Offline Riflessioni a modem spento


Le insidie
della moda

luglio-agosto 2002

also available in English



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Le mode sono sempre esistite e non è il caso di farne un problema. Alcune sono allegre, festose, divertenti. Altre sono noiose, monotone, deprimenti. Possono anche essere perniciose quando si trasformano in manie e malanni culturali. Ma esistono, è utile capirle – ed è inevitabile che qualcuno cerchi di approfittarne.

“La moda” per antonomasia, cioè quella dell’abbigliamento, è un mondo strano – intriso di monotona agiografia. Non c’è mai un’ombra di critica. Tutto è sempre meraviglioso, geniale, fantastico. La più banale, insulsa e “importabile” delle collezioni e sfilate è circondata da un coro di melensa ammirazione. Capisco che si voglia rispettare una categoria di imprese che dà un interessante contributo alla nostra bilancia dei pagamenti (anche se molte “firme” italiane sono ormai proprietà di capitale straniero). Ma ciò non giustifica che tutto ciò che riguarda la moda sia trattato come un idolo, cui va tributata perenne prostrazione e riverenza, senza alcuna possibilità di critica o indipendenza di opinioni.

Se si trattasse solo di vestiti, accessori, acconciature e maquillage sarebbe solo un aspetto particolare della società e del costume. Ma una concezione “modaiola” ha preso il sopravvento su tutto, compresa la politica, l’economia e l’informazione. E imperversa a proposito dell’internet – come di tutti i sistemi di comunicazione.

      (Vedi  La “carnevalizzazione” dell’internet
      e  Il superfluo obbligatorio).

Non è un caso che in una recente conferenza alla Fondazione Bassetti un serio e serioso economista, Richard Nelson, abbia parlato di fashion – spiegando che una “moda” recente ha messo l’enfasi su startup frettolose, venture capital avventuriero e sfruttamento esasperato di brevetti e “proprietà intellettuali”. E che nella fase precedente erano altre, e più sensate, le “mode”: qualità di ricerca e sviluppo, collaborazione equilibrata fra imprese e mondo scientifico, rapporti di lungo periodo con il personale, finanza stabile e solida, strategie durature.

La fase di esasperazione speculativa è relativamente “recente”. È in atto da più di vent’anni, con una frenetica accelerazione alla fine del secolo scorso. Ha investito un po’ tutti i settori d’impresa, ma particolarmente (oltre a tutto ciò che ha a che fare con la finanza) le biotecnologie, l’informatica e la comunicazione.

Abbiamo già visto alcune conseguenze della “moda speculativa” ed è probabile che il peggio debba ancora venire. Ma anche le altre “mode” sono piene di trappole.

Può essere geniale (e “profittevole”) coglierne qualcuna sul nascere – o, meglio ancora, intuire una tendenza “nascente” prima ancora che si sia manifestata.

Per esempio... non molti sanno che quando Mary Quant, quarant’anni fa, lanciò l’idea della minigonna, non aveva soltanto intuito che molte donne avevano voglia di far vedere le gambe. Aveva anche approfittato di un vantaggio fiscale. In Gran Bretagna l’abbigliamento infantile era esente dalla purchase tax (non c’era ancora l’iva) e l’esenzione ara basata sulla lunghezza del capo, non sull’età (o la taglia) di chi lo indossava.

Ma “seguire la moda” è pericoloso. Comunque non è una cosa facile. Si tratta di capire quali tendenze hanno radici durature e quali sono soltanto la fantasia di un momento e possono svanire improvvisamente senza apparente motivo.

Uno dei problemi è la scriteriata amplificazione delle “mode” da parte dei mass media. Spesso le chiacchiere raggiungono la massima diffusione e trionfalità proprio quando una tendenza sta per estinguersi. Seguire passivamente le “mode” è uno dei più rapidi e disastrosi percorsi verso il fallimento (diceva più di duemila anni fa Sun Zu: «la tattica senza strategia è il rumore che precede la sconfitta»).

Per quanto riguarda l’internet, non tento neppure di fare un elenco delle ricette miracolose, o delle presunte tendenze “esponenziali”, che qualche anno fa sembravano la pietra filosofale e ora sono precipitate nel nulla (non senza uno strascico di vittime e di delusioni). Né delle nuove “mode” (in buona parte travestimenti di vecchie) che ancora imperversano e faranno la stessa fine. Anche una sintesi sommaria riempirebbe un intero numero di questa rivista. E probabilmente prima che questa pagina sia stampata ci sarà qualche nuova (o rifritta) formuletta o pozione magica che salirà più o meno precariamente all’onore delle cronache.

Il rimedio è semplice. Non badare alle mode, non credere nelle terminologie più o meno astruse, nelle formule di rito, nelle prescrizioni generiche “buone per tutti” e perciò utili a nessuno. Approfondire con pazienza fatti e conoscenze, sperimentare con cura prima di puntare su obiettivi troppo ambiziosi, seguire strategie semplici, chiare, basate sulla realtà e sull’esperienza.

Se dovessimo darci tutti un “compito per le vacanze”, vorrei che fosse un bagno sereno e disteso nella realtà dei fatti e delle relazioni umane. Per uscirne con la profonda convinzione che non si finisce mai di imparare e che ogni giorno abbiamo qualche occasione per arricchire la nostra esperienza. Oggi, come sempre, questa è la migliore scuola per trovare la strada del successo. O, se l’abbiamo già trovata, per proseguire senza cadere in qualche inaspettato precipizio – né lasciarci ingannare, al prossimo bivio, da qualche segnaletica sbagliata o intenzionalmente deviante.

 

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