Stupidità e perversità
dell’informazione

Giancarlo Livraghi – giugno 2012
(con due “supplementi” in luglio)

 
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Un esempio fra mille. La Repubblica, 14 giugno 2012. Titolo intera pagina 23. A caccia di rame a 1200 km. di profondità ecco il nuovo viaggio al centro della terra. Ovviamente si tratta di 1200 metri – e anche così la profondità è molto impegnativa. Non è solo un refuso: il distratto “titolista” sembra davvero convinto che sia possibile scavare una miniera fino “al centro della terra” (o, con misure meno azzardate ma altrettanto impossibili, a un quinto del raggio del pianeta e oltre mille volte la fossa più profonda dell’oceano).

Questo errore (come tanti simili) può sembrare innocuo. Le esplorazioni minerarie non toccano da vicino l’esperienza quotidiana della maggior parte dei lettori. Ma è pericoloso abituarsi a credere l’impossibile e l’assurdo. E c’è altrettanta sciatteria, insieme a “sensazionalismo” e manieristica superficialità, anche in molte (pseudo) notizie e farraginosi commenti che influiscono sulla nostra percezione della realtà in cui siamo immersi.

È sempre necessaria una premessa. Non ho alcuna ostilità generica contro i giornalisti e il giornalismo. Quando fanno bene il loro lavoro, hanno un ruolo indispensabile. Ed è comunque indiscutibile il valore della libertà di stampa e di opinione, come il diritto-dovere di cronaca.

Ma... ci sono problemi gravi. Un fenomeno che mi sembra corretto definire “opinione dominante” distorce profondamente, e ostinatamente, tutto il sistema. Se ne è già parlato varie volte in queste pagine (anche recentemente, in La crisi dell’informazione (ottobre 2011) e L’arte perversa del piagnisteo (dicembre 2011). Non solo la sindrome sembra inguaribile, ma tende continuamente ad aggravarsi.

Ci sono, talvolta, voci critiche – di dissenso o di buon senso. Ma hanno “poco volume”. Poco spazio, poco tempo, poca attenzione rispetto all’enorme imperversante fragore delle ripetitive banalità e distorsioni.

Mi limito ad alcuni esempi, fra i più recenti e vistosi. Uno è il mostruoso assassinio, il 19 maggio 2012, di una ragazza che entrava a scuola a Brindisi (e gravi lesioni ad alcune altre). È stato accolto in tutta Italia con accorato, consapevole e dignitoso dolore. Profondo, ma non sguaiato, sgomento. Con una spregevole, disgustosa eccezione: gli avvoltoi della cronaca frettolosa.

Non è chiaro chi, come e perché abbia “lasciato trapelare” il nome di un indiziato (poi risultato estraneo ai fatti). La conseguenza è che si è rischiato un demenziale linciaggio. Intanto la pseudoinformazione si è sbizzarrita in una grottesca moltiplicazione di congetture, tutte risultate false.

È seguita una fase di prudente silenzio, che è servita agli investigatori per identificare un colpevole del crimine (ma non i motivi). È subito riesplosa la ridda insensata delle congetture. Poi, per fortuna, il silenzio è ritornato (“lasciando trapelare” solo qualche non nocivo dettaglio) e possiamo sperare che le indagini continuino senza essere disturbate dall’invadenza delle pseudonotizie, illazioni, fantasie, elucubrazioni e falsi scoop.

Il male è antico – è non è solo italiano. Ma, proprio perché oggi abbiamo risorse di comunicazione sempre più diffuse e veloci, diventa ancora più importante capire che quel genere di “giornalismo” (o di amplificazione delle panzane nei dialoghi privati, con la cassa di risonanza dei sistemi online) non è informazione. È parossistico gonfiamento della stupidità.

Quando impareremo, tutti quanti, che avere una notizia attendibile, o un’opinione fondata, qualche giorno più tardi (su alcuni temi complessi, mesi o anni) è molto meglio che essere continuamente confusi da una proliferazione di panzane o di premature, quasi sempre devianti, illazioni?

Non sono meno dannosi i preconcetti, i manierismi, i “modi di dire”, nati chissà come e chissà perché e ripetuti ad infinitum senza mai fermarsi per un attimo a chiedersi se abbiano un qualsiasi significato.

