Scandali giugno 2006 |
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it |
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È noioso, fastidioso, deprimente dover ritornare, ancora una volta, sul problema delle invadenze e violenze che si esercitano con il pretesto della repressione (raramente prevenzione) di attività criminali o comunque illecite. Alcune inchieste in corso, che coinvolgono persone di qualche notorietà, hanno portato largomento allonore delle cronache. Ciò che stupisce, come sempre, è lo stupore. Perché improvvisamente sembrano sorprendenti cose che succedono da decenni (per certi aspetti, da secoli) e che non era difficile scoprire? Passato lennesimo polverone, quanti di questi guasti saranno eliminati e quanti continueranno a riprodursi? È probabile che queste domande rimangano, di nuovo, senza risposta. Ma intanto ci affligge, e si inasprisce, un duplice problema. Da un lato una società che crede sempre meno nella correttezza, considera sempre più normali o tollerabili infinite forme di corruzione e di abuso. Dallaltro un sistema repressivo che troppo spesso infierisce su chi non merita di essere perseguitato. Due spinte solo apparentemente contrapposte, che in realtà contribuiscono a un perverso circolo vizioso. Due mesi fa avevo pubblicato un breve articolo a proposito di violenze e repressione. In cui constatavo che, dopo il fallimento di tante inutili e perverse crociate, finalmente alcune indagini andavano a incidere davvero su qualche caso di violenza e sfruttamento di minori (e anche di analoghe vicende in cui le vittime non sono bambini o adolescenti, ma non per questo gli abusi sono perdonabili). Chissà se mai avremo notizie chiare sullesito di quelle indagini. E chissà se resteranno casi isolati o se ci sarà unazione più sistematica (non solo giudiziaria, ma anche sociale e civile) per incidere più seriamente sulle radici del male. Ma intanto, se a quei casi va riconosciuto il merito di essere un passo nella direzione giusta, i soprusi e le invasività continuano inutili o devianti rispetto alla realtà del problema, feroci nei confronti di migliaia di innocenti o di persone che, anche se hanno commesso qualche irregolarità, non meritano di essere coinvolte in vicende molto più gravi. Ci si indigna, ci si agita, si protesta quando unintercettazione o una fuga di notizie mette in imbarazzo una persona importante o per qualsiasi (spesso futile) motivo considerata famosa. Ma rimane ignorato il fatto che soprusi più gravi sono stati, e continuano a essere, inflitti a migliaia di cittadini di cui nessuno si occupa perché non frequentano i salotti del potere e dellinformazione dominante. Il sequestro di un computer è solo uno dei tanti abusi che vengono commessi. Ma è un buon esempio di come siano troppo spesso trascurati i diritti dei cittadini. Non solo di quelli che hanno davvero commesso qualche scorrettezza, ma per diritto sono innocenti fino a prova contraria. Ma anche di quelli che non sono sospettabili di alcuna colpa o sono solo marginalmente e indirettamente coinvolti in una vicenda che non li riguarda. Il 19 giugno 2006, nellambito delle indagini sul gioco del calcio, nella redazione romana del Corriere della Sera sono stati sequestrati alcuni contenuti del computer della giornalista Fiorenza Sarzanini. La cosa ha suscitato unimmediata onda di in indignazione, compresi scandalizzati proclami delle associazioni di categoria, appelli al Presidente della Repubblica, un comunicato sindacale del comitato di redazione... eccetera. Unipotesi immaginaria, ma piuttosto credibile, è che prima di compiere lispezione qualcuno abbia detto «attenti ragazzi, questa è una giornalista, sarà meglio seguire una procedura corretta».
