Cominciano a diffondersi seri dubbi sul valore di
unindiscriminata economia e cultura dellabbondanza e
dellesagerazione. Non sono moralismi né
dietologie. Non sono ideologie dellascetismo o dellastinenza.
Sono considerazioni pratiche, voci provenienti dal mondo
delle imprese e della comunicazione dimpresa.
Less and better, si dice e si scrive. Oppure less
is better. Due affermazioni apparentemente simili, ma
concettualmente diverse. In italiano la differenza è
solo un accento sulla e, ma per capire di che
cosa stiamo parlando mi sembra necessario sottolineare la
diversità di significato.
Vorrei premettere che non si tratta di eliminazione
del superfluo. È un diritto umano desiderare (e
se possibile avere) anche ciò che non è
di prima necessità. Cè sempre il
rischio che letichetta del superfluo sia posta
su cose che non lo sono. Come la cultura, la conoscenza, la
libertà, la curiosità anche il piacere e il
divertimento. Il fatto che siamo sprofondati in una sovrabbondanza
dellingombrante e dellinutile non può
autorizzare alcuna repressione delle libere scelte personali.
(Vedi
Il superfluo obbligatorio).
Ciò premesso, vediamo il primo dei due
concetti: less and better. Lidea corre per il mondo, in
tante situazioni diverse ma guardiamo lItalia.
Cinquantanni fa stavamo uscendo da unantica storia di
povertà. Anche altrove prevaleva il more and more,
ma in particolare da noi più e più era
il concetto dominante. Avere di più, di qualsiasi
cosa, era un cambiamento desiderabile per chi veniva
dallaver sempre avuto troppo poco. Poi, un po per volta,
anche in Italia si è imparato a badare alla
qualità oltre che alla quantità. More and
better. Più e meglio.
Siamo entrati in una terza fase, che si chiama less and
better, meno e meglio. Non solo per evitare
sprechi di denaro, ma anche perché non cè
più posto per le cose inutili. Manca lo spazio, non
sappiamo dove metterle. Manca il tempo per badare a troppe
cose accavallate che richiedono la nostra attenzione.
Di questo si è avuta una percezione nel periodo
degli acquisti natalizi. Ma non si tratta solo di una
momentanea fase di prudenza. Cè una tendenza
profonda, con radici ed effetti di lungo periodo. Sembra
ancora dominante la tesi del più e
più esasperato e a tutti i costi, ma è
venuto il momento di capire che ci sono altre strade,
più solide, più concrete, più durevoli.
Non è la fine delleconomia dei consumi.
Si tratta di puntare sulla qualità, sul valore, sul servizio.
E, se questo si applica a ogni cosa, è particolarmente
significativo per il mondo dellinformazione e della
comunicazione. Specialmente online, dove la sovrabbondanza
del nulla è particolarmente fastidiosa e deludente,
dove la qualità (del prodotto, del servizio, della
relazione) è più immediatamente percettibile.
Fra spamming
e invasività, orpelli ed esibizionismi, la retorica
dellabbondanza sta precipitando verso il suicidio.
È unottima occasione per chi ha la voglia
e la capacità di impegnarsi nella direzione opposta:
un po meno, ma molto meglio. Vista la qualità
delle proposte più diffuse... fare meglio non è
difficile. E può essere molto premiante.
I dati sullinternet ci dicono
che la quantità cè e che (con qualche variazione
di tendenza) continua a crescere. Cè un grande e
insoddisfatto bisogno di riempirla di qualità.
Fin qui... abbiamo visto una faccia del problema. In un
prossimo numero questa pagina sarà
dedicata allaltro aspetto. Cioè ai modi in cui less is better
meno è meglio. Allimportante valore che può
essere aggiunto sulla strada del meno: togliere invece
di aggiungere, semplificare invece di complicare.