Continuiamo a ripeterci che siamo nellera della
comunicazione. Ma è curioso constatare come le
organizzazioni di ogni genere, pubbliche e private, facciano
unenorme fatica a capire che comunicare non è un
momento o un settore della loro attività, separato dal
resto, delegato a funzioni specifiche più o meno
isolate, secondarie rispetto al cuore dellimpresa e alle sue
decisioni strategiche.
Non si tratta solo del perpetuarsi di strane abitudini,
come quella di affidare la gestione di un sito web, o in
generale la comunicazione online, a presunti
specialisti che hanno (o credono di avere) una
competenza principalmente tecnica. Sembra di ritornare ai
tempi remoti in cui i tipografi si atteggiavano a esperti in
comunicazione, proponendo ai loro clienti di gestire i contenuti
delle cose che dovevano stampare (un atteggiamento che oggi
è meno frequente, ma non è del tutto scomparso).
Non si tratta solo del fatto che chi ha uno strumento da
vendere (che sia un mezzo pubblicitario, una risorsa
promozionale, un sistema telefonico, una rete elettronica, un
software o qualsiasi altro prodotto o servizio) si dà
un gran daffare a offrire valore aggiunto sotto
forma di consulenze che non è in grado di gestire
e sulla cui obiettività e utilità è
ragionevole avere molti dubbi.
Lossessionante proliferazione di offerte
miracolose, che somigliano stranamente alle
promesse fantastiche di maghi e fattucchiere, è un
notevole fattore di confusione, ma non è il motivo
principale per cui la comunicazione dimpresa è
così spesso mal gestita, superficiale e
inefficace.
La radice del problema sta allinterno delle
organizzazioni. È diffusa la percezione (non sempre
consapevole) che si possa dire una cosa e farne unaltra,
promettere ciò che non si mantiene, presentarsi come
qualcosa di diverso da ciò che si è o che si
può realisticamente diventare.
Non parlo, naturalmente, di quella
fisiologica esagerazione che cè in ogni
comunicazione commerciale come ci può essere in ogni
relazione umana quando qualcuno cerca di convincere qualcun
altro a fare qualcosa. Tutti si aspettano che sia
così. Sappiamo che ogni salumiere tende a dirci che il
suo salamino è il migliore del mondo, così come
ogni fabbricante o venditore di arzigogoli cerca di
convincerci che nulla al mondo può arzigogolare meglio
di ciò che ci offre.
Siamo anche disposti, a parità di prodotto (e,
possibilmente, di prezzo) a comprare da chi ci parla in modo
più simpatico e interessante. Ma se poi il salamino
non è buono, o larzigigolo non funziona come
dovrebbe, la relazione rischia di incrinarsi anche con il
più affascinante dei seduttori.
Va detto anche che qualche volta la comunicazione
dà un reale valore aggiunto. Se un certo
vino è diffusamente considerato di qualità
superiore faremo bella figura con gli amici
mettendone una bottiglia in tavola. Se una donna è
convinta che un certo cosmetico la renderà più
bella, in aggiunta a ciò che il prodotto può
fare per la sua pelle o per i suoi capelli sarà anche
nello stato danimo di sentirsi bella e questo la
renderà più attraente. Eccetera...
Insomma il problema non sta nel fatto che la
comunicazione (dichiaratamente di parte) tenda un
po a esagerare o cerchi di aggiungere valori percettivi
che rendono più desiderabile un prodotto o un
servizio. Ma la situazione è molto diversa quando
cè una distonia strutturale fra il modo in cui
qualcosa viene offerto e il suo reale valore. O, peggio
ancora, fra latteggiamento che unimpresa o una marca
promette e il suo comportamento reale.
La villania o la noiosità burocratica di un
ufficio, pubblico o privato, è comunque irritante e
fastidiosa. Ma diventa intollerabile quando a comportarsi in
quel modo è qualcuno che ci aveva promesso di esserci
amico, di avere cura di noi, di trattarci come la persona
più importante del mondo come dovrebbe fare, visto
che siamo suoi clienti o sta cercando di convincerci a diventarlo.
