le imprese e l'internet



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Ridefinire
il concetto di “mercato”

Guglielmo Barbiero ha una profonda esperienza in fatto di strategia e gestione d’impresa; è anche uno dei più attenti studiosi delle dottrine sull’argomento. Quando ha letto il testo di La coltivazione dell’internet (prima della pubblicazione del libro) mi ha fatto notare che il concetto di “mercato” può essere messo in discussione. Riporto qui un suo commento, che mi sembra interessante – e tutt’altro che astratto.

Dai tempi degli scritti di Bruce Henderson le riflessioni in tema di “mercato” sono state numerose. Il termine “mercato” è infatti oggi utilizzato con molti significati: può essere riferito a una tecnologia produttiva, una categoria di utilizzatori, una famiglia merceologica, una funzione svolta dai prodotti, un particolare bisogno soddisfatto. È dunque un termine-contenitore, per nulla utile in mancanza di un riferimento. La consuetudine di attribuire al “mercato” il significato di settore -tecnologia - processo produttivo (eredità dell’economia di produzione) è fortemente limitativa.

Questo modo di pensare è sempre più in contrasto con la crescente pratica della differenziazione perseguita dalle imprese. La forza di una marca sta nella sua capacità di determinare un suo proprio mercato, di cui definisce i confini e l’identità che la rende riconoscibile, differenziata e inconfondibile. Chi acquista i suoi prodotti o servizi non li vede come una delle alternative disponibili, ma come qualcosa di unico e diverso.

Il concetto di “quota di mercato” è poco utile a suggerire efficaci alternative di azione. Gli studi sulla concorrenza si sono preoccupati di misurare la spartizione di un’entità ambigua e convenzionale (“mercato”) più che di chiarire i motivi per cui due imprese si possono considerare “concorrenti” o due prodotti reciprocamente sostituibili.

In altre parole: non è detto che il successo di un’impresa, di una marca, di un prodotto o di un servizio stia nella conquista di una “quota” in un “mercato” occupato e definito da qualcun altro. Anzi, la posizione è molto più forte quando ciò che l’impresa offre ridefinisce la struttura del mercato, determina nuovi parametri, o addirittura costruisce un quadro di riferimento di cui è proprietaria e leader naturale. Risultati di questo genere sono quasi sempre basati su qualità intrinseche del prodotto o del servizio, con “barriere tecnologiche” che rendono difficile l’entrata di concorrenti; ma anche su un posizionamento che risponde alle esigenze di chi acquista in modo diverso dagli standard convenzionali del “mercato”.

Anche nella definizione del cosiddetto “ombrello” di marca (cioè quanti e quali prodotti o servizi possono portare lo stesso nome) non è importante solo valutare le competenze e coerenze tecniche (cioè che cosa l’impresa sa produrre, acquistare o distribuire) ma anche quali precise (e per quanto possibile “inimitabili”) caratteristiche ha la marca come punto di riferimento per il “consumatore”. Estensioni coerenti all’identità della marca (come garanzia-utilità per chi acquista) la rafforzano; deviazioni su terreni “non attinenti” la possono indebolire.

Se questo è vero in generale, lo è ancora di più nell’internet. Nella molteplicità delle reti anche imprese relativamente piccole possono definire un territorio e presidiarlo. L’interattività globale modifica il concetto di dimensione e di “economie di scala”. Un’altissima specializzazione, che potrebbe non arrivare alla soglia minima di “ritorno sull’investimento” in una prospettiva locale o anche nazionale, può essere premiante su scala mondiale. Ciò che a Milano o a Roma interessa a dieci persone, nel mondo può trovare mille clienti.

Mi sembra importante capire che la logica di questi sviluppi è molto diversa dal concetto tradizionale di “/offline/off17.htm segmentazione”. Operare efficacemente in rete significa costruire, nutrire e gestire un sistema di relazioni che non è un recinto in uno spazio più ampio e indifferenziato, ma è un organismo autonomo, con una propria identità, con un patrimonio di esperienze condivise. Identificare nella “globalità” della rete quelle persone o imprese che sono interessate a un servizio diverso dallo standard generale significa vivere in una comunità che costruisce e definisce il proprio ambiente; che si evolve, cresce, si nutre e si moltiplica determinando le proprie regole e una sempre più distinta e riconoscibile identità. Come un essere vivente.

Ciò che nel marketing tradizionale si chiama “nicchia”, nella network economy può essere un ambiente più autonomo e caratterizzato, con una propria e separata identità. Nutrito dal “circolo virtuoso” della reciproca utilità fra l’impresa e i suoi clienti, i suoi fornitori, le imprese che svolgono attività complementari, eccetera.

Le possibilità si moltiplicano – non solo per l’avanzamento tecnologico che permette innovazioni e specializzazioni sempre più precise e “su misura” ma anche per la crescente diversità delle persone, delle culture, delle esigenze e delle scelte. Giulio Cesare diceva «preferirei essere il primo in un villaggio che il secondo a Roma».

Ma qui non si tratta di potere politico o militare. Si tratta degli enormi vantaggi che ottiene un’impresa quando ha le leve di controllo su un “suo” mercato che, nella molteplice diversità di un’economia “globale”, può avere dimensioni molto più grandi di un villaggio o di una piccola agorà condizionata dalla vicinanza fisica.

Ancor più che nella concezione tradizionale di mercato (e di marketing) nei sistemi di rete è possibile – e molto vantaggioso – definire un territorio le cui caratteristiche sono determinate da uno specifico sistema di relazioni e di valori di servizio, che si sviluppa nell’interazione e nello scambio non solo con i clienti o “consumatori” ma anche con gli altri attori (interni ed esterni) dell’impresa. Quanto più questo mondo è “originale”, cioè diverso dagli altri e non facilmente imitabile, tanto più si evolve come un “ecosistema” vitale ed autonomo in cui il customer empowerment non è un rischio ma, al contrario, un valore, una risorsa e un vantaggio competitivo per chi sa meglio interpretare le esigenze dei suoi pubblici di riferimento e del suo sistema di relazioni. Questo è uno dei motivi per cui nell’internet l’imitazione non è la strada giusta e un’impresa ha tanto più successo quanto meglio riesce a esprimere la sua “unicità” e quelle caratteristiche di qualità e di servizio che la rendono diversa dalle altre.



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Questo è il capitolo 5 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 


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