L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini
di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 7
La turbolenza tecnologica:
problema o risorsa?


Spesso mi sento accusare di essere troppo amico, o troppo nemico, delle tecnologie. Chi le conosce poco mi considera un tecnomane. Chi ne è appassionato mi considera quasi un luddista. Una recensione (non del tutto benevola) del mio libro La coltivazione dell’internet diceva:

Livraghi è un “tecnoentusiasta” critico e disincantato: anche questa può sembrare una contraddizione, ma è quello che ci vuole per suscitare, finalmente, una discussione seria sulle prospettive aperte dalla diffusione delle tecnologie.

La discussione non finirà mai... anche perché le tecnologie e il nostro modo di usarle continueranno a cambiare in modo confuso, disordinato e turbolento. Lo stesso autore che ho citato nel capitolo precedente, John Naisbitt, nello stesso libro (Megatrends) nel 1982, diceva:

I futurologi del sensazionale sbagliano sempre, perché credono che l’innovazione tecnologica proceda in linea retta. Non lo fa. Oscilla, rimbalza, sbanda e traballa.

Che ci piaccia o no, le tecnologie sono parte della nostra vita. Anche chi non ha mai messo le mani su un computer, e non ha alcuna intenzione di farlo, si trova in un ambiente dove le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono un elemento fondamentale della cultura, della società e dell’economia. Se non vogliamo subirne passivamente le conseguenze, dobbiamo cercare di capirle. Il che non significa sprofondarsi in un faticoso, e spesso inutile, percorso di addestramento tecnico. Spero che questo libro possa essere utile anche a chi non è particolarmente interessato a usare l’internet, preferisce scrivere a penna che con un word processor, per fare i conti usa una qualsiasi calcolatrice e non uno spreadsheet... ma vuol farsi un’idea di ciò che accade, o può accadere, in un mondo che dispone di nuovi strumenti di raccolta e analisi delle informazioni – e soprattutto di comunicazione umana.

Non ripeto qui ciò che ho scritto in altri due libri, a proposito delle “quattro ondate della comunicazione”. In sintesi, tre cambiamenti hanno modificato profondamente il nostro modo di comunicare, di vivere e di pensare. Cinquemila anni fa la scrittura (e il calcolo matematico). Cinquecento anni fa la stampa. All’inizio del ventesimo secolo la contemporaneità (la rivoluzione era cominciata nel 1844 con il telegrafo e con l’alfabeto Morse – ma si è realizzata poi con il “telegrafo senza fili”, la radio, il telefono e la televisione). Ci sembra impossibile immaginare un mondo in cui una notizia potesse fare il giro del mondo in poche ore. Ma è una cosa ancora molto recente. Un secolo è un batter d’occhio nella storia dell’umanità. Eppure oggi siamo all’inizio di un cambiamento ancora più radicale, perché abbiamo uno strumento nuovo e diverso: la comunicazione elettronica interattiva. Una trasformazione nei sistemi di comunicazione umana che ha e avrà effetti importanti sulla società, sulla cultura, sull’economia. Ma il quadro è ancora mutevole e confuso. Lontano da un assestamento che possa dare orizzonti certi, riconoscibili e stabili.

Naturalmente le “ondate” si sovrappongono, non si annullano. Non siamo diventati afasici quando abbiamo imparato a scrivere. La stampa non ha annullato la corrispondenza personale. Il telefono, la radio e la televisione non hanno eliminato la stampa. La nuova situazione in cui stiamo entrando non eliminerà i “vecchi” sistemi di comunicazione, ma si integrerà in un sistema nuovo – che ci offre possibilità prima inimmaginabili ma, al tempo stesso, ritrova il senso e la ricchezza di valori antichi, che sembravano dimenticati nell’omogeneità dell’era industriale. (Vedi il capitolo 12).

Vent’anni fa si diceva che eravamo entrati nell’era dell’informazione. Vari autori ne diedero definizioni più o meno entusiastiche. Fra le più affascinanti c’è quella di Jean-Jacques Servan-Schrieber in Le défi mondial (1980).

Nell’era post-industriale la “finitezza” di sempre, che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si infrange. A portata degli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l’unica: l’informazione, la conoscenza, l’intelligenza.

Se osserviamo lo stato del mondo, vent’anni più tardi, possiamo chiederci se quello fosse un sogno poetico ma inattuabile. Non è così. C’è davvero “a portata degli uomini” quella “risorsa infinita”. Il problema è solo che non abbiamo ancora imparato a usarla.