È accaduto, per esempio, nove mesi fa – con la pseudonotizia dei neutrini “più veloci della luce”. Nessuno diceva che esistesse un “fatto dimostrato”. Occorreva verificare se ci fosse un errore di calcolo (come poi è risultato). Ma intanto i propalatori di ignoranza si erano scatenati in una sarabanda di ipotesi (compresa l’idiozia della “sconfitta di Einstein”, che sarebbe stato felice di un esperimento in grado di modificare la teoria della relatività).

Intanto le panzane pseudoscientifiche continuano a moltiplicarsi. Per esempio: nell’anticamera di un dentista ho trovato un numero di una rivista considerata (chissà perché) “autorevole” in gran parte dedicato a una straordinaria, quanto falsa, “scoperta”. Qualcuno (senza averne alcuna attendibile prova) sostiene che le piramidi di Giza (e la Sfinge) sono state costruite diecimila anni prima del regno di Cheope. Da sconosciuti architetti e ingegneri che ovviamente si immagina fossero “extraterrestri” o venissero dalla mitica Atlantide. Ognuno ha il diritto di fantasticare come vuole. Ma è imperdonabile che fiabe di questo genere si propongano come “scientifiche”.

Sono cose che riguardano solo gli scienziati? No. Perché la “divulgazione” (quando è ben fatta) è sempre utile. E perché gli sviluppi della scienza hanno sempre avuto – e continueranno ad avere – un effetto importante sulla realtà pratica.

Proprio per questo, è sempre più necessario evitare che “notizie” strampalate, come la prossima fine del mondo o la scoperta di un elisir di immortalità, ci confondano e ci distraggano dalla necessaria comprensione dei problemi reali e delle loro possibili soluzioni. Che ci sono, ma diventano irreperibili nella nebbia della confusione imperversante.

Gli esempi di falsità, superficialita e sciocchezze disorientanti, su ogni sorta di argomenti, potrebbero riempire centinaia di pagine. Ce n’è uno, molto ingombrante, su cui è inevitabile ritornare: la cosiddetta “crisi economica”.

Avevo già spiegato le radici del problema in C’era una volta il mercato (agosto 2011) e Stupidocrazia (gennaio 2012). Ma l’esasperante, opprimente vicenda continua – e ci sono motivi rilevanti per un aggiornamento.

I “grandi mezzi di informazione” si crogiolano nell’illusione di aver fatto (e di continuare a fare) un buon lavoro. I fatti dimostrano il contrario.

Può essere vero che le (comunque inevitabili) notizie sulla “recessione” abbiano indotto i cittadini a sottomettersi con più disciplina e meno proteste ai “necessari sacrifici”. Ma per questo sarebbe bastata una quantità enormemente più piccola dello smisurato e confuso fracasso in cui siamo sommersi, con crescente invadenza, da quattro anni. Mentre i problemi (che c’erano anche prima) per troppo tempo erano stati ignorati o sottovalutati.

Una “opinione pubblica” smarrita e confusa è continuamente bombardata di incomprensibili tecnicherie finanziarie portatrici di oscure profezie di sventura. Senza alcuna sensata indicazione di quali possano essere i rimedi.

Il risultato è disastroso. Una diffusa e crescente paura, confusa e oscura depressione, che provoca malessere, scoraggia ogni iniziativa, aiuta ogni sorta di sfruttatori, avari, strozzini, imbroglioni e speculatori. «Eh, sai, c’è la crisi» è lo squallido ritornello per negare il lavoro o pagarlo male, umiliare e sfruttare, sottrarsi alle responsabilità. Questa ossessiva insistenza non è informazione. È associazione e induzione a delinquere.

In parte le distorsioni sono intenzionali. Ma più estesamente sono soltanto stupide. L’eco passiva di ripetute insulsaggini (o perfide bugie) che sono diventate abitudini.

Dopo anni di desolante e deprimente inno alla catastrofe, alcuni mesi fa (con incredibile ritardo) si è cominciato a dire che “aggiustare i conti” non basta, occorre rimettere in moto l’economia reale. E farlo in modo che non giovi solo a “pochi ricchi”, ma soprattutto alla maggioranza sempre più numerosa delle persone senza lavoro o comunque sacrificate e impoverite. Alle dichiarate “buone intenzioni” non sono seguiti i fatti. Fino a quando, in questi giorni, sono improvvisamente comparse notizie che sembrano incoraggianti. Compresi strani numeri – decine di miliardi si rivelano, tutt’a un tratto, disponibili. Fino a ieri, dov’erano nascosti?

