Il filo di Arianna
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
Le ambiguità dellinnovazione
(Siamo ritornati al ballo Excelsior?)
Sembra di essere tornati (con meno allegria e ottimismo) ai tempi del mitico ballo Excelsior. Come se non avessimo imparato la lezione da secoli di esperienza. Si parla di stanziamenti, miliardi, risorse, formazione, eccetera, per investire nellinnovazione. Ma è assai poco chiaro di quale innovazione si stia parlando.
Nel 1836 Giacomo Leopardi (La ginestra) dubitava con malinconico sarcasmo delle magnifiche sorti e progressive e del secol superbo e sciocco di cui si era visto solo linizio. Dal punto di vista opposto, nel 1863, Giosuè Carducci nel suo Inno a Satana cantava le lodi di un progresso che a molti faceva paura. La forza vindice de la ragione sincarnava in una delle più stupefacenti e fragorose tecnologie del tempo: la ferrovia. Il trionfante potere dellinnovazione passa benefico di loco in loco su linfrenabile carro del foco.
Nel secolo precedente gli illuministi avevano dato un contributo importante, e ancora oggi prezioso, allevoluzione del pensiero e della cultura. Ma non ne seguì, come allora si immaginava, lera dei lumi né il regno splendente della Dea Ragione.
Il ballo Excelsior andò in scena per la prima volta alla Scala di Milano nel 1881. Ebbe uninfinità di repliche e di tournée, in Italia, in Europa e anche in America. Unedizione cinematografica nel 1913 non ebbe fortuna, ma nei teatri il suo successo continuò per più di trentanni fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Ce ne fu qualche sommaria citazione in film degli anni cinquanta e una breve, nostalgica riedizione teatrale nel 1967. Si rivede ancora, talvolta, nel teatro delle marionette. Ma, a parte qualche ironica rievocazione, quel genere di messa in scena è scomparso novantanni fa e sembra estinta la cultura che rappresentava.
Era uno spettacolo colossale, con una scenografia rutilante, faraonica e imponente, quattrocentocinquanta persone in scena. Narrava con enfasi entusiastica i prodigi della modernità ottocentesca, come la luce elettrica, il piroscafo, il telegrafo, il canale di Suez, il tunnel del Moncenisio. Celebrava la gloria della splendente Luce che liberava il povero Schiavo dalle tenebre del malvagio Oscurantismo.
Non fu solo la guerra mondiale e la successione di tragedie che la seguì a rendere più diffusa nel ventesimo secolo quella percezione critica che cera sempre stata, ma era sembrata unanomalia passatista o pessimista nella generale glorificazione del progresso come soluzione di tutti i problemi e portatore di insperata e universale felicità.
Ma ora... passata e dimenticata lepoca delle magnifiche sorti e dei troppo facili entusiasmi... siamo ormai abituati alla modernità, allo sviluppo tecnologico, alle risorse nate dallera industriale. Le meraviglie non ci stupiscono più. E qualche volta siamo, giustamente, perplessi sul reale valore dellinnovazione.
Con questo siamo arrivati a una chiara consapevolezza, a una nitida percezione di ciò che è progresso, novità utile, e ciò che invece ci fa regredire o ci porta in percorsi sbagliati, vicoli ciechi o pericolosi precipizi?
Basta guardarsi un po intorno per capire che non è così. Non si tratta solo dei grandi problemi di cui tanto si discute (senza trovare alcuna soluzione che non sia un inadeguato palliativo). In ogni aspetto della vita e del lavoro si moltiplicano le innovazioni sulla cui utilità è ragionevole avere molti e crescenti dubbi.
Ho già parlato varie volte, in libri e articoli, dei percorsi spesso sbagliati in cui ci porta una presunta innovazione tecnica.
Vedi per esempio:
Il problema delle tecnologie
I malanni delle tecnologie
La congestione tecnologica
Il paradosso della tecnologia
La leggenda di Moore
La legge di GoogleMa credo che sia venuto il momento di fare un altro passo verso un più radicale approfondimento del problema.
