L’umanità dell’internet
(le vie della rete sono infinite)

omini
di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it



Capitolo 51
Identità e responsabilità


Ci sono due argomenti di cui si discute molto, fin dalle origini della rete. Uno è il “diritto all’anonimato” e l’altro è la responsabilità dei contenuti. Sono, e rimarrò, un sostenitore “accanito” dei diritti e della libertà delle persone nell’internet; ma ogni libertà ha i suoi limiti e in questi casi mi sembra necessario ammettere che i limiti ci sono.

Cominciamo con l’identità. Nelle altre forme di comunicazione, una “lettera anonima” è considerata una scorrettezza e una “telefonata anonima” è inammissibile. In rete, invece, c’è chi pensa che sia un diritto nascondersi dietro un alias, cioè uno pseudonimo. Mi sembra indiscutibile che ognuno abbia il diritto di chiamarsi e firmarsi come crede. Ma “nascondersi” è una cosa diversa.

Gli pseudonimi sono sempre esistiti nella letteratura; ma in generale si sa chi è la persona che ha scritto un certo libro che firma un certo articolo. Solo in casi particolari (in generale quando l’autore potrebbe subire una persecuzione politica) lo pseudonimo non è trasparente e la vera identità è nascosta. Ci sono (e ci sono sempre state) persone, nello spettacolo e in altre attività pubbliche, che hanno un “nome d’arte”; ma ciò non significa che la loro identità sia sconosciuta.

Può essere utile ricordare che nella legge e nel costume anglosassone il nome è considerato una scelta privata. Per esempio chi va in un albergo negli Stati Uniti ha il diritto di dare all’albergatore il nome che vuole. Nel 99,9 per cento dei casi le persone danno il loro nome vero; e comunque sono identificabili dalla loro carta di credito. Ma è proverbiale il caso della “coppia clandestina” che paga in contanti e si registra come “signore e signora Smith”. Cosa che in Italia sarebbe impossibile, o almeno è piuttosto difficile, perché gli alberghi sono obbligati per legge a verificare l’identità dei loro ospiti.

Ma, indipendentemente dalle differenze di leggi e usanze, siamo abituati a pensare che ognuno abbia un nome e sia riconoscibile; e anche in rete è quasi sempre così. Nelle chat è abituale l’uso di nickname, ma di solito è solo un gioco. Per gli indirizzi di posta elettronica possiamo usare nomi di fantasia, e molti lo fanno; ma normalmente i messaggi si firmano; e nella corrispondenza abituale sappiamo chi è la persona che ci scrive dalla mailbox socrate@platone.it

In pratica, quindi, è raro che ci sia un problema di “anonimato”. Ma è giusto che ci sia un criterio. Se ognuno ha il diritto di firmare come vuole, o di non firmare del tutto, non è detto che gli altri siano “obbligati” a rispondere o accettare quella corrispondenza. Quindi ognuno di noi ha il diritto e la facoltà di decidere se vuole leggere messaggi non firmati o scritti da persone non identificabili. E se qualcuno si comporta male? Anche senza arrivare a questioni legali, il moderatore di una lista o di un newsgroup, o il gestore (administrator) di un sistema, può chiudere l’accesso a chi non segue i criteri della netiquette, o ha un comportamento incivile, o non si adegua alla policy definita per quell’ambiente.

Nelle situazioni specifiche possono nascere dissensi, secondo i criteri per definire che cosa è accettabile e che cosa no. Ci sono cose che in alcuni ambienti di dialogo sono considerate normali, in altri non sono ammesse. In ogni caso non è discutibile il diritto di chi è responsabile di un ambiente (che sia una lista, una chat room o un altro punto di incontro) di stabilire i criteri e farli rispettare. Chi non li accetta può andare altrove. In “casi estremi” la verifica può essere difficile, perché una persona “scacciata” può usare un’identità (mailbox) diversa e cercare di rientrare. Ma in pratica c’è quasi sempre un modo per identificarlo. Se necessario, può essere bloccato l’accesso (per esempio la possibilità di “abbonarsi” a una lista) se l’identità delle persone non è nota e verificata. Oltre ai difetti di comportamento, possono esserci anche altri problemi; come lo spamming), la diffusione (anche involontaria) di virus o errori tecnici di varia specie.

