La crisi dell’informazione

Giancarlo Livraghi – ottobre 2011


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Non è una novità. Il problema c’è sempre stato. E su questo si è ragionato parecchie volte in questo sito, nonché in articoli pubblicati in varie riviste – e, in un modo o nell’altro, in tutti i miei libri (per esempio, ma non solo, in Il circolo vizioso della stupidità, un testo del 2002 che poi è diventato il capitolo 18 di Il potere della stupidità).

Come sempre, si tratta di un complicato miscuglio di deformazioni o manipolazioni intenzionali, di errori involontari e di distratte imitazioni.

Anche questa volta è necessario ripetere che non ho alcun preconcetto contro i giornalisti e il giornalismo. Quando lavorano bene (per fortuna ce ne sono che “nonostante tutto” lo sanno fare) il loro contributo è indispensabile. Per non parlare del fatto, sempre preoccupante e talvolta tragico, che alcuni rischiano consapevolmente la vita per darci informazioni ed esperienze “sul territorio” che altrimenti sarebbe difficile raccogliere.

Non si tratta, ovviamente, di differenze di opinione (o di interpretazione di fatti e circostanze). Sempre legittime, spesso inevitabili. La libertà di stampa (ovviamente estesa a tutti i sistemi di informazione e comunicazione) è sempre stata un fondamentale diritto e dovere (anche se non è stata “sancita” prima della fine del diciannovesimo secolo – e ancora oggi è repressa, o pesantemente condizionata, in larga parte del mondo).

Fin qui, nulla di nuovo. Potremmo semplicemente ripetere ciò che tanti hanno detto e scritto, in tante epoche, remote e recenti. Fra mille citazioni possibili, mi limito a tre.

Cicerone «Utinam tam facile vera invenire possim quam falsa convincere».
(La sinteticità dell’utinam latino non è facilmente traducibile. Ma pressappoco: «Mi piacerebbe se potessi trovare il vero così facilmente come convincere del falso»).

Albert Camus «La libertà di stampa è quella che ha più sofferto le conseguenze del deterioramento dell’idea di libertà».

Theodore Adorno «L’industria culturale non si adatta alle reazioni del suo pubblico quanto le falsifica».

Nella situazione di oggi continuano i problemi che ci sono sempre stati. Ma si mescolano, perniciosamente, con alcune caratteristiche “singolari” di questo periodo. Della perversità della cosiddetta “crisi economica” ho scritto recentemente in C’era una volta il mercato. Ma è necessario qualche approfondimento su come genera un meccanismo distorto dell’informazione.

Prima di tutto, la paura. Il martellamento quotidiano (che dura da anni e continuamene si infittisce) sulla gravità della “crisi” e sulla mancanza di soluzioni ha due effetti opposti e ugualmente perniciosi.

Da un lato ci fa sprofondare in un incubo di disperazione. La percezione, ostinatamente ribadita, di un male incurabile e sempre più grave, ci toglie ogni speranza, logora ogni desiderio di fare, di essere, di progredire, di pensare. E intanto la diffusione della melensa cultura-spettacolo ci offre un insulso, patetico rifugio con quella droga culturale che già sedici anni fa era stata definita “tettontimento”.

In senso inverso, provoca assuefazione. Se ci sentiamo dire ogni giorno che il mondo ci crollerà in testa, ma poi non succede così subito e in modo così fragoroso, finiamo col cullarci nell’illusione che sia una montatura (in parte lo è – e serve a distrarci dai problemi reali). O che, comunque, “riusciremo a cavarcela”. Ci viene anche continuamente predicato che “se ne devono occupare” non bene identificate “autorità” – e non si capisce che cosa stiano elucubrando. Così ci somministrano un ulteriore sonnifero.