Linnovazione non è sempre indispensabile. Ci sono cose che vanno bene come sono (o erano meglio prima che qualche malpensato cambiamento le peggiorasse). È sbagliato e pericoloso correre in avanti prima di aver verificato se quello che cè funziona come dovrebbe.
Un esempio fra tanti... le tecniche della medicina hanno fatto progressi straordinari (anche se molte patologie, gravi o anche soltanto fastidiose, rimangono difficilmente curabili). Ma da decenni sappiamo che la perdita del medico di famiglia, del punto di riferimento che tratti i pazienti come persone, ha compromesso gravemente il sistema. Il problema è noto. La soluzione manca. Una fondamentale innovazione, in questo caso, sarebbe la riscoperta in termini nuovi di una risorsa fondamentale che abbiamo perduto in una mal concepita corsa verso linnovazione. Proviamo a pensarci... in quanti altri casi, grandi o piccoli, sta succedendo qualcosa di simile?
Un altro esempio, fra le migliaia possibili, riguarda un fattto di scarsa rilevanza ma nel suo piccolo significativo per le lezioni che se ne possono imparare. (Scelgo apposta qualcosa che non riguarda le tecnologie dellinformazione e della comunicazione perché di quelle si è già parlato molte volte in questa rubrica e in altre). Era stato accolta con acritica esultanza la notizia dei nuovi monopattini o carrelli supertecnologici che avrebbero (si diceva) risolto il problema del traffico urbano. Del segway si sono vendute poche migliaia di esemplari. Poi è stato ritirato del commercio perché inaffidabile e pericoloso.
Quante altre innovazioni come quella abbiamo visto nascere e morire? Quante, purtroppo, non si sono estinte e ci stanno, ogni giorno, complicando la vita? Quante ancora ne arriveranno con risultati non meno deludenti?
In uninfinità di situazioni leccesso di specializzazione compromette lefficienza dei sistemi. Lo sviluppo delle tecnologie è spesso così spinto da portare ad applicazioni pratiche prima che se ne sia verificata la funzionalità e lutilità. Di questo passo, rischiamo di precipitare in un marasma di funzioni ingestibili e di cadere in una dipendenza dalle tecnologie che ci impedisce di vivere, sopravvivere e pensare senza lambiguo aiuto di qualche inaffidabile meccanismo.
È chiaro che lesplorazione scientifica, la ricerca pura, deve essere sostenuta e portata avanti anche senza alcun riferimento alle utilità come fondamentale e indispensabile strumento di conoscenza e di progresso. Ma il quadro cambia profondamente quando dallaffascinante percorso del pensiero e della sperimentazione si passa alle esigenze concrete delle applicazioni pratiche.
Se non vogliamo che investire nellinnovazione sia un aggregato di parole vuote, o una corsa in avanti senza bussola, dobbiamo dedicare molta attenzione a capire quali innovazioni devono essere incoraggiate, quali risorse applicative sono più adatte in ogni specifica situazione, quali fattori di metodo, di cultura, di valori umani sono indispensabili perché linnovazione faccia il cammino giusto.
Ancora oggi il progresso deve combattere contro presenze, tuttaltro che estinte, di oscurantismo, di luddismo, di forza dellabitudine e di rifiuto dellevoluzione. Ma deve guardarsi anche, con molta attenzione, da innovazioni scriteriate senza adeguati criteri di verifica. E dalla genericità di un pensiero superbo e stolto che glorifica il nuovo in quanto tale senza chiedersi se sia nuovo davvero (spesso si tratta di vecchio malamente riciclato) e se sia utile a tutti noi o solo a qualcuno che sta cercando di rifilarci, con luminarie e lustrini alla maniera del ballo Excelsior, qualche non entusiasmante patacca.
Cè un nesso di analogia fra questo articolo e le
osservazioni,
diverse ma complementari, in
Facciamo un passo indietro.