È evidente, da sempre, che la contabilità non è una scienza esatta e i numeri sono “interpretabili”. Se dal preconcetto di inevitabili disastri si passa alle “buone intenzioni” può essere un reale progresso, anche per gli effetti che può avere sul comportamento pratico di persone, imprese, organizzazioni e istituzioni. Ma rimarrà difficile capire se non si risanerà la (cosiddetta) informazione dalle sue cattive abitudini.

Un articolo di Eugenio Scalfari (l’Espresso, 21 giugno 2012) è dedicato a un solo telegiornale (la 7) e un solo giornalista (Enrico Mentana). Un successo (crescita degli ascolti) per l’emittente – e per il direttore-protagonista. Ma c’è un problema. La dichiarata e ostinatamente perseguita concentrazione sulle “cattive notizie” è un veleno per la cultura e per la società civile. «Io lo adoro – dice Scalfari di Mentana – ma è sulla strada di diventare il pericolo pubblico di tutti i democratici di questo paese».

Possiamo sperare che Mentana ascolti i consigli e renda un po’ più equilibrato il suo telegiornale? Chissà, vedremo. Ma sarebbe desiderabile che Scalfari desse un’occhiata anche in casa sua, perché le testate del suo gruppo non sono immuni dal catastrofismo, né dal contagio dei “luoghi comuni”.

Il fatto è che non si tratta di una sola emittente, o testata, o gruppo editoriale. Il male è diffuso – non solo in Italia. Naturalmente sarebbe molto stupido passare dal “tutto va male” a un altrettanto sciocco “tutto va bene”. Ma sarebbe utile che alla passiva ripetizione delle banalità si sostituisse un po’ di autentico giornalismo d’inchiesta, rinunciando alla falsa urgenza di interpretazioni frettolose per avere il tempo di guardare oltre l’ingannevole superficie delle apparenze e dei pettegolezzi. Cosa che, talvolta, qualcuno fa – ma gli interventi sensati sono così rari che rimangono sommersi dall’onda travolgente delle ripetitive sciocchezze.

Uno dei fastidiosi problemi è la sovrabbondante quantità di tempo e di spazio dedicata ai malanni, ai maneggi e agli intrighi della politica. Ovviamente è giusto e doveroso che l’opinione pubblica sia informata. Ma non è affatto necessario che a ogni piccolo dettaglio siano dedicate troppe pagine o troppe ore (spesso ripetendo ad nauseam le stesse squallide notizie – o congetture – e gli stessi banali commenti). A scapito di carenti o assenti informazioni e analisi su fatti e situazioni molto più importanti.

Per fortuna non sono del tutto assenti le notizie su ciò che accade nel resto del mondo. Ma sono scarse, rispetto a ciò che sarebbe utile sapere e capire. I lettori o ascoltatori sono inguaribilmente provinciali? La scusa è troppo comoda per poter essere valida. Ovviamente a priori ognuno è più interessato a ciò che gli è più vicino. Ma è il mestiere di un buon giornalista fare in modo che anche chi non è abituato a pensare oltre un chilometro da casa sua possa scoprire il valore di una notizia che viene dal Chissadovistan.

Oltre a un ingombro eccessivo di noiosi dettagli sulle minuzie della politica, a scapito di ciò che è politicamente rilevante, c’è anche un disordinato e irrilevante fracasso sulla cosiddetta “antipolitica”, che serve solo a fare confusione. Nel già citato articolo di Eugenio Scalfari c’è anche un altro rimprovero a Enrico Mentana. «Che un giornalista democratico come lui stia diventando un “supporter” dell’antipolitica questo ancora non l’avevamo visto. Pienamente legittimo, ma estremamente preoccupante».

Anche in questo senso, non si tratta di un solo giornalista o di un solo telegiornale. La maniacale bizzarria è ampiamente diffusa.

In queste pagine mi sono sempre imposto una regola: non entrare in situazioni di “schieramento” politico. La mia intenzione (e spero di esserci sempre riuscito) è badare ai fatti, alle circostanze e alla loro interpretazione – indipendentemente da come le conseguenze si possano tradurre in scelte ideologiche o in voti alle elezioni. Non sto mancando a quell’impegno nelle osservazioni che seguono, perché si tratta di cose e comportamenti che non meritano il nome di “politica”, neppure nei peggiori significati del termine.

