gassa

I nodi della rete
13 – marzo 2002



Imbrogli, trucchi
maschere e bugie


Tre messaggi nella lista MLIST


 



Antefatto: Pecunia non olet

Il 12 dicembre 2001, in risposta a un messaggio che chiedeva «possiamo davvero dire che lo spamming non paga?» avevo scritto:

Succede, purtroppo, che cose scorrette e mal fatte “paghino“ – anche per tempi assurdamente lunghi. Per esempio Vanna Marchi ha imbrogliato spudoratamente per vent’anni, ha avuto protezioni politiche, è stata glorificata come “diva“ dalle grandi televisioni e dai giornali (che non hanno la decenza di fare un’autocritica). Solo oggi è esposta al pubblico ludibrio – e solo oggi se ne occupa la magistratura.

Il cosiddetto e-mail marketing non è una nuova dottrina. È una banale rifrittura di vecchie idee del più antiquato e scadente “direct marketing“ (aka junk mail) e nel 99 per cento dei casi è un’etichetta di travestimento dello spamming (mal verniciato con formule fasulle di “finto consenso“ o di immaginaria selettività).

E anche tante altre cose... comprese quelle che non sono perseguibili come truffa, o non sono palesemente inaccettabili come lo spam... ma ugualmente inquinano il mercato.

Che dire, per esempio, di banche e fondi di investimento che (anche con il trading online e con le “gestioni di portafoglio“ carpite attraverso l’online banking) hanno mandato al massacro il “parco buoi“ dei risparmiatori per favorire le proprie manovre e quelle di alcuni clienti, privilegiati?

La triste realtà è che imbroglioni, pasticcioni, speculatori, inventori di formule magiche che non funzionano, eccetera, possono fare soldi. E spesso sono applauditi e riveriti per il fatto che ci riescono. Ma rovinano il mercato per tutti gli altri – e specialmente per chi lavora con serietà ed è in grado di costruire più seriamente.

I crolli e i fallimenti non sono bastati e non bastano. Perché in molte di quelle situazioni qualcuno, in un modo o nell’altro, è scappato la cassa. Perché tanti che meriterebbero di fallire sono ancora in ballo. E perché alcuni, che non meritavano di chiudere, o di essere soppressi, o di soffocare per mancanza di risorse, sono stati travolti dagli sgonfiamenti delle bolle e dalle svariate manovre di fusione, acquisizione e conseguenti ristrutturazioni.

Ne abbiamo viste tante... e temo che ne vedremo ancora.

Un po’ di buon senso e di cose ben fatte, un po’ per volta, dovrà prevalere. Ma la strada è ancora lunga – e in salita.

Giancarlo Livraghi




Imbrogli e pecunia – 13 marzo 2002

Mi sembra di cogliere un odorino strano nel dibattito sulle graduatorie truccate nei motori di ricerca. Dobbiamo, anche questa volta, “turarci il naso” in base al principio che pecunia non olet?

Correggetemi se sbaglio... ma a me sembra che “motori” storicamente affermati si siano suicidati per ingordigia vendendo le “graduatorie” e di conseguenza funzionando sempre peggio. Così arriva Google, che promette di non farlo – e, per quanto ne so, mantiene la promessa. Questo è uno dei motivi per cui Google li ha sbaragliati tutti. E, se non sbaglio, è in buona salute anche economica.

So che l’etica e la correttezza non sono di moda, ma non credo che sia sensato confondere i valori. Si può diventare ricchi in tanti modi, ma non mi sembra un buon motivo per confondere mercato con corruzione, marketing con imbroglio. Né mi sembra confermato che l’unico modo per fare “buon business” sia trattare i clienti da cretini.

Vi risulta che Amazon per fare profitti si sia messa a vendere le recensioni e valutazioni dei libri o a truccare il search facendosi pagare dagli editori? A me pare di no... ma, se così fosse, sarebbe il momento di abbandonarla. E sarebbe un’ottima occasione per qualcun altro che volesse farle seriamente concorrenza.

Ogni tanto i nodi vengono al pettine. Vedi Enron, vedi Andersen, eccetera.

