onda
Le onde dei pensieri


settembre 2005


Cellulari
risorsa o malanno

Intervista di Antonio Murzio a Giancarlo Livraghi
su Gente – 8 settembre 2005



Considera la diffusione del telefono cellulare una forma di estensione della democrazia o anche per la telefonia mobile vede il rischio di un divario digitale (lei, se non ricordo male, non usa il termine “digitale” ma “culturale”)?

La telefonia mobile esiste da quasi sessant’anni, le prime licenze in Italia sono state rilasciate trent’anni fa, ma l’epidemia di “cellulite” si è scatenata negli ultimi dieci anni. E nessuno l’aveva prevista... come accade quasi sempre con i “fenomeni” di questa specie.

Perché una tecnologia si diffonda non basta che sia disponibile, bisogna anche che trovi radici nei comportamenti delle persone – cioè nella cultura umana. Il telefono cellulare era, all’origine, uno strumento comodo e utile, ma ora si è trasformato in un’ossessione – una fabbrica di obblighi, di fastidi e di invasività. Tutto questo, nel bene o nel male, non dipende dalle risorse tecniche, ma dal modo in cui le usiamo.

Tutti gli strumenti di comunicazione (se usati in modo intelligente, consapevole e interessante) possono contribuire allo sviluppo della società civile e della cultura. Ma non credo che la telefonia mobile abbia un particolare valore per l’estensione della democrazia. È uno strumento in più per il “passaparola” – e, come tale, può aiutare a diffondere informazioni utili e commenti interessanti, come un’infinità di banali sciocchezze.

È così largamente diffusa in Italia che il “divario” ormai è molto limitato. Sono altre (e, mi sembra, molto più importanti) le risorse che hanno ancora, purtroppo, una diffusione squilibrata, con preoccupanti conseguenze di privazione e di appiattimento culturale. È particolarmente desolante la scarsa diffusione della lettura di cose un po’ più impegnative di un sms, un mms o una scritta su una maglietta.


Il telefono cellulare ha fatto nascere nuove modalità espressive (sms, mms. etc.) soprattutto tra i giovani. Per lei, questo comporta rischi di impoverimento culturale in termini di linguaggio? se sì, quali?

Non credo che l’impoverimento culturale e la banalità del linguaggio siano derivati, in passato, principalmente dalle bizzarrie linguistiche dei telegrammi o degli annunci economici. Anche un sms, se qualcuno sa scrivere, può essere una piccola opera letteraria. I sistemi di informazione e di comunicazione possono aiutare la cultura (o nuocere, se usati male). Ma ne sono lo strumento, non l’origine.

La lingua della fretta e della sciatteria è una desolante debolezza culturale, che imperversa un po’ dovunque. Se vogliamo proprio dare la colpa a un “mezzo”, il primo a cui pensare è quell’abominio di manierismi che imperversa in televisione (cui purtroppo si accoda un po’ troppo spesso anche la stampa). Ma sono importanti la scuola, la famiglia, le amicizie, il “vicinato”, gli ambienti in cui si vive... insomma i rapporti umani.


Perché i ragazzi, anche giovanissimi, sono più esperti degli adulti nell’utilizzo delle numerose funzioni che ormai i cellulari offrono e allo stesso tempo non riescono a scartare un lecca-lecca?

Uno sviluppo deforme delle tecnologie sta portando, da parecchi anni, a una perversa degenerazione della funzionalità e dell’ergonomia. Sembra che stia succedendo anche all’industria alimentare... capita a tutti, credo, di avere qualche difficoltà ad aprire astucci caparbiamente sigillati.

Il problema è molto più grave nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dove si accumulano funzioni intricate e spesso inutilmente complesse. Di questo passo ci proporranno di usare un radar per fare il caffè o un’astronave per andare a berlo al bar.

Imparare a usare congegni complicati può essere, qualche volta, un esercizio divertente (quando non si ha qualcosa di più interessante da fare). Ma se cresceranno generazioni incapaci di comunicare senza un cellulare, di fare un’addizione senza una calcolatrice o di trovare una strada senza un posizionatore satellitare... saranno a rischio non solo la civiltà e la cultura, ma anche la sopravvivenza fisica e mentale del genere umano.




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