Questo testo è tratto dal capitolo 16 del Nuovo libro della pubblicità



La “quarta ondata” della comunicazione


L’infanzia di un mondo nuovo

 

 

Ciò che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.

Lao Ze, “La via del Tao e della Virtù”, V secolo A.C.


Nell’età post-industriale la “finitezza” di sempre,
che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si infrange.
A portata degli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l’unica: l’informazione, la conoscenza, l’intelligenza.

Jean-Jacques Servan-Schreiber, “Le Défi Mondial”, 1980


Due libri, quasi vent’anni fa, contribuirono a farmi nascere quella curiosità che mi ha portato a navigare oggi, quotidianamente, nelle reti “telematiche”.

Uscirono tutti e due nel 1980. Tutti e due, in qualche modo, profetici. Perché era inimmaginabile, a quell’epoca, la diffusa disponibilità delle tecnologie che oggi chiunque di noi può usare; e perché l’evoluzione che descrivevano sta cominciando solo oggi a realizzarsi davvero.

Uno è Le Défi Mondial, “La sfida mondiale”, in cui Jean-Jacques Servan-Schrieber spiega come le nuove tecnologie elettroniche aprano alla conoscenza umana spazi prima inimmaginabili; e come nel mondo in cui viviamo l’elemento fondamentale non siano più le risorse o gli strumenti produttivi, ma l’informazione, il pensiero umano. La risorsa inesauribile, che se bene applicata può sostituire tutte quelle risorse “materiali” di cui non abbiamo riserve sufficienti. Questa è tutt’altro che un’utopia, anche se finora non siamo stati capaci di tradurla in pratica.

L’altro è The Third Wave, “La terza ondata”, di Alvin Toffler. Ci sono tre “ondate”, spiega Toffler, nella storia dell’economia e della cultura umana.



Le “tre ondate” economiche e sociali

La prima è l’agricoltura. Una specie fatta di tribù nomadi, dedite alla raccolta e alla caccia, diventa stanziale: impara a coltivare la terra e ad allevare animali. Non più vagante alla ricerca del cibo o di un riparo provvisorio, ma capace di modificare l’ambiente, costruire case e città, preparare le risorse per il domani. Contemporaneamente impara a navigare, così nascono le esplorazioni, i commerci e gli scambi. Si inventano concetti del tutto nuovi, come la proprietà, il denaro, il commercio, il diritto.

La seconda è l’industria. Nascono le macchine; la produzione e il trasporto non sono più affidati alle braccia degli schiavi o agli animali da soma, ma alle macchine. Nelle fabbriche si producono beni in grandi quantità e a prezzi sempre più bassi (tutto diventa più omogeneo, più standardizzato). Il destino degli uomini, delle imprese, delle nazioni non è più determinato dalla proprietà della terra, ma dal controllo delle tecnologie e dei mezzi di produzione.

La terza è l’informazione. L’epoca in cui viviamo. Ciò che conta non è più il possesso delle risorse, né delle macchine per trasformarle. È la conoscenza. Il potere è nelle mani di chi ha maggiori conoscenze, o può controllare il flusso delle informazioni. L’occupazione, cioè il lavoro, che prima era prevalentemente agricolo, poi fu soprattutto industriale, oggi è prevalentemente nel “terziario”. Sono sempre meno numerosi gli agricoltori e gli operai; sempre più numerose le persone che si occupano di rapporti umani e di scambio di informazioni. Non ha più senso rappresentare il lavoro con un simbolo come “falce e martello”.

Qualcuno definisce questa terza epoca come “postindustriale”. Il termine mi sembra improprio, perché l’industria si trasforma ma non scompare. Con l’automazione potranno esserci sempre meno operai; le esigenze ambientali richiedono cambiamenti profondi; ma l’industria rimane un elemento portante della società e dell’economia.

Sbaglia anche, secondo me, chi pensa che questo sia un fenomeno che riguarda soltanto i “paesi industrializzati”. È vero che gran parte dell’umanità è ancora dedita all’agricoltura; ma non c’è angolo del mondo in cui la “terza ondata” non sia in arrivo, mescolata (purtroppo) con fenomeni di affrettata, spesso perversa, industrializzazione. Anzi credo che nel cosiddetto “terzo mondo” l’era dell’informazione possa essere ancora più importante che in Europa (come diceva già allora Servan-Schreiber, e come spiega John Naisbitt nel suo interessante libro Global Paradox). Ma questo è un argomento così complesso che meriterebbe un libro a parte...

Le tre ondate non si annullano, si sovrappongono. Nelle ere successive rimane l’agricoltura (se no moriremmo tutti di fame) e nell’era dell’informazione rimane l’industria (è necessario continuare a produrre gli oggetti di cui ci serviamo). Ma l’elemento dominante è cambiato.

