Giulio Cesare, Caio Duilio

e la Signora Rossi

Qualche ragionamento pratico a proposito di electronic business


Un' articolo su Media Key
settembre 1998

 

 

   

1 – Che cosa direbbe Giulio Cesare?

2 – La tecnica di Caio Duilio

3 – Si tratta solo di "segmentazione"?

4 – Che cosa farà la Signora Rossi?

5 – Ma allora... come si fa?

6 – Servizio (e relazioni umane)

7 – In Italia, a che punto siamo?

8 – Una grande occasione per le imprese italiane

 

 

1. Che cosa direbbe Giulio Cesare?

Quand’ero al liceo, con alcuni compagni di scuola avevamo inventato un gioco: che cosa direbbe Giulio Cesare? L’idea era far rinascere Giulio Cesare nel mondo di oggi e chiedergli le sue impressioni: sul telefono, sulle automobili, sugli aeroplani... e anche sul nostro modo di vivere e di pensare. Il personaggio non era scelto a caso. Immaginavamo che un uomo come lui, che aveva viaggiato dall’Egitto alla Britannia, aveva varcato ogni sorta di rubiconi, ne aveva viste e vissute di tutti i colori, aveva una buona cultura filosofica, usava il telegrafo e sapeva fare multitasking perché dettava dieci testi contemporaneamente a dieci scrivani... non si sarebbe lasciato impressionare da un po’ di tecnologia. Ma ci avrebbe aiutati a capire chi siamo e cosa facciamo, proprio perché capace di vederci da una prospettiva diversa. Insieme avremmo potuto ragionare su ciò che c’è di continuo nella cultura e nella natura umana e ciò che invece cambia coi tempi e con le situazioni.

Giulio Cesare era anche uno che sapeva come vivere in un mondo affollato di aruspici, di vaticini e di sibille; e come distinguere le informazioni utili da quelle campate per aria o manipolate ad arte. Noi invece non solo siamo circondati di oroscopi e di cartomanti, ma un po’ troppo spesso prendiamo alla lettera profezie meno credibili di quelle basate sul volo degli uccelli – ma espresse in numeri che danno al nulla una patina di "scientifica" credibilità.

Questo avviene in tutto, ma specialmente nelle cose nuove e ancora poco capite. Conosco scenari basati su serie storiche di cinquant’anni che devono essere interpretati con occhio critico. Ma è stupefacente che si prendano sul serio proiezioni basate su serie storiche di zero, o al massimo di un anno o due – come quelle che riguardano l’internet.

2. La tecnica di Caio Duilio

Ci sono molte persone, e molte imprese, che pensano di poter entrare nella nuova realtà della "comunicazione elettronica interattiva" col metodo che usò Caio Duilio nella battaglia di Milazzo. I suoi pesanti opliti erano "mezzi corazzati" di grande potenza in uno scontro terrestre, ma facilmente sconfitti dagli abili marinai cartaginesi in una manovra navale. Così montò sulle sue triremi ponti uncinati, agganciò le navi nemiche – e vinse una battaglia. Ma le guerre puniche finirono solo quando i romani riuscirono a radere al suolo Cartagine e così togliere di mezzo un avversario pericolosamente superiore in quello che volevano poter chiamare mare nostrum.

Fuor di metafora... è possibile usare la rete come se fosse solo "un altro mezzo" di marketing e di pubblicità? Applicare al nuovo metodi vecchi? Certo, è possibile. Ma non credo che questa sia la scelta migliore. Per due motivi.

Il primo è che non funziona molto bene. Per fare il lavoro dei mezzi tradizionali (di pubblicità come di distribuzione) funzionano meglio gli strumenti che conosciamo già. "Aggiungere" la rete serve a poco e può essere inutilmente costoso. Gli investimenti, in teoria, non sono grandi; ma usare la rete in un modo che non sia così superficiale e grossolano da diventare un boomerang consuma in quantità notevole il bene più prezioso: le risorse umane.

Il secondo, e più importante, è che così facendo si perdono di vista quelle possibilità reali, e potenzialmente importanti, che la rete offre se capita e usata secondo la sua natura (e non secondo modelli "presi a prestito" dai mezzi a senso unico).