Ci sono stati, e temo che ci siano ancora, medici che fanno le ricette non in base a ciò che serve al paziente ma ai soldi che prendono dalle case farmaceutiche. Ma quel comportamento non si chiama medicina, si chiama comparaggio. Ed è giustamente considerato criminale.

Insomma a me piace la chiarezza. Marketing è un concetto (e un mestiere) sostanzialmente diverso da quello che in gergo si chiama marchètting, con l’accento sulla e.

Giancarlo Livraghi




A proposito di spam – 14 marzo 2002

Un altro thread che non mi convince è quello ricorrente (non solo in questa lista) che cerca di giustificare lo spamming col fatto che esistevano ed esistono altre forme di comunicazione “spazzatura”, come la famigerata junk mail.

Sarebbe come dire che se il fruttivendolo mi ha venduto frutta marcia “se ne deduce” che il salumiere fa bene a rifilarmi salamini putrefatti.

(Con buona pace delle molte chiacchiere, e quasi zero fatti, sul cosiddetto permission marketing).

Certo. Succedeva anche tanti anni fa che ci arrivasse posta indesiderata; o che qualcuno ci disturbasse per telefono per cercare di rifilarci un’ennesima enciclopedia, qualche presunta opera d’arte o altre cose di cui non sentiamo il bisogno. O per invitarci a un importantissimo convegno a Roccacannucia sul sesso degli angeli o sulle preferenze alimentari dei lombrichi.

Ma ciò non vuol dire che si debba fare ancora peggio.

Le mie ricerche storiche non sono riuscite a stabilire quando sia nata la netiquette (l’ho chiesto a varia gente, compreso Vint Cerf, ma non se lo ricorda neppure lui). Pare che i primi documenti organizzati sull’argomento siano del 1985 (ma dei mali dello spamming, delle “catene di sant’Antonio”, eccetera, si parlava anche alcuni anni prima). Occorre davvero ritornare daccapo e rispiegarci ancora una volta perché lo spamming è una sciagura?

Con le nuove tecnologie le possibilità di invasività fastidiose si moltiplicano. I famigerati “premi uno premi due”, i sistemi telefonici che ci somministrano blateraggi commerciali prima di darci il servizio che cerchiamo (“dato e non concesso” che alla fine si riesca davvero ad accedere a ciò che volevamo). I servizi online infarciti di robaccia che rendono quasi irreperibile ciò che ci serve. Eccetera eccetera. Con la moltiplicazione delle cose che ci irritano e ci fanno perdere tempo, il fastidio aumenta. E naturalmente aumentano i “vantaggi competitivi” per chi invece di seguire quella strada perversa riesce a dare un servizio migliore.

Nello specifico... perché lo spamming è ancora peggio della posta “cartacea” indesiderata?  Perché costa poco e quindi qualsiasi imbecille può divertirsi a mandare milioni di messaggi. Perché spesso quando arriva posta indesiderata “cartacea” buttiamo via la busta senza neanche aprirla (ma anche in quel caso la situazione è peggiorata, perché ci rifilano quintali di blaterazioni nella stessa busta di cose che non possiamo buttar via, come un estratto conto bancario o una bolletta telefonica).

Comunque... è un po’ meno facile riconoscere a prima vista un messaggio spam – e quando si tratta di e-mail è un po’ più faticoso sgombrare il pattume dalla posta in arrivo. Inoltre... per ricevere posta indesiderata non siamo costretti ad andarla a prendere all’ufficio postale, mentre in rete siamo “attivi”, investiamo il nostro tempo per esserci, quindi l’invasività è ancora più fastidiosa.

Insomma... non si tratta di “giustificare” lo spamming con il cattivo uso della posta tradizionale, ma al contrario di cercare di capire come si possa avere meno spreco, meno fastidio, meno invasività in tutte le forme di comunicazione, compresa quella “cartacea” (o telefonica). Perché nell’ondata travolgente del pattume rischia di andar perso anche ciò che ha reale interesse e valore.

Naturalmente queste osservazioni non sono nuove. Ma c’è in giro molta diabolica perseveranza... e sembra che ci sia una tendenza a “dimenticare” e a ritornare continuamente daccapo... quindi repetita iuvant?

Giancarlo Livraghi


 

 
 


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