Un prodotto che non funziona, o non ha unadeguata
manutenzione, o crea più problemi di quanti ne
risolva, è comunque unesperienza deprimente (e
talvolta un danno pericoloso). Ma diventa tanto più
grave quanto più incarna lidentità di chi ci
aveva convinto di essere affidabile e attento alle nostre esigenze.
Non è tutta colpa delle tecnologie. È vero
che molte tecniche avanzate funzionano malissimo
e tendono a peggiorare (vedi La stupidità
delle tecnologie). È vero anche che la sostituzione
del dialogo umano con dispositivi automatici produce
inconvenienti che sarebbero comici se non fossero
esasperanti. Ma si tratta di conseguenze, non della causa, di
quella sindrome autodistruttiva che affligge una larga parte
della comunicazione dimpresa (e non solo di quella).
Il fatto fondamentale, e stranamente dimenticato,
è che la comunicazione è un insieme
inscindibile. È ragionevole, e praticamente
funzionale, adattare il modo in cui si comunica secondo il
pubblico cui ci si rivolge e secondo il mezzo che si usa. Ma
ciò non significa che si possano dire (e promettere)
cose diverse e in contrasto fra loro.
Se unimpresa promette urbi et orbi di essere
premurosa, gentile e attenta alle esigenze altrui, dovrebbe prima di tutto
adeguare ogni parte del suo comportamento a quellobiettivo
nonché addestrare e motivare il suo
personale (e, per quanto possibile, i rivenditori o chi altro
la rappresenta) a comportarsi in quel modo.
Se vuole essere percepita come autorevole e competente,
non può permettersi leggerezze o approssimazioni. E,
prima ancora di dichiararlo allesterno, deve verificare
molto seriamente che tutti, allinterno della sua struttura,
condividano quellatteggiamento e abbiano la competenza
necessaria per essere davvero consapevoli e affidabili.
Ci sono, per fortuna, imprese che ragionano e si
comportano in questo modo. E i risultati si vedono. Non
sempre in tempi brevi, perché la coerenza e la
credibilità non si costruiscono in fretta. (Vedi
La fretta non è
velocità e
Linsopportabile lentezza
delle tecnologie). Ma con una dinamica solida e crescente
che, se perseguita con costanza, dà frutti sempre migliori
in ogni stagione.
I princìpi fondamentali della comunicazione sono
due. Uno è che non è mai a senso unico.
Saper ascoltare è più
importante che saper parlare. Laltro è che tutto ciò
che si fa è, in un modo o nellaltro, comunicazione.
Essere è più importante che apparire.
Unintrinseca coerenza di identità, metodo e
comportamento è la base indispensabile. Quando quella
base cè (ed è continuamente coltivata e
arricchita) una comunicazione efficace diventa un
moltiplicatore di grande utilità.
Non è affatto necessario, come credono i
pressapochisti della comunicazione, inventare continuamente
qualcosa di nuovo per attirare lattenzione con
una varietà di trucchi ed effetti che poco o nulla
hanno a che fare con lidentità di unimpresa. Sono
infinitamente più importanti (ed efficaci) la coerenza
e la continuità e nulla ci costringe a comunicarle
in modo ripetitivo o noioso.
Se vogliamo parlare di creatività (una
parola così banalizzata e male interpretata che la uso
malvolentieri) dobbiamo prima di tutto capire che non
è creativo seguire le mode, imitare i
cliché o imbellettare un catorcio per farlo sembrare
chissà quale meraviglia.
È meno facile, ma enormemente più utile,
avere unidentità autenticamente forte ed esprimerla
coerentemente in tutti gli aspetti del proprio comportamento.
Con in più la capacità espressiva di renderla
interessante, convincente e gradevole.
Se qualcuno vuole vantarsi del fatto che un lavoro ben
fatto è creativo, faccia pure. Cè
quasi sempre qualcosa di non banale in una soluzione davvero
efficace. Ma limportante è che
funzioni.