Il potere della stupidità
Kali

La rete delle libertà
e il potere della stupidità

 
Intervista di Alessandro Biancardi a Giancarlo Livraghi
su Punto Informatico – 1° giugno 2005



«Il concetto di copyright, così come lo vogliono interpretare certi grandi e retrogradi interessi, è un’anticaglia superata e irrecuperabile». E ancora: «È insensato che possa esserci alcuna proprietà privata (che sia di imprese, governi o altri poteri) dei sistemi e degli strumenti di informazione e conoscenza. Può essere proprietà di qualcuno un singolo giornale, o un’emittente radio o televisiva, o un sito web, eccetera. Ma non l’informazione e la comunicazione in generale. Ogni controllo, censura o monopolio è inaccettabile».

A esprimere, senza tema di fraintendimenti, siffatti concetti non è una voce che strilla dai centri sociali ma quella di Giancarlo Livraghi studioso da sempre attento ai fenomeni tecnologici e ad i suoi effetti sulla società. Dal suo sito, gandalf.it – un cutter sicuro con il quale veleggia da anni sulle acque mai calme della rete – trasudano riflessioni e teorie su questo mondo che non lesina contraddizioni. È autore di numerosi libri, parte dei quali è reperibile sul suo sito, l’ultimo dal titolo emblematico e capace di affrontare un tema scomodo: Il potere della stupidità. È insomma uno che è abituato a vederci chiaro e ad andare a fondo. Partendo dal lessico. «L’internet si scrive con la i minuscola», sostiene: «Credo che sia sbagliato trattare la parola come se fosse un “nome proprio”. E questa, ovviamente, non è una banale questione di grammatica – si tratta di capire che cos’è e come funziona la rete».


Lo abbiamo un po’ stuzzicato e lui ha risposto così.


Punto Informatico: Insomma questa storia dei diritti d’autore è proprio una brutta storia?

Giancarlo Livraghi: Su questo argomento non sono “obiettivo” e non ho alcun desiderio di diventarlo. Sono schierato, fino al rischio di essere fazioso, dalla parte della libertà. Non basta superare il concetto restrittivo di copyright, è importante anche difendere i diritti umani – in particolare la libertà di pensare e di comunicare. Bisogna lavorare sul concetto di opensource, che non riguarda solo le tecnologie (o la musica). Riguarda anche, in generale, la cultura, l’informazione, il dialogo, la conoscenza. Abbiamo il diritto (spesso il dovere) di essere in disaccordo con ciò che qualcuno dice o scrive – in rete come con qualsiasi altro sistema. Ma, per quanto sbagliata si possa considerare una notizia, o discutibile un’opinione, ognuno deve avere il diritto di esprimersi come vuole.


PI: ...ma circola anche tanta robaccia...

GL: È vero che bufale e opinioni insostenibili circolano in rete (come nei mass media centralizzati). La soluzione non è reprimerle ma imparare a distinguere, controllare, informarci meglio. In questo la rete, per la sua infinita varietà, è uno strumento particolarmente interessante.


PI: Oggi, forse ci siamo già abituati, ma è tutto più semplice con l’internet... tutto è a portata di mano, a qualsiasi domanda la rete ha una risposta... magari non è quella giusta ma c’è...

GL: Rimango convinto che “se non ci fosse l’internet bisognerebbe inventarla”. Credo anche che se non fosse stato sviluppato, in certe specifiche circostanze, il protocollo TCP/IP si sarebbe inventato qualcos’altro per ottenere lo stesso risultato (infatti c’erano diversi progetti, di cui qualcuno in Europa, che andavano in quella direzione). Se Tim Berners-Lee non avesse sviluppato, vent’anni dopo, il sistema web, qualcun altro avrebbe fatto qualcosa di simile (l’idea era stata definita varie volte – per esempio nel progetto Memex del 1945 e in Xanadu nel 1965 – e circolavano pensieri di quel genere anche cent’anni prima – vedi la cronologia in appendice a L’umanità dell’internet – e un recente articolo sugli sviluppi negli ultimi dieci anni).


PI: ...e non mancano neppure i malanni...

GL: Per esempio spam, truffe e invasività. Ma – almeno finora – queste fastidiose infezioni non ne hanno bloccato lo sviluppo, che continua a essere veloce (nel 2004 il numero di host internet nel mondo è aumentato del 36% rispetto a un anno prima, in Europa del 60% – vedi nella sezione dati). La diffusione, però, è tutt’altro che “globale”. Rimangono grandi differenze fra i paesi più evoluti e quelli in cui l’attività nell’internet è molto scarsa. Circa nove decimi dell’umanità ne sono ancora praticamente esclusi. Ci sono estese parti del mondo in cui la libertà della rete è fortemente repressa. Anche dove è libera, si è tentato in mille modi di domarla, centralizzarla, ridurla all’obbedienza. Finora nessuno ci è riuscito, ma è meglio stare in guardia, perché è probabile che i tentativi continuino.


PI: Eppure la quantità di informazioni aumenta sempre più ma non per questo è più semplice informarsi...