Insomma... se dalla terra vogliamo passare all’acqua, possiamo stare attaccati a un salvagente e costruire ponti e terrapieni; ma non andremo molto lontano se non impariamo a nuotare e a costruire qualcosa che navighi un po’ meglio di una zattera.

3. Si tratta solo di "segmentazione"?

Fin da quando ho cominciato, in tempi remoti, a studiare comunicazione – e contemporaneamente a occuparmene in pratica – sento parlare di segmentazione. Si sono sviluppate su questo tema tecniche raffinatissime, dai cluster alle categorie psico-sociologiche, dai modelli matematici ai mille tecniche per la definizione del target – o dei famigerati GRP. Con risultati, a dir poco, deludenti.

Sarebbe troppo lungo, in un breve articolo, entrare nelle molte complessità di questo non facile argomento. Ma per capire il problema basta osservare le più semplici realtà quotidiane.

Guardo poco la televisione. La mia scelta di programmi è molto diversa da quella della maggior parte delle ragazzine che hanno avuto da poco la loro prima mestruazione. Senza dubbio sono "fuori target". Eppure quest’estate ho subito un ossessivo bombardamento di pubblicità per gli assorbenti igienici.

Il direct marketing? Boh... ricevo montagne di offerte per "posta ordinaria" (e per fax). Non apro quasi mai le buste; quando le apro non trovo quasi mai un’offerta che abbia una qualsiasi attinenza con i miei interessi. Il linguaggio è quasi sempre quello che inventò Selezione dal Reader’s Digest al tempo delle guerre puniche... eppure non dovrebbe essere difficile capire quanto sia sprecato (e irritante) mandare quel genere di cose a uno come me.

La rete può essere finalmente un "mezzo" che segmenta davvero? Forse. Finora, non sembra. Ci sono montagne di tecniche, presunte raffinatissime, che promettono miracoli di segmentazione. Sarà... ma, almeno per ora, i risultati non ci sono. Come chiunque frequenti un po’ di liste in giro per il mondo, ricevo montagne di spamming  – nonostante il fatto che non accetto mai un cookie. Non leggo tutti i messaggi "indesiderati", ma per dovere professionale ogni tanto li controllo. Alcune delle proposte sono così bizzarre da essere una curiosità culturale. Ma su un numero enorme di messaggi di questa specie che mi arrivano (qualche decina al giorno) non ne ho mai trovato uno che fosse interessante per me o che meritasse una risposta.

Il fatto è semplice: queste tecniche, che si propongono come raffinate, sono in realtà estremamente grossolane. Lo spamming che ricevo in rete non è quasi mai di marche rispettabili e qualificate. Evidentemente, nonostante la confusione, le imprese di marca sanno che è pericoloso mettere in gioco la propria identità con metodi inefficaci e irritanti. O almeno spero che sia così.

Ricevo molto più spamming dall’America che dall’Italia. Non ho ancora capito quanto dipenda dal fatto che la rete in Italia è ancora poco diffusa o dal fatto che gli italiani sono meno maleducati. Temo che la risposta giusta sia la prima.

Ma vorrei ritornare al tema della segmentazione. È "potenzialmente" credibile che un sistema come l’internet possa consentire una segmentazione molto più precisa di quanto sia possibile oggi con i mezzi tradizionali. Ma si tratta di vedere se e quando i mezzi "a senso unico" (stampa, radio, televisione) riusciranno a offrire quella segmentazione che è già oggi tecnicamente possibile – ma si scontra con le abitudini di lettori, ascoltatori e spettatori; e soprattutto con la difficoltà da parte di editori ed emittenti di produrre e organizzare contenuti "segmentanti".

L’internet... è un altro discorso. Permette metodi di comunicazione e di marketing impossibili per i mezzi tradizionali. Permette una selettività che supera radicalmente ogni concetto tradizionale di "segmentazione". Questo è il suo valore più importante; e su questo, secondo me, si dovrebbe concentrare l’attenzione.