Insomma il “diritto all’anonimato” ha un limite, secondo il principio che sta dietro a ogni concetto ragionevole di libertà: ognuno può fare ciò che vuole fin che non lede la libertà e i diritti degli altri. E con questo arriviamo al concetto di “responsabilità”. Chi è responsabile di ciò che si scrive e si diffonde in rete? Evidentemente di ogni testo è responsabile chi l’ha scritto. Ma non è così semplice...

Anche senza considerare gli aspetti legali, né entrare nella delicata e complessa questione della “diffamazione” e dei “reati di opinione”, è evidente che non è civile diffondere notizie false o calunnie, attribuire a una persona comportamenti e opinioni che non ha, o raccontare in pubblico cose che qualcuno ci ha detto o scritto in privato. Il “pettegolezzo” è una malattia diffusa, e se un pettegolo parla e sparla in incontri personali o per telefono è difficile rintracciarlo.

La diffusione delle calunnie non è certo una cosa nuova. Charles Talleyrand, un politico astuto, intelligente e di pochi scrupoli, diceva Calomniez, calomniez, quelque chose restera. E c’è la famosa aria nel Barbiere di Siviglia di Rossini, La calunnia è un venticello...

Ma in rete la cosa è un po’ diversa. Scripta manent e quindi un’affermazione può circolare e moltiplicarsi all’infinito; mentre, d’altro lato, è più facile scoprire il misfatto, anche se non sempre è semplice “risalire alla fonte”.

Ci sono molti (e ripetuti) tentativi di censurare la rete cercando di dare le responsabilità dei contenuti a chi gestisce un sistema online. C’è chi cerca di imporre la cosiddetta “responsabilità oggettiva del provider”.

Non sono solo tentativi. Le norme (europee e italiane) sul “commercio elettronico” invadono territori che nulla hanno a che fare con il commercio e prevedono un controllo da parte dei provider sui contenuti (in perverso contrasto con le ripetute dichiarazioni dell’Unione Europea sulla necessità di non interferire con la libertà della rete). Vedi l’articol0 di Andrea Monti: Luci e ombre nella direttiva sul commercio elettronico. Un fatto preoccupante è che in alcuni casi i provider, invece di ribellarsi a inaccettabili richieste di “ingerenza”, tendono ad adeguarsi o addirittura a esercitare “volontariamente” un’attività di controllo o “filtraggio”.

Questo è assurdo per un motivo pratico (è tecnicamente possibile, ma di fatto irrealizzabile, un controllo su tutta la posta che circola in un sistema) ma soprattutto perché sarebbe un’inaccettabile restrizione della libertà, trasformando ogni responsabile di un sistema telematico in un censore.

Un altro tentativo, che ogni tanto si ripete, è considerare ogni rubrica, lista, newsletter o sito online come una “testata giornalistica”, con l’obbligo di avere un “direttore responsabile”. Anche questo è assurdo, perché ognuno dev’essere libero di dire, scrivere e pubblicare ciò che vuole. Queste storture sono da evitare; ma in ogni caso non si elimina la responsabilità.