Talvolta, negli anni scorsi, mi sono trovato in dissenso, anche con persone che stimo, per il mio totale rifiuto di dar retta a un ex comico diventato predicatore e agitatore. Con inutile e sgradevole volgarità, ma soprattutto con una indigeribile mescolanza di cose vere quanto ovvie e di intollerabili panzane. Il tempo passa, la mia opinione non cambia, anzi trova continue conferme. Ma intanto la fama del buzzurro cresce e il danno aumenta. E spuntano altre improvvisate iniziative della stessa sgradevole specie.

Possiamo sperare che il danno sia limitato, perché i palloni gonfiati tendono a sgonfiarsi. Ma mi sembra interessante notare come anche questo grottesco pasticcio sia nutrito dalla dabbenaggine della pseudoinformazione.

Furbescamente il pupazzo dice di disprezzare i mass media in generale e in particolare la televisione. Mentre è evidente che sono proprio loro, in preda a chissà quale crisi di masochismo, a gonfiare la stupida bolla.

Il brutto gioco, certamente, finirà – ma il problema è come e quando. Dobbiamo sperare che si esaurisca prima di aver fatto eccessivi danni.

Un altro fenomeno fastidioso è la quantità di scempiaggini che si dicono e si scrivono sull’internet. Un tema non nuovo in queste pagine, perché da vent’anni ragiono e scrivo sulla rete. Ma è desolante constatare che potrei ripetere oggi ciò che dicevo ai tempi ormai remoti in cui si andava per bbs.

Non so in che mondo vivano tanti che dissertano sull’argomento. Ma dovrà pure venire il giorno in cui capiranno che non può esistere un “popolo del web” – né un’opinione condivisa da milioni di persone diverse che ovviamente non hanno la possibilità di comunicare con “tutti” gli altri utilizzatori degli stessi sistemi.

Semmai si potrebbe supporre che persone con più ampie e veloci risorse di conoscenza e comunicazione – oltre a più facili possibilità di verifica – siano meglio informate e più consapevoli. Quindici anni fa, anch’io ero caduto nell’errore di immaginare che fosse così. Ma poi ho imparato che non è vero. La curiosità, l’attenzione, la voglia di capire, la coltivazione del dubbio sono doti umane. Le macchine e i sistemi di connessione sono solo strumenti.

Circola in rete la stessa miscela di cose interessanti e di stupidaggini che si trova in ogni altra forma di comunicazione. Con una differenza: più possibilità di controllare. Ma solo i più attenti e curiosi imparano come si fa.

Un altro problema, nel generale degrado della comunicazione, è la qualità dei testi (scritti o parlati). È ragionevole presumere che un buon giornalista (o presentatore o “conduttore” o commentatore) si sappia esprimere in chiaro, preciso, efficace italiano. Ce ne sono – ed è un piacere leggerli o ascoltarli. Ma aumenta continuamente il numero dei pasticcioni. Confusi, incoerenti, prolissi, noiosi. Spesso dediti a giochetti verbali che divertono solo chi li fa, vezzi sciocchi e banali manierismi, non solo inutili, ma soprattutto fastidiosi.

La degenerazione del linguaggio, con conseguenze che non sono soltanto estetiche, meriterebbe un ragionamento a parte. Ma probabilmente non lo scriverò mai, perché gli esempi sono così tanti che citare anche solo i più vistosi sarebbe esasperatamente lungo. E anche perché scavare in quella pattumiera è noiosamente nauseabondo.

Per concludere, ritorniamo di nuovo al tema che, mostruosamente, continua a imperversare: la cosiddetta “crisi”. Chissà quali assurdità saliranno alle luci della ribalta nelle prossime settimane o mesi. In questi giorni si tratta della Grecia. Siamo stati inondati di stravaganti ipotesi sull’uscita di vari paesi dall’Europa. O di generale fallimento dell’Unione. Che sarebbe disastroso per tutti, anche fuori dai confini europei.

Nonostante la diffusa e perversa stupidità in ogni genere di potere, le peggiori “previsioni” finora non si sono avverate. Ma hanno provocato una totalmente ingiustificata, e ferocemente dolorosa, sofferenza umana, non solo nei paesi più duramente “incriminati”, ma anche in tutto il resto del mondo.

Se qualcuno avesse badato alla sostanza, anziché alle chiacchiere e alle manipolazioni, sarebbe sempre stato evidente che i greci non vogliono ritornare alla dracma, né comunque uscire dall’euro (o dall’Europa) ma giustamente chiedono che la sofferenza per “adeguarsi” non sia esagerata. La stessa esigenza c’è anche per tutti gli altri. Compresa la “virtuosa” e presuntuosa Germania, che non uscirebbe indenne da un crollo europeo.