 

4. Che cosa farà la Signora Rossi?

Ci sentiamo dire un giorno si e un giorno no che qualcuno ha inventato una killer application. Cioè qualcosa che trasformerà tutto e farà strage di tutte le tecnologie e i comportamenti che conosciamo. Finora, non è mai successo; o almeno non così facilmente o così velocemente come ci si poteva aspettare.

L’alfabeto morse è nato nel 1844. È stato abolito quest’anno. Ma non è "morta" la telegrafia: si è semplicemente sostituito un codice con un altro (anche se alcuni giornalisti non se ne sono accorti... nel caso di non ricordo quale naufragio ho letto di qualcuno che assurdamente per radio diceva "esse o esse"). Il cinema non ha ucciso il teatro. Da tempo immemorabile abbiamo la radio e i dischi, ma si continua ad andare ai concerti. Gli stadi sono più affollati oggi di quanto fossero quando non c’era la televisione. E la televisione non ha ucciso la stampa, né la radio (se radio e stampa sono "asservite" alla televisione questa è solo una loro stupida scelta).

La rete finora non ha "ucciso" alcun altro mezzo di comunicazione, né sembra in vista alcuna situazione in cui questo possa accadere. Non ha neppure sostituito (finora) un mezzo antiquato e costoso come il fax.

Qual è il prodotto che si vende di più in rete? Dopo il software... i libri (quelli di carta).

Nessuno aveva previsto l’internet – e in particolare quella larga diffusione che ha avuto a partire dal 1993-94 (in Italia un po’ più tardi). Nessuno (nemmeno il suo inventore, Tim Berners-Lee) aveva previsto che la ragnatela (World Wide Web) avrebbe assunto le dimensioni che ha oggi. Nessuno, secondo me, è in grado di prevedere che cosa succederà domani.

Due o tre anni fa tutti giuravano su una cosa chiamata video on demand. Si parlava di stanziamenti di miliardi di dollari. In un congresso in America, qualcuno chiese: But what if Mrs. Jones doesn’t push the button? Cioè "che cosa facciamo se poi la Signora Rossi non preme il tasto?" La risposta è nei fatti: di quella presunta killer application (come di tante altre) non si parla più.

Alla fine... ciò che accadrà dipenderà da che cosa faranno le Signore Rossi e i Signori Bianchi. Per ora in rete sono pochi; in gran parte "nuovi" e ancora disorientati; comunque molto diversi fra loro, con comportamenti che variano da chi usa esclusivamente la posta elettronica, e solo per lavoro o con pochi amici, a chi si limita a usare la rete come biblioteca... o chi "naviga" un po’ a casaccio e presto si stuferà. Descrivere, classificare, documentare un mercato (o più precisamente un mondo di relazioni) così giovane e mutevole è come cercar di capire se un infante di sei mesi farà l’ingegnere o suonerà il violoncello. Impossibile; e soprattutto inutile.

Allora, fare business in rete è un’impresa disperata? Niente affatto. Per fortuna la natura della rete è tale da permetterci di agire anche senza avere i "parametri" cui siamo abituati. Ci vuole solo un po’ di coraggio, un po’ di spirito di avventura... e molta pazienza.

5. Ma allora... come si fa?

In teoria, operare con successo in rete è molto semplice. In pratica, un po’ meno. Il punto fondamentale è che la rete, per sua natura, è un sistema di continua verifica. La verifica non è un momento separato, un processo a parte. È "parte integrante" dell’agire. Non "come nel direct marketing". È qualcosa di molto diverso. La risposta è davvero diretta, le verifiche sono istantanee, il dialogo è personale.

I vantaggi sono notevoli. Se si adotta (come dovrebbe essere "imperativo", ma pochi fanno) un sistema flessibile e "scalabile", l’investimento iniziale può essere limitato. Il vantaggio di uno sviluppo graduale non è solo che non si buttano via i soldi, ma è qualcosa di ancora più importante: invece di imprigionarsi troppo presto in uno schema preconcetto (che ha 99,9 probabilità su 100 di rivelarsi inadatto quando sarà difficile e costoso cambiario) si può crescere in modo "biologico", continuamente tastando e sperimentando.