Il meccanismo accelera i tempi, anche se i grandi cambiamenti non avvengono in periodi brevi. La prima ondata durò dieci millenni. La seconda è durata due secoli, se la facciamo partire dalla nascita delle macchine a vapore, oppure sette se teniamo conto degli sviluppi tecnici e industriali precedenti. La terza... è ancora presto per poterne valutare l’evoluzione.



Comunicare humanum
(le quattro “ondate” della comunicazione)

La comunicazione è sempre stata un elemento fondamentale della natura umana. Questo è vero anche per molte altre specie; in sostanza per ogni forma di vita. Ma è particolarmente vero per la nostra specie e la nostra cultura. Nulla di “umano” è pensabile senza scambio di informazioni, di pensieri, di emozioni: senza l’uso della parola.

Ci sono già state tre “ondate“ nella comunicazione. Ora siamo all’inizio della quarta. Come le “ondate” economiche e sociali spiegate da Toffler, anche queste non si annullano, ma si sovrappongono; e anche queste si succedono a ritmo accelerato. Le interazioni fra i due fenomeni sono abbastanza complesse; anche se non lo sono, qui per semplicità li tratterò come se fossero separati.

Il primo grande cambiamento nella comunicazione risale a più di cinquemila anni fa. è la scrittura. Prima ideografica (in Cina e in Giappone lo è ancora), poi fonetica. Ciò che era affidato alla tradizione, al folclore, ai canti e alle leggende, si consolida. Il pensiero può essere trasferito, conservato, organizzato. Norme, leggi, costumi diventano “incisi nella pietra”, o arrotolati nei papiri. Si crea una nuova oligarchia, il potere della conoscenza; chi sa leggere e scrivere è il saggio, il dotto, che anche senza armi né denaro può influire sulle scelte dei potenti, regolare gli scambi, definire i modi e i contenuti della cultura.

Alcuni “nostalgici” pensano che con la diffusione della scrittura siano andati perduti valori culturali e umani che erano propri della tradizione “orale”. Ci sono valori profondi in questa tesi; ma non si può tornare indietro. Oggi anche la ricerca di quei valori si traduce, necessariamente, in libri o altri testi scritti.

Cinquecento anni fa un veneziano, Aldo Manuzio (utilizzando l’innovazionme tecnica messa a punto cinquant’anni prima da Johann Gutenberg) fa nascere una nuova attività: l’editoria. Comincia così la “seconda ondata” della comunicazione. Prima i libri; poi (già nel Seicento) le riviste periodiche; poi i quotidiani. La parola può essere riprodotta, meccanicamente, all’infinito. Anche se (fino a questo secolo) il numero di persone che sapevano leggere e scrivere era ancora piccolo, l’informazione non è più il privilegio di chi può disporre di un copista; né più affidata all’arbitrio con cui quel copista, per ignoranza o per intenzione, può modificare il testo originale.

Cento anni fa Guglielmo Marconi scopre come usare le onde hertziane. Dal “telegrafo senza fili”, nei cinquant’anni seguenti, nascono prima la radio, poi la televisione. La “terza ondata” della comunicazione porta qualcosa che nessuno, prima, poteva immaginare: la contemporaneità. Ciò che accade in Cina può essere saputo in Italia (se non c’è qualche censura a impedirlo) pochi istanti dopo. Il mondo è diventato piccolo. Nel secolo scorso nasce anche un altro nuovo strumento, il telefono, che gradualmente si estende e contribuisce alla velocità di scambio.

Oggi siamo così abituati all’istantanea onnipresenza dell’informazione che ci è difficile immaginare un mondo diverso: ma così non è mai stato, per il 99,99 per cento della storia dell’umanità. Qualcosa di profondo e irreversibile è avvenuto. La cultura umana non potrà mai più essere “quella di prima”.

Ma rimane un problema: l’informazione è a senso unico. Pochi la producono, molti la ricevono. Chi ha le leve dell’informazione controlla la conoscenza. Il resto dell’umanità la subisce.

Da pochi anni, è nato qualcosa di completamente nuovo. Con la comunicazione elettronica interattiva (quella che tutti ormai chiamano internet) è possibile, per ognuno di noi, cambiare il rapporto. Diventare attivi; collocarci in un sistema in cui scegliamo come e dove trovare informazioni; e dove non siamo costretti solo ad ascoltare, ma possiamo anche parlare. Se vogliamo, possiamo far sentire la nostra voce come il più potente dei mass media. Così comincia la “quarta ondata” della comunicazione. Dove ci porterà, è difficile prevedere; ma le possibilità sono affascinanti.


 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  dicembre 1997
 



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