L’esito delle elezioni greche, il 17 giugno, è stato definito un “sospiro di sollievo” rispetto alle elucubrazioni dei catastrofisti. Ma è durato poco. Si è subito ripetuto il solito, perverso errore: dare importanza al “giudizio dei mercati”, cioè al demente gioco d’azzardo della speculazione finanziaria. Che non ha oggi, come non ha mai avuto, alcun rapporto con l’economia reale.

Perché sono ancora così timide e sommesse le constatazioni del fatto evidente che l’origine delle malversazioni finanziarie non è in Europa – e le radici di quell’orrido parassita devono essere estirpate su scala mondiale, a cominciare dai “mercati finanziari” di New York e di Londra?

È noioso, sgradevole, deprimente dovermi ripetere. Ma è inevitabile constatare che né i potenti di tutto il mondo, né il sistema scardinato della confusa informazione, riescono a liberarsi dalla perversa ossessione della finanza. Un’ennesima e preoccupante conferma del potere della stupidità.




Post scriptum


È raro che le coincidenze siano casuali. Comunque, ce n’è una interessante. Avevo appena finito di scrivere queste osservazioni quando è stato pubblicato nella rubrica “L’amaca” di Michele Serra (la Repubblica, 19 giugno 2012) un testo chiaro e lucido, che qui ricopio per intero.

Si legge che il voto greco “non basta ai mercati” e ci si ingegna di capire che cosa basti, ai mercati: la consegna immediata di tutte le ragazze vergini? La testa del Battista su un piatto d’argento? La donazione di ogni bene pubblico e privato al circolo ricreativo dei banchieri? L’uso obbligatorio del papillon? Ma poi, soprattutto: chi diavolo sono, questi misteriosi “mercati”? Hanno fisionomia giuridica, un portavoce, un responsabile, un legale rappresentante, qualche nome o cognome al quale, all’occorrenza, presentare reclamo? Qualcuno ha mai votato per loro? Se sbagliano, si dimettono? Quando e dove è stato deciso che il loro giudizio (il famoso “giudizio dei mercati”) conta più del giudizio dell’intera classe politica mondiale? Perfino i più esecrabili dittatori ci mettono la propria faccia, e a volte finiscono la carriera appesi a un lampione. Perché i mercati no? Se contano tanto (tanto da affamare i popoli, volendo, e tanto da salvarli, sempre volendo) perché sono l’unico potere, in tutto l’Occidente, che non si espone mai, non parla nei telegiornali, non viene intervistato, fotografato, incalzato? Perché siamo tutti ai piedi di un’entità metafisica che per giunta non dispensa alcun genere di risarcimento spirituale, anche scadente?

 
Alcune osservazioni e domande.

  1. Finalmente: “meglio tardi che mai”. Ma perché così tardi?

  2. Quando il resto del mondo giornalistico comincerà a capire? Nello stesso giornale, stessa data, il titolo in prima pagina è “non basta ai mercati”. (La solita servile, ottusa acquiescenza continua anche in tutti gli altri).

  3. Non si tratta solo di “l’Occidente”. È contagiata ogni parte del pianeta.

  4. “Chi sono” le entità metafisiche non è un segreto. Alcune (“agenzie di rating”) sono precisamente identificabili. Degli altri ladroni non conosciamo sempre nome e cognome, ma il loro ruolo è chiaro e sappiamo dove si trovano. Sono profittatori, operatori, consulenti del “gioco in borsa”. Gli unici a guadagnare in questo assurdo e spietato regime – a scapito di tutto il resto dell’umanità.

  5. Quousque tandem?




Supplemento

luglio 2012


Sono passati solo dieci giorni. Ma già l’intero sistema della pseudoinformazione è entrato in un nuovo stato confusionale. Alcuni incontri (previsti e programmati) a livello europeo hanno tolto ogni ombra di significato al diluvio di congetture che aveva sommerso qualsiasi tentativo di buon senso. Ma la bagarre continua.

Naturalmente è ancora presto per poter valutare concretamente come si evolverà la situazione. Constatare l’insensatezza dei catastrofismi non basta per ottenere un miglioramento – né della situazione in Europa, né del complicato quadro mondiale. L’unica cosa chiara è che la “crisi” non è irrimediabile – e che per uscirne occorrono soluzioni diverse da quelle su cui si è troppo farneticato.