Come dice Gabriel Sala nel suo Panfleto contra la estupidez contemporánea,
c’è una sensazione di impotenza. «L’entetanimiento è il migliore fornitore di alibi che
sia mai esistito, il prisma attraverso il quale possiamo osservare il mondo senza sentirci
colpevoli e senza vederci obbligati ad assumere la responsabilità delle nostre azioni»

Non meno grave, c’è la strumentalizzazione. Non solo i “sommi poteri” ne approfittano per ridurci a passiva obbedienza (“solo io posso sapere come salvarvi”) e nell’intrico delle astruserie contrabbandare ciò che più conviene ai loro interessi. Ma anche tanti, grandi o piccoli, profittatori con la scusa della “crisi” licenziano, sfruttano, imbrogliano, guadagnano a tradimento. Mentre altri credono di “adeguarsi” e riescono solo a farsi del male. (Vedi, per esempio, l’apologo citato in Le miserie di Arpagone).

C’è, in tutto questo, una responsabilità dell’informazione. Ed è grave. Come dicevo all’inizio, solo in parte la disinformazione è perversamente intenzionale – un sordido complotto per tenerci nell’ignoranza. Il problema è peggiorato e complicato dal fatto che molte fonti di informazioni sono vittime del meccanismo (difficile capire quanto complici o inconsapevoli).

Spesso sono travolti dall’imitazione. Poiché di qualcosa “si parla”, si sentono in obbligo di accodarsi al ritornello. Chi cerca di fare luce con una prospettiva meno banale rischia di essere punito – o comunque inascoltato.

La confusione è tale che anche la protesta è disorientata. Gli “indignati” hanno mille ragioni per esprimere il loro disagio. Ma quando tante cose diverse, non necessariamente connesse, si mettono tutte insieme, diventa difficile distinguere.

Che la protesta ci sia, e stia crescendo, è comunque un bene. Ma il sistema informativo sta desolatamente mancando al compito di chiarire, interpretare, approfondire, spiegare.

Potrebbero aiutarci, se avessimo voglia di capirli, molti eventi della storia. Un caso esemplare è quello della Rivoluzione Francese. Fra la presa della Bastiglia e l’instaurazione di una durevole repubblica democratica in Francia passarono ottanta complicati e sanguinosi anni, con guerre, rivoluzioni e conflitti di ogni genere in tutta l’Europa (e non solo – per esempio anche in America). Per districare i problemi di oggi non abbiamo così tanto tempo. Abbiamo, d’altro lato, risorse di comunicazione allora inimmaginabili. Ma quando impareremo a usarle in modo più efficace e meno confuso?

Il mostruoso imbroglio della speculazione finanziaria è il caso più vistoso di imperversante disinformazione – su scala mondiale e con particolare squallore in Italia. Ma non è l’unico. Gli esempi potrebbero riempire parecchie pagine, ma dilungarsi non è necessario. Pochi evidenti fatti possono bastare.

La cosiddetta “primavera araba” (quale stagione davvero sia resta ancora da capire) è un fatto importante su scala mondiale. Molto vicino, non solo geograficamente, all’Italia. Ma per nove mesi è stato seguito con scarsissima attenzione da tutto il sistema informativo italiano. Per saperne qualcosa era necessario cercare fonti internazionali nell’internet o guardare le trasmissioni di Al Jazeera (e così scoprire che un’emittente del Qatar è molto più attenta a ciò che accade in ogni parte del mondo di quanto lo siano tutte le nostre televisioni – e anche i nostri giornali).

La Tunisia è a 70 chilometri dall’Italia. Nessuna notizia, né rilevante commento, dopo la “rivoluzione” del dicembre 2010 e fino fino alle cronache delle elezioni del 23 ottobre 2011 – seguite da inutili congetture, mentre ovviamente occorre aspettare che ci sia un governo e che si conoscano le sue intenzioni.

In Libia, otto mesi di guerra civile, con un intervento internazionale cui partecipa anche l’Italia. Anche su questo, scarse e sporadiche notizie.

Si stima che ci siano stati sessantamila morti (in proporzione, quanti ne ha avuti l’Italia, militari e civili, nella seconda guerra mondiale). Oltre alle tante altre violenze e sofferenze che ci sono inevitabilmente in ogni genere di guerra. Quasi sempre taciute o trascurate. Poi un frettoloso e confuso fracasso sulla morte di Gheddafi – senza alcun approfondimento su tutto il resto.