Infatti non cè stata, che si sappia, unimprovvisa e violenta irruzione di uomini armati negli uffici del Corriere. E dalle notizie risulta che non è stato sequestrato il computer, ma sono state fatte copie dei file. Chissà che putiferio si sarebbe scatenato se fosse stato usato in quelloccasione il metodo seguito in tante altre. Come è noto, è tecnicamente possibile, e legalmente corretto, fare copie dei documenti rilevanti (o, alloccorrenza, di un intero hard disk) senza privare una persona del suo computer (o addirittura, come è capitato più di una volta, rendere inservibile un server su cui si appoggiano le attività di persone e organizzazioni del tutto estranee alla vicenda in esame). Ma il fatto è che il metodo più ragionevole, in molti casi, non viene applicato. E si ricorre alla soluzione più brutale: il sequestro del computer. Trascurando il fatto che la vittima viene privata di uno strumento fondamentale di lavoro e di comunicazione e molto probabilmente il danno si estende anche ad altre persone che non sono in alcun modo coinvolte nellindagine. I magistrati inquirenti e le forze dellordine sono così ignoranti e incompetenti da non sapere che il sequestro del computer è inutile e improprio e che esistono procedure più corrette ed efficaci? Questo, forse, poteva essere pensabile in qualche caso dieci o ventanni fa. Oggi una tale ignoranza è inconcepibile. Ma si continua a usare quel metodo sciagurato. Un ennesimo caso di quel genere è stato pubblicato online il 12 maggio 2006. Ha suscitato, in rete, unondata di indignazione. Centinaia (probabilmente migliaia) di commenti e di messaggi, discussioni in varie liste, dibattiti e polemiche. Proposte di mobilitazione collettiva, di manifestazioni di protesta, eccetera. Il furore è durato pochi giorni. Poi tutto (come in tanti altri casi precedenti) è caduto nel dimenticatoio. La storia è molto simile a tante altre. Alcune di dieci o più anni fa, altre più recenti. Il tempo passa, luoghi e circostanze cambiano, ma la scena si ripete come se fosse scritta nello stesso copione. Improvvisa irruzione allalba, come se si trattasse di aggredire un covo di terroristi. Furibonda ispezione di tutta una casa, compresa la cantina. Sequestro di un computer che forse sarà restituito fra cinque o sei mesi. Il tutto (dice la vittima) per un singolo file sospetto che non sapeva neppure di avere. Come spesso accade, su quel caso specifico mancano informazioni precise. Non possiamo sapere se la vittima sia innocente, come dice, o abbia intenzionalmente prelevato materiale incriminabile. Se di quel caso sappiamo poco, è cosa nota che in uninfinità di situazioni analoghe le vicende si sono concluse con assoluzioni in istruttoria o con condanne miti per comportamenti più o meno criticabili, o in qualche modo illegali, ma totalmente estranei a ogni forma di violenza, sftruttamento o abuso contro persone di qualsiasi età. Anche in questo caso la sorpresa è sorprendente. Perché si è scatenata unimprovvisata e inconcludente bagarre su un singolo episodio, quando da più di dieci anni sappiamo che i casi del genere sono migliaia? In una prospettiva un po meno provvisoria, rimane senza risposta una semplice domanda. Che cosa occorre fare perché si svolgano con più impegno indagini serie e non si disperdano energie in grottesche crociate e inutili, quanto ingiuste, persecuzioni? Forse è meno difficile rispondere a unaltra domanda. Perché (qualunque sia il motivo di unindagine) si continua nella pratica assurda e scorretta di sequestrare computer? La spiegazione più semplice, e purtroppo probabilmente vera, è la pigrizia. In quel modo è più facile... si perde meno tempo... non occorre che lispezione sia fatta da una persona tecnicamente competente... si porta via tutto e poi si vedrà. Poco importa se ad andarci di mezzo sono i diritti civili dei cittadini (compresi molti innocenti). Cè unaltra ipotesi ancora più maligna e sfortunatamente confermata dai fatti. Quando si chiede a una vittima se il suo caso può essere reso di pubblico dominio, la risposta è regolarmente no. Perché teme (giustamente) la gogna cui si è inevitabilmente esposti, indipendentemente dallesito di un eventuale processo. Ma anche perché si sente dire «è meglio stare buoni, se no le cose si complicano... e fra laltro sarà più difficile ottenere il dissequestro del computer». Non è detto che sia sempre un ricatto consapevole ma è vero che le vittime sono spesso indotte a tacere. Non sto cercando di dire che siamo precipitati nella barbarie e che lItalia sta diventando uno stato di polizia. Per fortuna siamo ancora lontani da quegli estremi, anche se la situazione tende a peggiorare. Ma sarebbe meglio se ai diritti dei cittadini, che non sono solo di privacy ma anche di difesa dagli abusi, si badasse anche quando non sono coinvolti i politici, i ricchi e i potenti, le soubrette o altre celebrità di qualsiasi genere. Quando saranno finiti i polveroni e le polemiche che oggi ingombrano le cronache... qualcuno troverà il tempo di pensare al fatto che la società civile non è un modo di dire? E che occorre più rispetto per i diritti di chi non è famoso, ma non per questo merita di essere spiato, oppresso e perseguitato? Post scriptum 20 settembre 2006 Ci risiamo. Il 20 settembre 2006 la Repubblica dedica una notizia di copertina, e unintera pagina, al fatto che in unindagine sul caso Abu Omar e su vicende del Sismi il magistrato Giancarlo Tarquini ha disposto il prelievio dei contenuti del computer del giornalista Carlo Bonini. Nota bene: dicono che il computer è stato clonato. Con quella bizzarra terminologia probabilmente intendono dire che è stata fatta una copia del hard disk. Cioè (sempre che la procedura di indagine sia legittima e ben motivata) il metodo è quello corretto. Non labusiva, perversa e ingiustificabile violenza di sequestrare i computer. Sconquassi, proclami, scandali, comunicato del comitato di redazione, eccetera eccetera. Ancora una volta, uno smisurato fracasso su un caso singolo, perché colpisce una delle corporazioni del potere. Ancora una volta, un imperdonabile silenzio su migliaia di cittadini (di cui molti innocenti) sottoposti a mostruose persecuzioni. Spero che non sia necessario aggiungere altri commenti.
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