gassa I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
aprile 2007

Un articolo in L’Impresa


Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)


La rete non è una falena
(né una panacea)



Accade continuamente, in ogni campo, che si annuncino “novità”. L’innovazione, ovviamente, è importante. Ma spesso non è chiaro come, e con quali strumenti, si possano realizzare le soluzioni più utili ed efficaci.

Il quadro è complesso, ma i concetti di base sono sostanzialmente tre. Non sempre il “nuovo” è nuovo. Non sempre il “nuovo” è utile. E, se una cosa è utile in una specifica applicazione, non vuol dire che sia una “panacea”. (Vedi Il paradosso dell’innovazione e Le ambiguità dell’innovazione).

Si tutti e tre influisce il problema della “memoria storica”. Osservatori attenti hanno notato che è debole – in una cultura spesso addormentata in un futile “oggi” che non ha ieri, né domani. Sembra che l’umanità voglia perdere, o dimenticare, le sue radici.

Non si tratta, ovviamente, di ritornare al passato, né di rimpiangere un mondo che non era come lo sogna la nostalgia. Ma ci sono valori che non tramontano. Come quelle corporate culture, identità di impresa, che sono e saranno una risorsa forte e vincente per le organizzazioni se hanno la fortuna di averle ben radicate e di saperle coltivare.

Insomma l’innovazione più valida e costruttiva non è un inseguimento del “nuovo” purchessia, né un “salto” incontrollato verso prospettive non ben sperimentate. Spesso è una intelligente combinazione del “sapere” che l’esperienza ha consolidato con una forte capacità di capire dove e come nuove risorse, o nuove esigenze della cultura e del mercato, offrono occasioni favorevoli.

Il primo caveat è che non sempre il “nuovo” è nuovo. Sono infiniti gli esempi di cose già note riproposte con una diversa etichetta da qualcuno che vuole fingersi innovatore – o da chi crede di aver “scoperto” qualcosa di cui, nel suo terreno culturale, si è persa la memoria. La frequenza di questi errori di prospettiva impone la necessità di fermarsi e pensare: che cosa c’è di “nuovo” che non sia ciò che già sappiamo, o che meglio potremmo imparare con un serio patrimonio di esperienza?

La seconda cautela sta nel fatto che non sempre il “nuovo” è utile. La ricerca scientifica, come ogni esplorazione cognitiva, non può avere limiti. Deve essere libera di allargare i confini della conoscenza, indipendentemente dalle ipotesi di applicazione pratica. Ma quando si tratta di uso concreto di metodi, tecnologie o altre risorse, la gerarchia dei valori è diversa: la soluzione migliore non è la più “nuova”, né la più complessa, ma la più adatta a svolgere uno specifico compito nel modo più semplice possibile. Detto così, sembra facile. Ma la realtà conferma continuamente quanto sia impegnativo tenere il timone sulla giusta rotta in un mondo mutevole e turbolento.

La terza, e forse la più importante, è che occorre sfatare il mito della “panacea”. Si rideva sui rimedi miracolosi nel 1519, quando Niccolò Machiavelli scrisse La Mandragola, o quando nel 1832 andò in scena il Dottor Dulcamara nell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Oggi non dovremmo più cadere in quel genere di trappole. Invece continua ad accadere che a questa o quella risorsa si attribuiscano capacità magicamente “universali” che non ha e non può avere.

Questo è particolarmente evidente nel caso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dove una crescente complessità crea molti più problemi di quanti ne possa risolvere.

Occorre “ fare un passo indietro” per capire un po’ meglio la realtà della situazione. Concetti interessanti sullo sviluppo della “società dell’informazione” erano stati definiti da diversi autori (come John Naisbitt, Jean-Jacques Servan-Schreiber e Alvin Toffler) nel 1980 (quando non erano ancora visibili alcuni sviluppi – per esempio il personal computer esisteva dal 1968, ma cominciò a diffondersi dieci anni più tardi). Se, finora, quelle ipotesi non si sono realizzate non è perché siano impossibili, ma perché le evoluzioni culturali non maturano in pochi decenni.

Ma qualcosa è avvenuto – e non è una falena. Non è una di quelle mode passeggere che nascono e muoiono prima che se ne sia capito il senso o il valore. Quell’insieme di reti che chiamiamo “internet” esiste dal 1969, continua a crescere e ha ancora ampi spazi di ulteriore sviluppo. Il sistema che sull’internet si è innestato, e che chiamiamo “web”, esiste come risorsa pratica dal 1990, ma era già definito da tempo in specifici progetti (come Memex nel 1945 e Xanadu nel 1965) e il concetto era stato concepito cent’anni prima. (Vedi la cronologia).

Questi sviluppi si servono di risorse tecniche, senza le quali non potrebbero esistere così come li conosciamo – ma la loro crescita sarebbe impossibile, o insensata, se non si basassero sulle esigenze umane, che sono e devono essere il fattore dominante. La rete non è fatta di macchine, connessioni o protocolli. È fatta di persone.

Due anni fa si diceva che tutto sarebbe diventato blog. Non è vero (vedi Blogologia). Oggi qualcuno dice che il blog è morto e che tutto è wiki. Anche questo è improbabile (da sei anni Wikipedia continua, utilmente, a crescere – ma ci sono molte altre risorse nella rete). Queste, come tante che abbiamo dimenticato ieri e che potrebbero nascere domani, sono varianti di un sistema che cresce ma non cambia nella sua struttura fondamentale: un ambito policentrico e interattivo, in cui tutti possono trovare un ruolo, che esiste da più di tren’tanni – e continua a estendere la sua diffusione.

Il più recente fra i sistemi di comunicazione non è “nato ieri”. Non si finisce mai di imparare, ma abbiamo un buon capitale di esperienza su come usarlo efficacemente. La chiave non sta nelle tecnologie, né nell’inseguimento di presunte novità, ma nei rapporti umani e nei concetti fondamentali di servizio e sinergia – che sono da sempre alla radice di ogni buona cultura di marketing e comunicazione, ma trovano nella rete nuovi modi di sviluppo (vedi Le imprese e l’internet). Con l’interessante possibilità di verificare continuamente lungo il percorso, in un insieme dinamico di azione e apprendimento.

Ma tutto ciò non si impara in un giorno (o in un anno) e non si risolve “saltando” dall’una all’altra risorsa tecnica. Ci vuole pazienza, continua sperimentazione – e un serio impegno del valore più importante e prezioso: le risorse umane.





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