Credo che per "trovare la via giusta" occorra prima di tutto mettere in discussione il concetto più diffuso, e secondo me sbagliato: "commercio elettronico". Non c’è lo spazio in questo articolo per approfondire i molti e complessi motivi per cui si tratta, almeno finora, di poco o nulla (ce n’è un’analisi estesa, e continuamente aggiornata, nella rubrica online Il mercante in rete). Ma soprattutto si tratta di una definizione troppo limitativa – e deviante.

Nell’infinito proliferare di libri, articoli, conferenze, seminari, lezioni universitarie, corsi di formazione, eccetera.... l’attività delle imprese in rete viene proposta secondo un’unica formula, molto restrittiva: "commercio elettronico". Definito secondo un’interpretazione ancora più banale e limitata, come se marketing in rete volesse dire solo metter su un sito web, dove si vende qualcosa, e cercare di farlo conoscere.

Sono sempre più convinto che il modo efficace per affrontare il problema è un altro.

6. Servizio (e relazioni umane)

Usare la rete secondo i criteri tradizionali del marketing e della comunicazione, o solo per fare "commercio" (nell’interpretazione più grossolana del termine) non è quasi mai una soluzione efficace. E, anche se lo fosse... concentrarsi su questo aspetto rischia di far perdere di vista le altre possibilità che la rete offre e che, secondo me, sono molto più importanti.

In teoria, il segreto è semplice. Pensare in termini di servizio e analizzare in modo specifico tutti i nodi di connessione fra l’impresa e i suoi molti interlocutori (non solo "consumatori"). Individuare i punti (ci sono sempre) in cui l’attività può essere più efficace migliorando il sistema informativo e di dialogo. Organizzare un sistema sinergico che faccia leva non su un solo punto, ma su una simbiosi di fattori diversi che, quando "interconnessi", aumentano molto la qualità e l’efficienza (in questi casi è quasi sempre vero che "il totale è maggiore della somma delle parti"). Sviluppare soluzioni che non siano "imitazione" di ciò che fanno gli altri, e tantomeno applicazione di modelli standardizzati; ma che siano costruite "su misura" per le capacità e le risorse di una singola impresa. L’obiettivo è valorizzare al massimo la propria identità, "unica e inimitabile"; e così scegliere un terreno d’azione adatto a noi e, contemporaneamente, difficile per i nostri concorrenti.

In pratica, è impegnativo. Ci vuole tempo. Occupa e consuma risorse umane. Richiede flessibilità, fantasia, coraggio... quella creatività che Vilfredo Pareto definiva "trovare nessi nuovi fra cose note". Richiede nuova formazione, che non si ottiene con banali (e spesso deprimenti) esercizi di "alfabetizzazione" tecnica ma con l’esplorazione di territori, umani e di relazione, di cui non esistono carte o portolani attendibili e aggiornati. Richiede talento; e vediamo che spesso non vengono adibite a questi compiti le persone più adatte – o se lo sono, e hanno visto giusto, sbattono continuamente contro un muro di gomma (se aprissi la mia mailbox potrei portare infinite, e molto eloquenti, testimonianze; ce n’è una che ho avuto il permesso di pubblicare).

Sorge spontanea una domanda. Se è così impegnativo, se richiede metodi di scambio e di collaborazione che possono essere laceranti per le gerarchie e i ruoli consolidati all’interno di un’organizzazione, se consuma parecchio tempo e impegna risorse umane, non è meglio stare alla finestra, lasciare che altri vadano col machete nella giungla, per poi percorrere più tranquillamente sentieri che avranno aperto? Credo di no.

L’esercizio di de-strutturazione, di demolizione delle gerarchie e barriere interne, di dialogo "interdisciplinare" dentro e fuori dall’impresa, è comunque salutare. Anche se non servisse per sviluppare attività nei nuovi sistemi di comunicazione, sarebbe benefico per qualsiasi organizzazione. Le teorie della gestione hanno approfondito questi temi per decenni. La pratica... molto meno. La forza dell’abitudine, il conforto (apparente) della routine, la difesa di "mansioni" e ruoli... sono infiniti gli ostacoli che si oppongono a questa evoluzione, sempre più necessaria nel mondo di oggi (anche indipendentemente dalle nuove tecnologie di informazione e di dialogo).

