Offline Riflessioni a modem spento


Meno è meglio
 
(seconda parte di un ragionamento in due puntate)

marzo 2003

also available in English



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Nella prima parte di questo ragionamento avevo osservato che un accento sulla “e” distingue due concetti diversi. Less and better, “meno e meglio” è un modo di pensare e di comportarsi. Less is better, “meno è meglio”, è un altro – che parte da premesse diverse e ha diverse conseguenze.

Mi sembra opportuno sottolineare, anche in questo caso, che non si tratta di scelte “ascetiche”, di rinunce o di sacrifici. Si tratta di benessere, di efficienza, anche di agio e comodità. La continua ricerca del “più” o del “troppo” non solo non ci migliora la vita, ma spesso ce la complica inutilmente.

In alcuni aspetti del comportamento umano si è capito, da molti anni, che “meno è meglio”. Per esempio nell’alimentazione. Abbiamo imparato (almeno in teoria) che è meglio mangiar bene ma non troppo, che a una pesante abbuffata è preferibile una cucina gustosa e leggera, che un bicchiere di vino fa bene, ma l’ubriachezza è molesta e l’alcolismo è una malattia.

Un altro esempio evidente è il problema ambientale. Molte delle soluzioni più importanti ed efficienti si basano sul concetto che less is better. E c’è ancora una lunga e impegnativa strada da percorrere in quella direzione.

Questi sono solo due fra i tanti, molteplici aspetti della crescente necessità di capire quando e come “meno è meglio”. In quasi tutte le cose l’abbondanza ha un limite – e al di là di quella soglia continuare ad aggiungere non solo è inutile, ma spesso è nocivo. Il concetto di “sobrietà” ha bisogno di essere capito, vissuto, praticato, come risorsa di benessere e di “qualità della vita”.

Gli esempi potrebbero essere infiniti – dai più semplici ai più complessi. E ognuno, ovviamente, ha diritto di scegliere quale livello di abbondanza e di complessità corrisponde meglio alle sue esigenze. Ma è importante capire che una casa ingombra di cose inutili è molto meno abitabile e gradevole di una più ariosa e ricca di spazio libero (ed è anche più faticosa da gestire). E questo è vero di tutti gli spazi, fisici o mentali. (Vedi Elogio della semplicità).

Possono esserci, naturalmente, ogni sorta di eccezioni – individuali e intenzionali. Per esempio il “collezionismo”. Se qualcuno desidera avere una raccolta di francobolli, orologi, schede telefoniche o tappi di bottiglia (o se, come l’autore di queste righe, è malato di bibliofilia cronica e non sa più dove mettere i libri) non si tratta di ingombri inutili ma di quelle libere scelte personali che, anche quando sono “puro svago”, arricchiscono la vita e rendono l’esistenza più piacevole.

Sono molti gli ingombri che occorre eliminare o governare. Uno dei casi più ovvi, e preoccupanti, è quello delle tecnologie. Si continuano a complicare, appesantire e moltiplicare senza motivo né giustificazione. Il risultato è che funzionano sempre peggio. (Vedi I malanni delle tecnologie e La congestione tecnologica).

Un’altra, pericolosa conseguenza della bulimia tecnologica è che tende a renderci tecno-dipendenti. Avere risorse tecniche che ci evitano compiti e incombenze può essere molto comodo. Ma se ci affidiamo troppo agli automatismi, o a meccanismi che non siamo in grado di controllare, possiamo trovarci in grave difficoltà nel momento in cui qualcuna di quelle abituali comodità viene a mancare. E più si moltiplicano le tecno-dipendenze, più aumenta la probabilità di guasti o disservizi.

Ci sono anche molte situazioni in cui, al di là delle scelte individuali, less is better è un’esigenza collettiva. Fra le più ovvie ci sono le risorse energetiche, l’inquinamento chimico, i problemi ambientali. Ma non si tratta solo di quelle. In un’infinita e crescente varietà di circostanze le esigenze personali e le responsabilità sociali portano a capire (e, si spera, praticare) il concetto che “meno è meglio”.

Sembra logico affermare che questo problema si pone nei paesi (o nei settori sociali ed economici) più “ricchi” o “benestanti” – e che in condizioni di povertà o privazione rimane valido il concetto “più è meglio”. Ma non è così semplice.

Anche in situazioni “in via di sviluppo” le soluzioni più fertili ed efficaci sono quelle che non puntano indiscriminatamente verso una generica abbondanza o una pericolosa ripetizione degli errori che affliggono le economie più evolute. In ogni condizione e in ogni fase è vantaggioso evitare gli sprechi, i sovraccarichi inutili, le complicazioni inefficienti. Ci sono (anche se non sono applicate con sufficiente ampiezza) molte soluzioni funzionali ed efficaci che valorizzano le risorse disponibili ed eliminano, o riducono, la dipendenza da apporti esterni o da soluzioni troppo complesse e “pesanti” per un’economia che non se le può permettere o per una società poco compatibile con valori estranei.

Nel caso delle economie più “ricche”... siamo in un periodo di “riduzione dei consumi” – o, più propriamente, di prudenza negli acquisti. Questo è dovuto alle incertezze della situazione politica ed economica (che non sono “di breve periodo” – il sistema è gravemente in crisi da parecchi anni). Il fatto è che, al di là dei “cicli” di non facile interpretazione, si tratta di capire con quanta forza e continuità si stia manifestando una tendenza più profonda e durevole nel tempo: la percezione del fatto che in molti casi (per motivi individuali o collettivi) “meno è meglio”.

Se prenderà forma con la solidità che merita, potrà portare a cambiamenti importanti nella società, nella cultura, nell’economia e nel mercato. Non è una rinuncia al benessere. Non è la fine dello sviluppo economico, né dell’innovazione di prodotti e servizi. Al contrario, apre la strada a nuove strategie e nuove proposte: e già oggi potrebbe essere un’ottima occasione per chi la sapesse interpretare con offerte orientate a scelte più consapevoli.


 

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