Ma intanto le cose sono cambiate. Quando vent’anni fa si parlava della nuova società dell’informazione, nessuno aveva previsto due grandi cambiamenti. Uno è la diffusione dell’informatica; l’altro è l’internet. I calcolatori elettronici erano pochi, immensi, complessi, costosi. E non comunicavano fra loro. I primi “personal computer” sono nati all’inizio degli anni ottanta. Ma anche allora era difficile prevedere che avrebbero avuto la diffusione capillare che hanno oggi (anche se questo, per ora, è vero solo in una piccola parte del pianeta).

Vent’anni fa l’internet era già nata. C’erano già le prime reti elettroniche, i primi protocolli di comunicazione, le prime connessioni fra computer. Il protocollo TCP/IP, che ancora oggi è la struttura portante della rete, era stato definito nel 1978. Ma quasi nessuno lo sapeva – e nessuno aveva previsto lo sviluppo che la rete ha avuto quindici anni più tardi. L’era dell’informazione, come la si immaginava allora, è già finita; o meglio si è trasformata in qualcos’altro. Un sistema in cui non conta più la potenza di una singola macchina, ma la potenza della rete. Di conseguenza non conta più la centralizzazione, ma la diffusione dell’informazione e delle relazioni. (Vedi il capitolo 13).

Il sistema è troppo “nuovo” per poterlo definire con chiarezza. Molti lo guardano ancora con diffidenza. In un vecchio articolo (Negromanti e naviganti – giugno 1996) immaginavo una situazione non molto lontana nel tempo, ma di cui si è persa la memoria.

Un giorno, più di ottant’anni fa, in un paesino chiamato Borgospesso, Martina la Beghina andò furtivamente dal parroco. «Don Eusebio, disse, bisogna esorcizzare il Dottore: o è in preda al Demonio o si dedica alla negromanzia».
Don Eusebio era un saggio. Invece di preoccuparsi chiese spiegazioni a Martina, che era una notoria pettegola. Aveva visto il Dottore parlare col muro; da un oggetto misterioso appeso al muro usciva una voce.
Quella sera, durante la rituale partita a scopone, Don Eusebio ne parlò con il Dottore. Si scoprì che aveva il telefono.

Gli anni passano. Ormai non c’è più nulla di magico neppure in un telefono “senza fili” che si può portare in tasca e usare in qualsiasi posto. Ma quando si tratta dell’internet quell’atteggiamento non è ancora scomparso. Molti ancora sembrano pensare che si tratti di chissà quale “diavoleria”.

Ma non è solo un problema di tempi e di velocità. Il sistema è complesso e turbolento – e nulla può farci pensare che nei prossimi anni si semplifichi e si riduca a una “normalità” riconoscibile e abitudinaria.

Come scegliere, come orientarsi in questo quadro in continuo cambiamento? Non è facile, perché siamo ancora agli inizi e le variabili sono pressoché infinite. Ma per fortuna ci sono fattori di continuità (le relazioni umane) molto più stabili e affidabili di qualsiasi evoluzione tecnologica.

Nell’apparente disordine c’è un forte elemento di continuità che possiamo gestire e coltivare – e che si basa su caratteristiche fondamentali della natura umana. Potremmo chiederci se anche nelle “ondate della comunicazione” si accavallano fatti nuovi e valori antichi. La risposta è si. Per esempio l’internet, in un mondo apparentemente dominato dai mezzi “audiovisivi”, ha riaffermato il valore della parola scritta. E ripropone una cultura dello scambio, della diversità, della comunità, che era stata progressivamente attenuata dal predominio dei mezzi “a senso unico”.

Può sembrare difficile, in teoria, orientarsi nella molteplicità degli strumenti possibili e nell’incessante complessità dell’evoluzione. Infatti è quasi impossibile trovare una formula o uno schema generale che sia “valido per tutti”. Ma in pratica è assai più facile di quanto sembri, per ognuno di noi, trovare la rotta in un mare piuttosto mosso ma ben navigabile – se abbiamo la giusta dose di curiosità, pazienza e fantasia.

Insomma non dobbiamo spaventarci, né preoccuparci, della turbolenza e del cambiamento. Se ci aspettiamo un ordine che non c’è, una stabilità per ora irraggiungibile, possiamo sentirci disorientati. Ma se impariamo a vivere nel cambiamento, a riconoscerne il valore e l’utilità, soprattutto a non subirlo ma governarlo secondo le nostre esigenze – scopriamo che non è un problema. È una risorsa.






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