Offline Riflessioni a modem spento


“Bolla verde”
 
(le contraddizioni
di una moda)

novembre 2006



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e tre libri:
  La coltivazione dell’internet  
L’umanità dell’internet
Il potere della stupidità
 
 

 

Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)




Sono stato tentato, molte volte, di ritornare sul tema delle “energie rinnovabili” (vedi, per esempio, L’idrogeno e l’internet che avevo scritto nell’aprile 2003 ). Ma i problemi sono così tanti, e i dibattiti sull’argomento così complessi, che può essere presuntuoso (oltre che difficile) dire qualcosa che non sia già abbondantemente ovvio.

Come il fatto che, per motivi che non riguardano solo l’inquinamento, è necessario liberarci dalla maledizione dei combustibili fossili – e siamo già enormemente in ritardo, perché alcune soluzioni ci sono, altre si stanno sviluppando, ma è difficile applicarle in pochi anni su una scala sufficientemente vasta.

Ora c’è uno spunto che merita qualche approfondimento. Lo offre l’Economist in un articolo di copertina pubblicato il 16 novembre 2006. Il titolo è Green Dreams (“sogni verdi”) – ma il testo spiega che, per fortuna, non sono soltanto sogni.


copertina


Sembra che si stia gonfiando una terza “bolla speculativa”, dopo le due che si sono sgonfiate, lasciandosi dietro una scia di fallimenti, delusioni e distorsioni. Questa avrà lo stesso esito? Forse no – o non del tutto. Perché è in gioco qualcosa di molto più importante.

Di “bolle speculative”, nella storia, ce ne sono state tante. E continuano a moltiplicarsi, in modo più o meno “appariscente”. Fra le più recenti, due sono particolarmente vistose.

Una, come è noto, era la vicenda delle cosiddette dot com. Cioè di innumerevoli fallimentari avventure basate su una totale incomprensione di che cos’è e come funziona l’internet. La rete – prima, durante e dopo quelle tragicomiche peripezie – ha continuato a crescere e a svilupparsi (vedi l’analisi internazionale e altre nella sezione dati). Ma, se alcuni si sono arricchiti nelle pieghe dei giochi speculativi, sono poche le imprese che hanno avuto un durevole successo. L’Economist ci fa notare che in quei circoli viziosi si sono “bruciati” mille miliardi di dollari.

La seconda “bolla” è meno facilmente diagnosticabile, anche perché la vicenda non è finita. Anche questa è connessa con le tecnologie di comunicazione. Si tratta delle telecom, cioè delle imprese telefoniche (sempre più impegnate a fornire supporti diversi dalla telefonia “tradizionale”, dai cellulari alla “trasmissione dati” e alle sue molteplici applicazioni). Sembra incredibile che imprese con forti rendite di posizione, “confusopolio” imperversante e prezzi di vendita assurdamente elevati rispetto ai costi, possano essere in crisi. Ma il fatto è che lo sono. Perché a uno sviluppo solido, basato su investimenti seri, hanno preferito il gioco d’azzardo della speculazione. Con conseguenze che sarebbero comiche se non fossero preoccupanti.

E ora... ce n’è una nuova? Sembra che la “moda” crescente nel mondo delle tecnologie sia l’investimento nelle energie rinnovabili. Una buona notizia, osserva l’Economist, per la società umana. Ma una scommessa ancora incerta per gli investitori.

Nella mitica Silicon Valley si sta generando un flusso di investimenti per lo sviluppo di “energie pulite”. Il motivo non è che il silicio, materia prima dell’elettronica, è usato anche nei moduli fotovoltaici. È una visione strategica (enorme potenziale di crescita) su cui si innesta una gara speculativa (chi per primo risolve i problemi può ricavarne grossi vantaggi). Gli investimenti nel settore sono cresciuti da 30 miliardi di dollari nel 2004 a 49 nel 2005 e 63 nel 2006. Per quanto grandi siano queste cifre, sono scarse rispetto a ciò che occorre, su scala mondiale, per dare un vero impulso allo sviluppo. Ma se l’esempio fosse contagioso, e si diffondesse la “moda”, le conseguenze potrebbero essere interessanti.

