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Cenni di storia dei sistemi
di informazione e comunicazione



Il “passaparola”

Se ne parla poco. Lo si dà per scontato – o non lo si prende affatto in considerazione. Ma il “passaparola”, la rete infinita e difficilmente verificabile dei contatti personali, rimane uno dei più potenti ed efficaci strumenti di comunicazione e di informazione.

Non è analizzabile in termini numerici, se non per il dato più semplice: la numerosità della popolazione. Ma se ne può tracciare l’evoluzione fin dalle origini della nostra specie (anche prima, perché forme di dialogo e di scambio esistono non solo nei primati, non solo nei mammiferi o nei vertebrati, ma in ogni creatura vivente).

Non è concepibile alcuna cultura umana senza comunicazione. Si perdono nelle ombre remote della preistoria anche le origini dei sistemi di comunicazione a distanza – che fossero tamburi, segnali di fuoco o di fumo, gesti o suoni modulati come quelli che si scambiano anche altre specie animali.

Ma una delle caratteristiche fondamentali del genere umano è la ricchezza e la complessità del suo linguaggio – che è e rimane fondamentalmente “lingua parlata”. Nel palese e vistoso dominio dei mass media siamo portati un po’ troppo facilmente a sottovalutare il profondo valore, e l’enorme potenza, del dialogo individuale.

Se questo è vero fin dalle origini della specie, un cambiamento importante c’è stato. E rispetto alla storia dell’umanità è molto recente. Nel diciannovesimo secolo ci sono state due innovazioni fondamentali. Il telegrafo (1844) e il telefono (1877) di cui riparleremo più avanti. In poco più di trent’anni (un tempo brevissimo nella storia) si sono create le premesse per dare alla comunicazione umana possibilità che prima non aveva mai conosciuto. Dallo spazio del villaggio o del quartiere si è passati a una dimensione che non è “globale” (estese parti del mondo sono chiuse, ancora oggi, da barriere tecniche, politiche o culturali) ma ha assunto dimensioni mai conosciute prima.

Naturalmente la comunicazione privata non è solo verbale. Da più di cinquemila anni si comunica anche con la parola scritta. Esistevano servizi postali organizzati nel settimo secolo a.C. in Egitto e in Mesopotamia, che più tardi si estesero nell’impero romano (nella stessa epoca c’erano sviluppi analoghi in Cina). Ma erano riservati alle autorità pubbliche.

I primi servizi disponibili ai privati apparvero in Europa nel quattordicesimo secolo. Nel Cinquecento c’erano reti di corrieri con il cambio dei cavalli alle “stazioni di posta”. Ma solo nel diciannovesimo secolo, con lo sviluppo delle ferrovie, si organizzò il sistema postale come lo conosciamo oggi (pare che l’agenzia di informazioni Havas, nel 1840, usasse ancora i piccioni viaggiatori). I primi francobolli furono emessi in Inghilterra nel 1840. In Italia nel 1850 (Lombardo Veneto) e 1851 (granducato di Toscana e regno di Sardegna). Un’organizzazione internazionale, con l’ambizioso nome di Unione Postale Universale, fu costituita nel 1874.

Oltre allo sviluppo della posta e del telegrafo, altre evoluzioni delle comunicazione scritta derivano dalla nascita della dattilografia nel 1874 e dei vari sistemi di fotocopiatura che seguirono all’invenzione della fotografia nel 1839. E poi, nella seconda metà del ventesimo secolo, la diffusione di telex e telefax (e della posta elettronica, di cui parleremo più avanti).

Il sistema telex per trasmettere testi scritti, nato negli anni ’20, ebbe larga applicazione molto più tardi (arrivò al massimo di diffusione nel 1985). Rispetto ai sistemi di oggi era lento (circa 80 parole al minuto) ma era semplice ed efficiente. Non aveva limiti di lunghezza: alcuni telex erano brevissimi, altri riempivano metri di carta.

Il “telefacsimile”, che siamo abituati a chiamare “fax”, è uno fra i tanti esempi di come possa essere lungo e tortuoso il percorso fra un’invenzione e la sua realizzazione pratica. Una macchina per la trasmissione di immagini era stata concepita da Alexander Bain in Inghilterra nel 1843 e sviluppata da Giovanni Caselli in Italia nel 1862. Ma il primo “telecopiatore” moderno fu realizzato dalla Xerox cent’anni dopo, nel 1966 – e i telefax cominciarono a diffondersi intorno al 1980 partendo dal Giappone.

Un altro cambiamento profondo è stato lo sviluppo della mobilità fisica. I mezzi di trasporto hanno contribuito a cambiare il nostro concetto di distanza. All’inizio del diciannovesimo secolo cominciò lo sviluppo delle ferrovie. Poco prima del 1900 nacque l’automobile – e poco dopo l’aeroplano.

I fratelli Wright si alzarono di pochi metri da terra nel 1903. La posta aerea nacque nel 1918. La trasvolata atlantica di Lindbergh avvenne nel 1927 e quella di Balbo nel 1930. C’erano servizi di trasporto passeggeri negli anni ’20, ma la diffusione dei viaggi aerei si realizzò progressivamente dopo la fine della seconda guerra mondiale – ed ebbe una forte accelerazione con l’introduzione dei jet a reazione a partire dal 1958 e dei jumbo con grandi capacità di carico dal 1970.

