazioni diverse dalla nostra ci sono donne che indossano un velo o un abbigliamento tradizionale e affermano di essere libere e consapevoli. Se è davvero una loro scelta volontaria , non sta a noi discutere o giudicare.
Potrebbero essere meno libere di loro le donne europee che indossano abiti più succinti, ma si sentono “obbligate” a mostrare questa o quella parte della loro anatomia non per una scelta individuale, ma per un servile adeguamento alle abitudini dominanti o per una desolante imitazione di “modelli” stereotipati.
E, naturalmente, si possono fare ragionamenti analoghi anche sui maschi della nostra specie.

Ma il problema è un altro. In un mondo che ha un grande bisogno di capacità critiche, di indipendenza di opinioni, di diversità culturali, siamo ancora spaventosamente schiavi delle convenzioni e delle abitudini.

In quesiti giorni un amico mi ha regalato un’edizione recente di un vecchio libro (di cui purtroppo avevo perso l’edizione originale, che veniva dalla biblioteca di mio nonno). Si chiama Il signore di buona famiglia e raccoglie una serie di vignette satiriche del grande (e ingiustamente un po’ dimenticato) Giuseppe Novello. Sono del 1934 (un’altra bella raccolta di vignette dello stesso autore, Che cosa dirà la gente, è del 1937). Le ho ripercorse con gusto e curiosità. Alcune, con o senza piccoli cambiamenti, potrebbero essere di piena attualità. Altre hanno il sapore antico di usanze dimenticate – ma quelle che le hanno sostituite non sono meno comiche e patetiche quando osservate con l’occhio acuto dell’ironia.

Non dico che si debbano abbandonare usanze e costumi, tradizioni e maniere, che spesso hanno un valore e sono, in gran parte, innocue. L’importante è non esserne schiavi.

C’è una tendenza, oggi, alla sobrietà. Che non è astinenza né sacrificio, ma un modo per vivere meglio. (Vedi due articoli recenti su questo tema, dal titolo simile, ma non uguale: Meno e meglio e Meno è meglio).

Perché allora persone intelligenti, libere, con una forte individualità, continuano ad adeguarsi, senza pensare, ai “dettami della moda”?  Quelle signore con le scarpe a punta reagirebbero con indignazione a chiunque chiedesse “obbedienza cieca” o volesse imporre la sua volontà o il suo modo di pensare. Ma seguono, passivamente, la moda... e non si tratta solo di ciò che indossano. Il cammino verso la libertà, la sobrietà, la liberazione dall’inutile “obbligatorio” e fastidioso, la personalità delle scelte, è ancora lungo – e, in parte, in salita.

Ci sono, purtroppo, molte situazioni in cui siamo costretti a obbedire. Dobbiamo assoggettarci a un’infinità di regole, alcune necessarie, altre assurde. Dobbiamo subire gli ingorghi del traffico, le (crescenti) inefficienze dei sistemi, le perversiità della burocrazia, gli orari degli uffici, dei negozi, dei treni, degli aeroplani... eccetera eccetera.

Ci sono situazioni in cui non siamo del tutto costretti, ma adeguarsi è giusto. È bene, e può essere piacevole, accettare usanze e costumi, oltre alle regole della “buona creanza” e della convivenza civile.

Ma... proprio perché in tante cose non possiamo, o non vogliamo, essere liberi, è importante difendere e allargare la nostra libertà in tutti i modi che ci sono possibili e che non danno troppo fastidio agli altri. Anche a costo di essere, qualche volta, considerati impertinenti o bizzarri.

Ovvio? Forse. Ma guardiamoci intorno. Chiediamoci, ogni giorno, a quante “regole” ci stiamo assoggettando che nessuno davvero ci impone e che non abbiamo scelto di seguire. Ne guadagnerà parecchio la nostra qualità della vita – e probabilmente anche la nostra capacità di essere interessanti e stimolanti quando incontriamo altre persone.

Se questo è importante in tutte le cose (“grandi” o “piccole”) lo è particolarmente quando si tratta di informazione e di opinione. Siamo inondati di informazioni non sempre esatte e spesso deformate. Siamo sommersi di opinioni non sempre rilevanti e ben fondate. Tutto l’apparato culturale (con lodevoli, ma scarse eccezioni) fa tutto il possibile per farci passare la voglia di formare una nostra opinione, di guardare oltre la superficie, di capire come stanno le cose e che cosa ne potremmo dedurre.

È difficile liberarsi da questo marasma, è impossibile approfondire sempre tutto, ma non è il caso di rassegnarsi. Oltre a chiederci, ogni giorno, se siamo davvero obbligati a fare (o a non fare) una certa cosa, chiediamoci anche se le informazioni che abbiamo sono le più utili per noi e se le opinioni che abbiamo accettato passivamente, o quelle che abbiamo adottato per abitudine, reggono a una verifica critica. Può essere impegnativo, ma non è così difficile come può sembrare.

Coltivare ogni giorno la libertà (nostra e altrui) non è solo un dovere civile. È un’esigenza fondamentale dell’esistenza umana. E può essere anche molto divertente.





Qualcuno potrebbe chiedere:
che cosa c’entra tutto questo con i nodi della rete?

Ho tre risposte.

  • Quelle persone che hanno avuto la pazienza di seguirmi negli anni probabilmente si sono già accorte di una tendenza a ri-allargare il quadro, dopo un periodo in cui mi ero un po’ concentrato sulla rete. Non ho mai pensato solo all’internet e non ho mai lavorato e studiato solo online – e ora sento il bisogno di estendere, di nuovo, la prospettiva anche in ciò che scrivo.


  • Non ho mai pensato all’internet come un fatto principalmente tecnico o come un mondo a parte. Mi interessa come evoluzione culturale ed è ovviamente un momento e una parte della comunicazione umana – che esiste indipendentemente dalla rete.


  • E infine... l’internet ha un ruolo preciso in ragionamenti come questi. La rete può essere, naturalmente, solo un altro strumento per fare le stesse cose. Ma quando è usata in quel modo non ha identità né significato culturale. Il suo valore “speciale” sta nella possibilità di informazione e di dialogo oltre gli orizzonti delle abitudini e le ristrettezze dei sistemi “omogeneizzati”. Quindi è, per sua natura, uno strumento di libertà, di diversità e di curiosità culturale e umana.
     


indice
indice delle rubriche


Home Page Gandalf
home