Tutte le vicende in Nordafrica e Medio Oriente seguite scarsamente e con imperdonabile superficialità. Con un imprudente “ottimismo” iniziale e un altrettanto superficiale allarme, a posteriori, sul rischio di regimi “islamici” repressivi – o del potere in mano a oligarchie militari. Era ovvio fin dall’inizio che la transizione non sarebbe stata facile, né semplice. Ma se oggi vogliamo trovare qualche ragionevole ipotesi su come si sta evolvendo dobbiamo ricorrere a fonti straniere. Continueremo per mesi e anni a rimanere all’oscuro, fino a quando saremo “sorpresi” da qualche esito inaspettato?

Anche nei fatti italiani, l’informazione è distorta. Un esempio fra tanti: la manifestazione degli “indignati” a Roma il 15 ottobre 2011. Ciò che servirebbe è un’analisi dei motivi. Come già osservato più in generale, i (civili e pacifici) dimostranti hanno tante e diverse ragioni per essere indignati. Purtroppo, quando sono messe tutte insieme, diventano confuse.

Un’informazione responsabile e intelligente dovrebbe distinguere, approfondire, chiarire la natura dei problemi e ragionare sulle possibilità concrete di soluzione. Invece tutta l’attenzione si è concentrata sulle violenze di pochi sciagurati balordi.

È indiscutibile, naturalmente, il diritto e dovere di cronaca. Ma è desolante che “tutto finisca lì”. Dopo una ridda di ipotesi, è probabile che cada nel dimenticatoio il tentativo di capire chi, come e perché ha organizzato il sabotaggio. E, cosa ancora più grave, continuano a rimanere confuse le ipotesi su quali siano i veri e rilevanti motivi per cui tanti sono “indignati” (compresi quelli che “non vanno in piazza”, ma non per questo sono meno preoccupati).

Da anni, ormai decenni, siamo sommersi, tutti i giorni, da interminabili disquisizioni su ogni minuscolo intrigo nei maneggi della politica, a scapito di considerazioni più serie sulla realtà della situazione. Si ripetono all’infinito ipotesi inconcludenti su ciò che poi non accade. Problemi seri e veri, ignorati da trenta o quarant’anni, rimangono irrisolti, mentre non solo la politica, ma anche tutto il sistema informativo, si trastulla in pettegolezzi e congetture. Molti aspetti di queste squallide vicende sono ridicoli. Ma c’è poco da ridere.

Un altro insidioso problema è che nei circoli del potere (politico, culturale, economico – e anche dell’informazione) c’è una sconcertante incapacità di autocritica. La “colpa” è sempre di qualcun altro.

Nessuno può illudersi di non sbagliare mai. L’importante è sapersene accorgere – e avere la sincerità di ammetterlo. È preziosa e insostituibile la capacità di imparare dai propri errori. Come non mi stancherò mai di ripetere, il più stupido degli stupidi è chi crede di non esserlo mai. E il più pericoloso degli ignoranti è chi crede di sapere tutto. (Vedi Errare humanumcapitolo 29 di Il potere della stupidità).

Travolti dall’arroganza dei presuntuosi e dall’onda immensa del futile e dell’inutile, siamo continuamente e sistematicamente confusi e disorientati. Trovare qualche briciola di buon senso, o qualche informazione significativa, richiede un impegno che pochi hanno il tempo e la capacità di sviluppare.

Non basta sperare che l’informazione dominante diventi meno elitistica e pretenziosa, meno pettegola e superficiale, più chiara, lucida, consapevole, responsabile. Dovremmo imparare a esigerlo, anche con una buona dose di “indignazione”. Ma intanto tocca a ognuno di noi accendere la lanterna di Diogene e andare a cercare, nell’immensa confusione proliferante, qualche boccone di nutrimento mentale che arricchisca la nostra capacità di capire.

Se non lo sappiamo fare, o non abbiamo voglia di impararlo, continueremo a sprofondare nelle sabbie mobili dell’imperversante disinformazione.


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