Il costo delle energie “rinnovabili”, spiega l’articolo, continua a diminuire – ma finora non è sceso abbastanza per poter essere economicamente competitivo. Rispetto al 1990 il costo di un chilowatt prodotto con energia eolica è meno della metà (sceso da 8 - 10 centesimi a 3,5 - 4) per effetto di turbine più efficienti e volumi più alti. I primi pannelli solari, usati nei satelliti, costavano circa 200 dollari per watt generato – l’anno scorso il costo era sceso a circa 2,70 per watt. Eccetera. Più si investe nel settore, più i prezzi scendono. Ma occorre un nuovo impulso per accelerare il progresso.

La differenza di costo fra le energie rinnovabili e i combustibili fossili è in continua diminuzione, ma purtroppo esiste ancora. I carburanti “biologici” costano più di quelli derivati dal petrolio. Produrre energia elettrica con il metano costa meno che con le turbine eoliche. La risorsa più inquinante, il carbone, è ancora la meno costosa. Finora nessuna delle soluzioni più intelligenti è riuscita a essere economicamente competitiva, su larga scala, rispetto a quelle che devono essere eliminate.

L’Economist, fedele alle sue radicate opinioni “liberiste”, crede che il problema debba essere risolto dal mercato e non da incentivi pubblici. Ma deve constatare che finora non ci sono investimenti sufficienti per arrivare alle necessarie economie di scala. Perciò, questa volta, è desiderabile che la bolla speculativa cresca il più possibile. Alcuni investitori rischieranno di uscirne perdenti, ma finalmente la società umana (e la situazione generale del pianeta) avrà le risorse necessarie per liberarsi dalla schiavitù fossile.

Il problema, ovviamente, non è così semplice. Ma se la “moda verde” sarà capace di uscire dal vago terreno delle chiacchiere e delle generiche intenzioni, se a una forte spinta della ricerca scientifica si uniranno soluzioni tecniche concrete e largamente applicate, allora ben venga, se è necessaria, anche un’ondata di avventure speculative che, nella loro sostanziale stupidità, potrebbero contribuire a un risultato intelligente.




E l’Italia? Siamo troppo piccoli, troppo marginali, per avere un ruolo in uno dei più importanti sviluppi della nostra epoca? Ovviamente no. Potrebbe essere difficile uno scontro frontale con le enormi risorse economiche, scientifiche e tecniche di altri – in particolare degli Stati Uniti. Ma in questa grande partita c’è posto per tutti.

È possibile, ma sembra improbabile, che qualcuno trovi una singola e radicale soluzione al paradosso dell’energia. È imprevedibile se, come e dove un’intuizione finora sconosciuta possa cambiare le regole del gioco. Ma sarebbe illusorio contare solo sulla possibilità di un “colpo di genio”.

In pratica, per quanto sappiamo finora, è molto più probabile che si possa contribuire al risultato con una combinazione di tante “grandi” e “piccole” soluzioni. E nulla vieta che alcune possano nascere in Italia.

Investire denaro e offrire “incentivi” potrebbe essere utile. Ma certamente non basta. Ciò che occorre è una presa di coscienza culturale, una percezione diffusa della serietà del problema e della necessità di risolverlo. Con una buona dose di entusiasmo, di fantasia, di voglia di fare. Sarebbe interessante capire dove sono le risorse umane capaci di compiere un “piccolo passo” che possa dare un contributo significativo.




Post scriptum
dicembre 2006

La situazione è riassunta in un breve commento di Bruce Sterling alla fine delle sue osservazioni su “il mondo nel 2006” pubblicate da The Well il 28 dicembre.

In conclusion, I’d agree that there is a frenzy of creative green thinking this year. I’ve never seen the like. Unfortunately, green doing, as opposed to thinking, is about forty years overdue. Even though there’s quite a lot of green doing, too, it’s starting mighty small.

Un’approssimativa traduzione italiana: «in conclusione, quest’anno c’è davvero uno scatenamento di “pensiero creativo” sui problemi dell’ambiente, come non avevo mai visto prima. Purtroppo il fare, che è diverso dal pensare, è in ritardo di circa quarant’anni. Benché ci sia anche parecchio fare “verde”, è un inizio molto piccolo».

La sintesi è ovvia – quanto chiara.

 




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