sito che funziona



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“Compatibile” non basta

Un sito “compatibile” è un sito che si vede in modo costante (per quanto possibile su web) dai diversi computer, con diversi software, in diverse condizioni. Vale a dire che è progettato in modo da “reggere” in tutte le condizioni di variabilità che abbiamo esaminato precedentemente.

Per precisione, bisogna sottolineare il fatto che un sito universalmente compatibile sarebbe un sito poco usabile, perché dovrebbe sottostare a troppe limitazioni: apparirebbe come i primissimi siti del 1995 e non potrebbe utilizzare alcune utili prestazioni dei browser attuali.

Per questo, quando si parla di “compatibilità” si intende riferita alla maggior parte dei browser e dei computer in circolazione.

Per pendere una decisione concreta, è utile riferirsi alle statistiche del sito (o di siti analoghi) da cui si possono desumere le informazioni necessarie.

La compatibilità, tuttavia, è solo l’aspetto tecnico della questione, mentre l’usabilità è una concetto molto più vasto e non riguarda unicamente aspetti tecnici, ma soprattutto aspetti semiotici, correlati all’universo cognitivo dell’utente.

Quello che è usabile per un pubblico di programmatori, può non esserlo per un’anziano professore di filologia romanza, quello che va bene per un pubblico di adolescenti appassionati di musica rock va meno bene per un pubblico che usa il computer solo in ambito aziendale...

Non si tratta solo di linguaggi, motivazioni, obiettivi (questo è ovvio anche in ogni altro sistema di comunicazione) ma anche di interfaccia e usabilità.

L’interfaccia web è l’insieme di segni visivi e testuali che consente sia la “navigazione” sia tutte le azioni che l’utente compie per ottenere informazioni e servizi erogati dal server: dal semplice invio di un commento fino a operazioni complesse che hanno effetti anche nella vita reale (acquisti, home banking, per esempio).

Le interfacce che usiamo attualmente sono sempre basate su metafore. Il bottone da “cliccare” per andare in una certa area del sito, ovviamente, non è un “bottone” ma una metafora, così come il cestino o i folder del computer.

Le metafore (di interfaccia ma non solo) sono decodificabili solo se si riferiscono a un universo cognitivo comune. Per fare un esempio tratto dalla retorica classica, se io dico “capelli d’oro” il mio interlocutore mi capisce solo se ha presente cos’è l’oro. Altrimenti farei meglio a usare un’altra metafora (il grano, l’ottone...).

Allo stesso modo, su web, quando si sceglie per un sito un universo di segni che caratterizzano l’ambiente e consentono esplorazione e interazione ci si deve preoccupare non solo della coerenza con il posizionamento e il mood della comunicazione aziendale, ma anche della facile decodifica di questi segni da parte del target (non solo il core target, ma tutti i pubblici che questo sito visiteranno).

Cioè bisogna porsi il problema dell’appartenenza di questi segni all’universo cognitivo del target.

In caso di dubbio (ma anche in caso di certezze) i test su una “demo” funzionante del sito sono doverosi (vedi il capitolo 8)




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Questo è il capitolo 28 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 


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