Anche in questo caso la minaccia non è solo teorica. In Italia è stato proposto un disegno di legge che obbligherebbe ogni pubblicazione online a registrarsi come “testata” e ad avere un “direttore” iscritto all’Albo dei Giornalisti (un’istituzione impropria e anacronistica di cui molti, giustamente, propongono l’abolizione). In queste proposte c’è una pericolosa connivenza fra interessi politici che vorrebbero censurare la rete e interessi corporativi delle associazioni di categoria. Vedi l’articolo di Manlio Cammarata Richiamare “all’Ordine” la libera informazione? e la documentazione in Nuove modifiche alla legge sulla stampa: l’informazione on line ha i giorni contati

Mentre questo libro era in stampa c’è stata una diffusa polemica sulle possibili sonseguenze di una nuova e mal concepita legge sull’editoria, che si presta a interpretazioni molto pericolose per la libertà di comunicazione in rete. Vedi Una legge molto confusa e Timeo Danaos

Indipendentemente da ogni questione di legge, da un punto di vista umano e civile siamo responsabili di ciò che diffondiamo in rete. C’è una differenza sostanziale fra semplicemente “ospitare” messaggi altrui (in un servizio di posta o anche in una lista) e intenzionalmente riprodurli e diffonderli. Questo significa che ognuno di noi, prima di “duplicare” o citare una notizia o un’affermazione, deve chiedersi se è attendibile, se è interessante (e se non sta violando la privacy di chi l’ha scritta). Una altro criterio di correttezza, che non tutti seguono, è non “appropriarsi” di cose altrui senza “citare la fonte”; e, quando si cita qualcuno, evitare di distorcere il suo pensiero e il significato delle sue affermazioni.

C’è un problema in più con i link. Quando segnaliamo un sito, è prudente controllare che cosa contiene. Può capitare, per sbaglio, di indirizzare i nostri amici e corrispondenti verso qualcosa di diverso da ciò che pensavamo di consigliare (uno dei problemi è che i contenuti possono cambiare dopo che l’abbiamo segnalato) o di favorire qualche “fabbrica di spam”. Non c’è alcuna ricetta fissa o metodo sicuro per evitare questi problemi, ma con un po’ di attenzione e buon senso è abbastanza facile capire quali sono gli ambienti che meritano di essere segnalati e quali no.

Insomma ognuno è responsabile di ciò che personalmente scrive, o di ciò che intenzionalmente diffonde. Chi gestisce un’area di dialogo (come il moderatore di una lista) è responsabile dei comportamenti e della civiltà dell’ambiente, ma non del contenuto di ciascun messaggio. Nessuno deve esercitare censura o limitare la libertà di opinione.

Ma c’è un’eccezione, e deriva dai casi di “anonimato”. Chi diffonde messaggi anonimi, o ne permette la diffusione, dev’essere in grado (in caso di necessità) di risalire all’identità della persona. Perché riceve un ordine da un magistrato, nel caso che ci siano problemi legali o il sospetto di attività criminali. O semplicemente per trovare l’origine di una scorrettezza. Che cosa succede se chi gestisce un sistema, o a citato un testo altrui, si rifiuta di rivelare l’identità dell’autore? Questo può accadere, per esempio, se qualcuno si trova in una situazione di pericolo: perché vive in un paese o un ambiente dove rischia repressione e violenza. In quel caso chi ospita o diffonde il contenuto ne deve assumere la responsabilità.

Da un punto di vista giuridico non c’è alcun bisogno di norme e leggi specifiche sull’internet, perché ognuno è responsabile di ciò che dice e scrive. Ma c’è un rischio, purtroppo molto reale, che l’affollarsi di regole e interventi ci tolga in rete quella libertà cui abbiamo comunque diritto. È vero che la complessità e molteplicità delle reti rende difficile la censura, perché ciò che si vieta od ostacola in un posto può rispuntare in un altro. Ma ciò non significa che possa essere consentito a chiunque (che sia lo stato, la legge o un’organizzazione privata) impedirci di esprimerci come vogliamo e dove vogliamo (e di trovare le informazioni e le opinioni che cerchiamo) senza dover ricorrere a trucchi o percorsi complessi.

D’altro lato... essere liberi significa anche essere responsabili e civili. Dobbiamo perciò impegnarci sempre a rispettare la libertà e la riservatezza di tutti; ed essere sempre pronti ad assumere la responsabilità di ciò che diciamo e scriviamo. Ce lo impone, prima ancora della legge, il rispetto per le persone che ci leggono.






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