Che sia così è sempre stato ovvio, ma da cinque anni ci stiamo perdendo in una palude di diagnosi sbagliate e mancanza di impegno per uscire dal marasma.

Sembra che qualcosa, finalmente, stia cominciando a cambiare. Ma intanto i mass media (e anche molti dialoghi diffusi in rete) hanno scatenato un’altra ondata di idiozie: il confronto fra il campionato di calcio europeo e la situazione economico-politica. Finché rimane scherzo e ironia, forse può essere sopportabile. Ma la volgarità di illazioni, insulti, salamelecchi, smancerie e vanterie ha, in troppi casi, superato ogni limite di decenza. E le forzate analogie, oltre a essere insensate, servono solo a fare confusione.

Le chiacchiere sono state talmente puerili da esercitarsi sul fatto
che si chiamano Mario un calciatore, il capo del governo italiano,
il presidente della banca centrale europea e un idraulico in un videogioco.
Se questi giocatori di parole non fossero ignoranti di storia,
avrebbero potuto tirare in ballo anche Mario e Silla
.

Le pagliacciate seguite alla vittoria calcistica, in semifinale, dell’Italia sulla Germania si sono spente due giorni dopo, quando la finale è stata stravinta dalla Spagna. (Con qualsiasi esito, ogni elucubrazione sarebbe stata insensata, perché dal punto di vista politico la partita è da considerare “amichevole” – visto che per ovvi motivi Italia e Spagna, nel quadro europeo, sono più alleate che in contrasto).

Poco importa che alcuni calciatori, improvvisamente elevati al ruolo di eroi nazionali, siano altrettanto precipitosamente caduti nella polvere. Lasciamo che a raccogliere i cocci siano i noiosi specialisti del pettegolezzo. Ma la domanda è: con quali altre buffonate si metteranno a distrarci dal capire qual è – e come si sta evolvendo – la situazione politica, economica, sociale, culturale in cui ci troviamo?

Sarebbe ora che almeno alcuni dei disinformatori e confusocommentatori, dopo questa ennesima sbornia, trovassero il filo del buon senso. E spero di non essere in preda a una crisi di ingenuità se ho l’impressione che si stia facendo strada un po’ di consapevolezza in Europa – con un ruolo non irrilevante dell’Italia.

La promessa è chiara. Non più solo sacrifici, impegno per benessere e sviluppo. Mantenerla non sarà facile. Ci vorrebbe anche un risanamento dell’informazione.




E ancora...

luglio 2012


Non ho l’intenzione di continuare a infarcire queste osservazioni con “supplementi” che potrebbero essere quotidiani. Perché, mentre la generale disinformazione continua, ci sono ogni giorno accenni (ancora e finora troppo timidi e confusi) alla possibilità di prospettive diverse.

Ma c’è una “notizia” che merita di essere citata – anche perché era stata segnalata in queste pagine un anno fa (quasi sempre trascurata dai mass media) e ora se ne conosce il primo esito.

Non è una “coincidenza” che alle proteste per un insensato “declassamento” dell’Italia da parte di Moody’s (in distonia con altri, non meno confusi e arbitrari, “segnali” delle borse e della speculazione finanziaria) si accompagni la notizia che il 13 luglio 2012 (dopo quella su Standard & Poor’s alcuni giorni prima) la Procura di Trani (con la collaborazione di Milano) ha concluso anche l’inchiesta su Moody’s.

 
Trani
Possibile che la bella Trani sia l’unico posto al mondo
in cui si indaga su questi dementi criminali?
(Vedi C’era una volta il mercato)
 

C’è voluto un anno per completare l’indagine. Quanti ce ne vorranno per arrivare a una sentenza? Chissà. Ma intanto non c’è tempo da perdere.

È necessario – e sempre più urgente – che tutti i governi del mondo (non solo in Europa) siano più consapevoli e meno esitanti nel dare priorità all’economia reale e alle troppo sacrificate esigenze umane, civili e sociali.

E che tutto il sistema della cosiddetta informazione (in ogni parte del mondo, ma particolarmente in Italia) impari a dedicare più attenzione a fatti e problemi veri, riducendo l’ingombro delle manipolazioni finanziarie, degli intrighi politici, dei meschini maneggi e di ogni sorta di irrilevanti illazioni e pettegolezzi.


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