GL: È un paradosso, infatti. Il patrimonio di informazioni e conoscenze è ingestibile. Dobbiamo saper scegliere, e spesso non è facile capire come. La soluzione non è, ovviamente, un ritorno a culture chiuse, limitate, dogmatiche, oscurantiste. Dobbiamo imparare a gestire la molteplicità. E, con una adeguata dose di curiosità, fantasia e buon senso non è impossibile. Questa è una delle più affascinanti e fertili contraddizioni dell’epoca in cui viviamo.


PI: Se le dico “monopoli”, lei a cosa pensa?

GL: Per quanto riguarda i monopoli... credo che non ci debbano essere concessioni, né benevolenze o tolleranze. I monopoli sono un danno, senza eccezioni né ambiguità. In tutte le cose... ma specialmente su un terreno delicato e fondamentale come quello dell’informazione e della conoscenza. Nessuno può essere “proprietario” dell’alfabeto, della lingua, delle note musicali – e perciò neppure degli altri sistemi che usiamo per comunicare.


PI: Allora che cosa diciamo al Signor Legislatore?

GL: Meglio lasciare la parola a chi ha competenze specifiche in materia di legge e giurisprudenza. Ma ci sono due concetti fondamentali.

Uno è che (come insegna il “rasoio di Occam”) è inutile ed è nocivo fare norme specifiche là dove bastano quelle generali.

L’altro è che le esigenze di controllo (come la lotta contro il terrorismo, la difesa dei “minori”, eccetera) non possono e non devono essere pretesti per ridurre la libertà di informazione e comunicazione. Ho scritto molte (forse troppe) cose su questo argomento, che si trovano nel sito gandalf.it – sezione libertà di parola.


PI: Il suo ultimo libro, Il potere della stupidità, analizza con acume un aspetto dell’essere umano poco studiato. Ma che cos’è la stupidità? In breve una definizione?

GL: Questo libro non è un tractatus logico-philosophicus. Non ho cercato di dare una definizione formale della stupidità. Sarebbe stata un’impresa complessa e ne sarebbe risultato un libro noioso (nonché inutile rispetto allo scopo, che non è definire la stupidità, ma contrastarne il potere).

Mentre ci sono scarsissimi studi sulla stupidità, scorrono fiumi di inchiostro sull’intelligenza – senza arrivare a una definizione condivisa e chiara di che cosa sia. Possiamo dire che la stupidità è il contrario dell’intelligenza, senza addentrarci in sottigliezze logico-lessicali su come si possano definire l’una e l’altra – ma questa rimane una tautologia che non ci aiuta a capire il problema.

In quelle parti del libro in cui mi serviva una definizione della stupidità, ho usato quella di Carlo Cipolla, che ha il notevole vantaggio di basarsi sugli effetti pratici del comportamento anziché su una disquisizione teorica. Ma il suo brillante lavoro (come quasi tutte le cose dette o scritte su questo argomento) ha un limite: quello di considerare gli stupidi come separati dagli altri. Perciò ho introdotto (con il consenso di Cipolla) un corollario... per tenere conto del fatto che esiste in ognuno di noi una componente di stupidità. Cioè, anche se è fastidioso ammetterlo, siamo tutti un po’ stupidi.


PI: La stupidità è sovente qualcosa di più che “il contrario dell’intelligenza”, infatti, come lei scrive, anche le persone intelligenti possono essere stupide. Non solo, ma “in ognuno di noi c’è un fattore di stupidità che è sempre maggiore di quello che pensiamo”. Ci illumina?

GL: Il potere della stupidità è enorme. È la più grande forza distruttiva nella storia dell’umanità – e abbiamo conferme quotidiane di quanto sia imperversante ai nostri giorni. Non è eliminabile, perché fa parte della natura umana. Ma non è invincibile. L’importante è cercare di capirla, di accorgersi della nostra stupidità (prima ancora di quella degli altri) e così imparare dai nostri errori. Il più stupido degli stupidi è chi non si accorge di esserlo – o, peggio ancora, chi crede di non sbagliare mai. La stupidità è un argomento imbarazzante ed è diffusa la tendenza a evitare di affrontarlo (magari cercando di appiccicare l’etichetta di stupido a qualcun altro, specialmente se non condivide le nostre opinioni). È meglio, invece, avere il coraggio di guardarla in faccia: più impariamo a conoscerla e capirla, meno ne siamo contagiati.


PI: Anche le tecnologie sono stupide?

GL: Da molti anni mi sento preso fra due fuochi. Chi non ha confidenza con le tecnologie mi considera un tecnomane. Chi crede all’onnipotenza della tecnologia mi considera un tecnofobo o un luddista. (Vedi un articolo che ho scritto per Punto Informatico).

Naturalmente le tecnologie, in sé, non sono stupide, né intelligenti. Sono meccanismi che svolgono un compito, secondo le istruzioni di chi le ha programmate. Se siamo ossessionati dalla sempre più fastidiosa stupidità di tecnologie inefficienti non è “colpa” delle macchine, ma di chi le ha male impostate o le usa in modo improprio. Alla fine del capitolo 19 di Il potere della stupidità c’è un ampio elenco di testi pubblicati su questo tema – come, per esempio, La stupidità delle tecnologie.





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