Una mobilità così estesa e veloce era una cosa sconosciuta in tutta la storia precedente. Oggi ci è difficile immaginare come fosse il mondo quando per raggiungere paesi lontani ci volevano settimane o mesi di rischiosa navigazione – o faticosi viaggi terrestri per interminabili vie carovaniere. E senza una radio o un telefono per chiedere soccorsi o restare in contatto con chi era rimasto a casa.

Contemporaneamente i mezzi di comunicazione individuale (anch’essi arrivati nel ventesimo secolo, un po’ per volta, a un’ampia diffusione) hanno aperto possibilità prima inimmaginabili di dialogo a distanza. La coincidenza (tutt’altro che casuale) dei due fenomeni ha avuto un effetto di reciproca moltiplicazione. Questo è uno dei fatti fondamentali per cui la cultura umana di oggi è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Ma c’è anche un fattore profondo di continuità: abbiamo un’accresciuta potenza, ma non una mutata natura, del dialogo personale e del “passaparola”.

In ogni analisi storica e culturale si tende sempre a badare ai “grandi eventi”, ai fenomeni “di massa”, alle tendenze più apparenti e dominanti. La realtà è formata in gran parte da un infinito tessuto di “piccoli eventi” assai meno vistosi. Lo stesso accade con i sistemi di comunicazione.

La potenza del “passaparola” non diminuisce con l’abbondanza dei “mezzi di massa” e degli strumenti di comunicazione. Semmai aumenta, perché oltre all’incontro personale (sempre insostituibile) si può diffondere più velocemente con il telefono, con la “posta elettronica”, con lo scambio di “messaggini”, con le chat, eccetera (per non parlare di sistemi un po’ dimenticati, ma non defunti, come la posta “tradizionale”, il fax o le reti di “radioamatori”).

L’incrocio continuo e infinito dei dialoghi personali, anche quando è (o sembra) un’eco passiva delle tendenze tracciate dai mass media, rimane un fattore fondamentale nei sistemi di comunicazione. Sarebbe un grave errore trascurare l’efficacia e la potenza. In ogni forma di comunicazione umana. Personale o collettiva, culturale o politica, sociale o commerciale. Ed è criminale cercare di reprimerla, come è perverso e sciocco tentare di ridurla all’obbedienza o all’omogeneità con i sistemi culturali dominanti.

In questo contesto è opportuno anche rivedere e approfondire il concetto di opinion leader. Siamo abituati a pensare che i “formatori di opinione” siano soltanto quelle persone che occupano una posizione di autorità, o che hanno voce e spazio nei sistemi di comunicazione, o che per una varietà di motivi sono più o meno note o “famose”. Ma il sistema non è così banale. Spesso una posizione di “autorevolezza” è attribuita a persone del tutto ignote alle cronache, ma cui altri individualmente attribuiscono un ruolo di competenza su qualche specifico argomento.

Se tracciamo un’ipotetica linea di divisione nel mondo, fra “abbienti” e “non abbienti” di informazione e comunicazione, l’Italia si colloca ovviamente nel territorio dei “ricchi”. Con parecchie distonie, come vedremo più avanti. Ma non perché manchino gli strumenti a chi sa e vuole comunicare.

Prima di esaminare i mezzi di informazione e di comunicazione può essere utile valutare uno strumento di mobilità fisica. Un elemento di facile misurazione e confronto è l’automobile. Questo è il numero di “autoveicoli” circolanti, in rapporto alla popolazione, in 11 paesi dell’Unione Europea più Stati Uniti, Canada e Giappone.


Autoveicoli in 14 paesi
Percentuali su popolazione
Fonte: dati pubblici nazionali raccolti da Istituto De Agostini

autoveicoli

L’Italia non è il paese più “motorizzato” del mondo, ma ha una densità di automobili fra le più alte – superiore anche a quella di paesi con un reddito e un tenore di vita più elevato. È noto che gli italiani viaggiano molto, anche in aereo e con altri mezzi, per turismo, per lavoro o per vari motivi personali o di gruppo. In fatto di “mobilità fisica” l’Italia è molto più avanzata che in altri settori.

Se una delle misure di intensità degli scambi è la propensione a viaggiare, anche fuori dai propri confini, un’altra è la frequenza di visita da parte di stranieri. Secondo i dati pubblicati dall’Economist l’Italia è il quarto paese del mondo per numero di turisti (dopo la Francia, la Spagna e gli Stati Uniti – seguita da Gran Bretagna e Cina). Anche questo arricchisce le nostre possibilità di dialogo, di incontro, di scambio culturale.

Per quanto complesso possa essere l’incrocio delle varie risorse, e variabili le fasi economiche e culturali, non ci sono certo negate le possibilità di viaggiare e di comunicare, di usare il “passaparola” in tutte le ampiezze rese possibili dai moderni strumenti di comunicazione. Se in altri settori possiamo essere o apparire più o meno “dotati”, nel mondo fondamentale del dialogo personale siamo fra i più abbondantemente provvisti di strumenti e risorse. Compresa, forse, una certa loquacità... ma l’immagine diffusa nel mondo degli italiani “chiacchieroni” è più un cliché che un fatto significativo.




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