Il filo di Arianna
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
La legge di Google
ovvero
il tramonto
della leggenda di Moore
Certi criteri chiamati leggi (con più o meno serietà o ironia) in realtà non lo sono né nel senso giuridico della parola, né in quello scientifico. Ma sono molto utili come modi di pensare e come metodi per agire. Avevo citato alcuni esempi (non nuovi, ma più che mai di attualità) in un breve testo dellottobre 2001 (Riscopriamo le grandi leggi: Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla ).
Un interessante articolo pubblicato dallEconomist il 10 maggio 2003 trascura il fatto che la legge di Moore in realtà non è mai esistita (vedi La leggenda di Moore). Ma spiega che è irrilevante. Perché la quantità di dati elaborabili per centimetro (o millimetro) quadrato di un chip non potrà crescere allinfinito. Ma soprattutto perché non è quello il criterio per definire il modo in cui si usano le tecnologie.
Osservazioni analoghe compaiono sempre più spesso anche altrove. Per esempio una rivista supertecnica come Red Herring, prima di estinguersi, aveva pubblicato nel febbraio 2003 un servizio di copertina intitolato Forget Moores Law (dimentichiamo la legge di Moore). E spiegava i motivi. «Perché è malsana. Perché è diventata unossessione. Perché è pericolosa un treno deragliato che precipita verso il disastro».
Già da tempo si erano rilevati gli enormi sprechi e le gravi inefficienze provocate dallimpiego di tecnologie non abbastanza assoggettate ai processi organizzativi, alle funzionalità reali e alle esigenze umane e accelerate dalla furibonda orgia tecnologica degli anni 1998-2000. (Vedi Il paradosso delle tecnologie).
Il fatto che si possa avere una crescente capacità di elaborazione non vuol dire che si debba per forza usarla. Il fatto che molte risorse tecniche abbiano uno sviluppo veloce non vuol dire che si debbano continuamente rincorrere le innovazioni e tantomeno che i modi di agire debbano essere governati dalla fretta. LEconomist conclude che, comunque vadano le evoluzioni tecniche, dobbiamo smettere di pensare a una (vera o immaginaria) legge di Moore. Un criterio più rilevante si potrebbe chiamare legge di Google.
Non è questa la sede per discutere sulle qualità o sui difetti di Google o di altri motori di ricerca. Il fatto è che sistemi largamente affermati si sono suicidati, per vari motivi di cui il più grave è lingordigia. A forza di vendere le classifiche, infliggere invasività fastidiose, eccetera insomma distorcere la qualità del servizio per esagerata venalità sono diventati inutilizzabili. Google li ha sbaragliati offrendo una qualità migliore. E così facendo non solo ha ottenuto il dominio del settore, ma anche buoni risultati economici.
Che cosa se ne deduce? Che trasparenza, chiarezza, qualità e servizio indicano la strada vincente. Osservazioni di questo genere sono sempre più diffuse con parecchi anni di imperdonabile ritardo.
Anche dove prevaleva lestremismo tecnologico comincia a diffondersi un concetto su cui alcuni di noi insistono da anni: conviene studiare la storia. Per esempio lo sviluppo delle ferrovie, nel diciannovesimo secolo, è stato infestato da fallimenti, debiti, imbrogli, bolle finanziarie e scandali speculativi. (Vedi I baroni ladroni la storia è vecchia). La diffusione della radio, ottantanni fa, ha visto prevalere i produttori di contenuti e di servizi (cioè le emittenti) sui fornitori di tecnologie. (Vedi La nascita della radio e levoluzione turbolenta). Eccetera...
Linformation tecnhology, ignara della storia come delle esigenze umane, si è illusa di vivere in una perenne crescita esponenziale. Non è ancora riuscita a capire bene la lezione di un duro risveglio.
Fin dalle sue origini linformatica ha avuto un mercato (e un marketing) bizzarro. Come dicevo più di ventanni fa... «Questo è lunico mercato che io abbia mai visto in cui chi compra non sa che cosa compra e chi vende non sa che cosa vende». Trovavo consensi, più o meno imbarazzati, ai vertici delle grandi imprese (del settore o non). Ma pochi avevano il coraggio di ammetterlo in pubblico. Poi, negli anni e decenni seguenti, cè stata una vertiginosa impennata verso lassurdo (anche in altri campi, non solo nellinformation technology o in una immaginaria new economy). E ora...
Non cè più tempo da perdere. Convinto come sono che le gatte frettolose fanno i gattini ciechi, da questo punto di vista mi sembra che una percezione di urgenza sia desiderabile se non altro nel capire qual è la strada giusta e così evitare nuovi vicoli ciechi. Occorre riscoprire, con dedizione, entusiasmo ed energia, il buon senso e limportanza dei valori reali.
Il percorso verso linevitabile non può essere lineare, né semplice. Levoluzione sarà ancora, inevitabilmente, turbolenta. Ma il futuro (che è anche nel breve termine, non solo in prospettive di lungo) premierà chi saprà investire in servizi realmente utili e finalmente applicare strategie davvero customer driven, cioè pilotate dalle vere esigenze di chi compra e non dalle illusioni o dalla miope cupidigia di chi vende.
Post scriptum
(5 novembre 2003)
Alla fine di ottobre 2003 si era sparsa la voce che Google stesse progettando di quotarsi in borsa. E anche, contemporaneamente, che la Microsoft stesse cercando di comprare Google.
Non è possibile, naturalmente, sapere quanto di vero ci possa essere in queste ipotesi. Ma è comprensibile che abbiano suscitato qualche dibattito e perplessità.
Google cadrà nella trappola della speculazione e dovrà cambiare strategia? O, se comprato dalla Microsoft, ne diverrà uno strumento? Molti si chiedono chi, in questo caso, prenderà il posto di Google per diventare la nuova e più affidabile risorsa.
Accade, in situazioni come questa, che la statira dica più di molte dissertazioni. Come nel caso di una vignetta pubblicata il 5 novembre 2003 da Illiad (J. D. Frazer).
Altre vignette dello stesso autore si trovano in acuni
articoli
come, per esempio, sul tema dello spam
e
nei capitoli 36, 40
e 44 della versione
online
di Lumanità dellinternet
La storia continua
(12 maggio 2004)
Comera prevedibile, vera o falsa che fosse la voce di un tentativo da parte della Microsoft, non cè stata alcuna vendita di Google. E invece si sta delineando una sua (prudente) entrata in borsa.
Naturalmente questo ha scatenato una ridda di ipotesi da chi immagina unimprobabile rinascita della bolla speculativa a chi ragiona su un modo nuovo di proporsi agli imvestitori e cè anche chi si chiede se Google resterà fedele alla sua strategia vincente o si lascerà drogare e corrompere dal successo e dal denaro. Si vedrà.
Ma intanto è sconcertante che autorevoli commetatori, scoperta lesistenza di Google solo perché se ne parla in ambienti finanziari, si sbizzarriscano in ipotesi e dissertazioni sulla nuova biblioteca universale come se linternet fosse nata ieri e non ci fosse mai stato un motore di ricerca.