La scoperta dei nodi e delle connessioni, delle leve informative che migliorano la qualità e favoriscono lo sviluppo, dà quasi sempre risultati importanti. Da un semplice miglioramento dell’efficienza (comunque utile e rilevante) fino a un "salto di qualità" determinante per le strategie d’impresa.

La cosa più rischiosa, secondo me, è evitare la fatica e l’impegno di un’analisi seria, rifugiarsi in qualche formuletta prefabbricata, metter su un sito "qualsiasi", magari gremito di grafica e di giochetti inutili, fare un po’ di banner e immaginare, con questo, di essersi "tolto il problema".

7. In Italia, a che punto siamo?

La "buona notizia" è che da circa sei mesi la crescita della rete in Italia è molto più vivace che in passato. Intendiamoci: siamo ancora "l’ultima ruota del carro". Se calcoliamo la presenza in rete in rapporto al reddito, siamo all’ultimo posto nell’unione europea. L’Italia rappresenta circa il 4 per cento dell’economia mondiale, l’1 per cento della rete. Ha il 12 per cento del prodotto interno lordo europeo, il 14 delle automobili, il 17 o più dei telefoni cellulari... il 5 della rete in Europa.

Ma c’è una tendenza interessante. Negli ultimi sei mesi abbiamo avuto una crescita del 48 per cento, rispetto a una media del 19 in Europa e del 23 nel mondo. Qualcosa si muove... se queste linee di tendenza si confermassero, in tre o quattro anni potremmo arrivare "in quota". (Per un’analisi più dettagliata di questi dati vedi il numero 26 della rubrica Il mercante in rete). Un motivo di più per pensare seriamente a imparare come muoversi in questo nuovo territorio.

Gli ostacoli sono molti. Fra questi una diffusa incultura e incomprensione; non solo da parte delle imprese, che sono ancora disorientate. È grave e preoccupante l’atteggiamento di chi ci governa, di chi fa le leggi, dell’establishment culturale e dei mezzi di informazione. Si ripetono spesso autentiche "crociate" di disinformazione sulla rete, molto più intense e feroci in Italia che in altri paesi (vedi articoli e documenti nella sezione libertà della rete e nel sito dell’associazione ALCEI). Alcuni osservatori intelligenti nel mondo del business stanno cominciando a capire che repressione e diffamazione della rete non sono solo un danno per la cultura e per la società civile, ma anche per l’economia e per le imprese. Era ora.

8. Una grande occasione per le imprese italiane

Ci vorrà tempo prima che in Italia si sviluppi qualcosa di simile a un "commercio elettronico". Ma già oggi le possibilità all’esportazione sono molto interessanti. La diffusione della rete nel mondo è paurosamente squilibrata (il 98 per cento dell’umanità è ancora escluso) ma ci sono mercati importanti che offrono possibilità immediate e concrete; o comunità diffuse, in settori specifici, anche in molte altre parti del mondo. E se la crescita non è, come si favoleggiava, "esponenziale"... è davvero veloce: ciò che impariamo oggi su una scala relativamente piccola potrà esserci prezioso domani su dimensioni più ampie.

Il mercato internazionale è difficile, confuso e fortemente competitivo. Ma ci sono molte imprese italiane che hanno successo in tutto il mondo in condizioni non più facili di queste. Che cosa ci vuole per vincere in rete? Flessibilità. fantasia, innovazione, molta attenzione alle relazioni e un forte spirito di servizio. Queste sono, da sempre, le carte vincenti delle imprese italiane; specialmente le famose "piccole e medie imprese" che sono la spina dorsale della nostra economia. Quelle che qualcuno chiama le multinazionali tascabili. La metafora mi lascia un po’ perplesso, perché mi ricorda le corazzate tedesche della seconda guerra mondiale; ma in questa guerra incruenta del mercato in rete c’è sicuramente posto per intelligenti, flessibili e veloci navi corsare. Spero di vederne molte con la bandiera italiana.

 

 

Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
settembre 1998

 

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