Non caschiamo nella rete,
impariamo a nuotare

Dialogo fra Giancarlo Livraghi e Antonio Margoni

gennaio 1998
“InTP“ (periodico dell’associazione professionisti pubblicitari)

 

 

Caro Giancarlo, sono trascorsi solo due anni da quella prima volta che ci siamo incontrati per parlare dell’internet, eppure mi pare che ne siano passati 10. Gli accessi erano pochissimi, tutti a velocità irrisorie. Di world wide web c’erano solo i primi accenni, si usava timidamente Mosaic, Netscape stava distribuendo le sue primissime versioni. Quasi nessuno, allora, aveva un indirizzo di posta elettronica. Ricordi?

Caro Antonio, è vero, sembra un secolo. Ho quasi un po’ di nostalgia. Le tecniche sembravano primitive, ma tutto era più semplice. Il modem aveva un decimo della velocità di oggi, ma in pratica la rete era meno lenta. Non voglio riprendere qui il tema delle tecnologie obese, cincischiate e inefficienti con cui siamo costretti a convivere (dovute in gran parte, ma non solo, alle malefatte della Microsoft) ma è uno dei problemi che in un modo o nell’altro dovranno essere risolti.


Ora, invece, siamo immersi in un mondo che tutti i giorni, con competenze inadeguate o troppo spesso assolutamente a sproposito, tratta di “internet” (avventurandosi talvolta verso “intranet” o addirittura “extranet”). Non passa settimana che non offra almeno 5 o 6 occasioni di incontro, dibattito, promozioni o formazione in quest’area.

Vedi, Antonio, per quarant'anni ho fatto un mestiere che tutti credevano di conoscere. Come in quella bella commedia di Molière, il Borghese Gentiluomo... je fais de la prose. Sentivo dire ogni giorno da tutti, leggevo ogni giorno dovunque, montagne di sciocchezze sulla pubblicità (oggi è ancora peggio). Mi dicevo: «in fondo è una specie di contrappasso, siamo così onnipresenti e ingombranti... in nostro castigo è che parlano e straparlano di noi».

E adesso che mi occupo della rete... non è affatto una cosa vistosa, non la vede nessuno se non va a cercarla, pochissimi ne hanno davvero esperienza, ma tutti ne parlano. Prima di riuscire a far capire a qualcuno, che non ne abbia esperienza quotidiana, di che cosa si tratta davvero bisogna disfare la montagna di idee sbagliate che la grancassa dei “mass media” gli ha messo in testa.

Convegni, congressi, dibattiti, conferenze, articoli e articolesse, trasmissioni televisive... un gran fracasso condotto quasi sempre da qualcuno che non ha la più remota idea di quello che dice. Conosco parecchie persone che tengono lezioni, anche in università importanti, e scrivono libri sulla rete – e non hanno un indirizzo e-mail.

Quanto a Intranet, Extranet, Quasinet e Circanet... molta terminologia, pochi fatti. Se ognuno pensasse a farsi la Suanet , tagliata su misura (come è perfettamente possibile) senza preoccuparsi di definirla... credo che faremmo un grosso passo avanti.


Si dice che oltre 50.000 aziende italiane abbiano un proprio sito web. Avrai notato come, sempre più spesso, le persone che incontriamo ci mettono in mano dei biglietti da visita completati con il proprio indirizzo e-mail.

Mah, in fatto di numeri ho imparato a essere molto scettico. Se ne sparano moltissimi, spesso contraddittori – e sono quasi tutti sbagliati. Nella maggior parte dei casi sono esagerazioni. Ma il vero problema non è quantitativo. Ormai la cosa è verificata in così tanti modi che non ci sono più possibili dubbi... la stragrande maggioranza delle aziende italiane che hanno aperto un sito web l’ha fatto senza alcuna strategia e senza sapere perché. La cosa è di moda, fa chic esserci, tanto costa poco...

Così vedi siti pieni di immagini e vuoti di contenuti, o che ripetono scioccamente e inutilmente le stesse cose che quelle imprese dicono nella loro pubblicità, o sono altrettanto inutili “atti di presenza”. Insomma siamo al paleolitico... ognuno addobba come può la sua caverna... ma se vorrà che qualcuno ci venga dovrà metterci qualcosa che a quell’altro interessi, non basta dire «guarda che bel mammut ho disegnato sul muro».

Quanto alle mailbox... vediamo davvero così tanti biglietti da visita con un indirizzo e-mail? E di quelli, quanti ce l’hanno messo perché “si usa” e quanti se ne servono davvero? La stragrande maggioranza della gente che conosco o che incontro (salvo quelli che ho conosciuto attraverso la rete) usa il fax e il telefono, quasi mai la posta elettronica. Comprese persone che lavorano in imprese fortemente informatizzate, con relazioni internazionali, eccetera eccetera.


Proprio in questi giorni, poi, si è formato un consorzio, tra società di ricerca, per definire uno standard italiano per la misurazione del "traffico" nella rete.

Che idea bislacca. La rete è per sua natura internazionale; se davvero avesse senso misurare il “traffico” in rete (cosa di cui dubito) l’ovvia esigenza sarebbe uno standard unico per tutti. Comunque c’è alla radice di questa, come di tante altre cose, un errore fondamentale di cui si fa grande fatica a liberarsi: il tentativo di concepire (o peggio, usare) la rete come se fosse un mezzo broadcasting, dove uno parla e tanti ascoltano, come quelli che abbiamo usato finora. Per fare quelle cose sono molto più efficienti la stampa, la televisione, la radio e l’affissione.

La rete non è, e non sarà mai, un “mezzo di massa”. I “grandi numeri” non ci sono, e comunque non contano. Invece piccole comunità possono essere straordinariamente fertili, se si sanno coltivare...


Infine, anche in Italia, si è iniziato a parlare di pubblicità nell’internet. Le cifre di cui dispongo parlano di 2-3 miliardi spesi nel 1997 da aziende italiane per inserire dei “banner” nei siti più frequentati. Certamente è ancora poca cosa, ma si dice che con l’anno venturo questa spesa potrebbe raggiungere i 20 miliardi.

Per il 1997 avevo sentito parlare di un miliardo speso in Italia, forse meno (la differenza potrebbe stare nel fatto che gran parte di ciò che investono le aziende italiane va a finire su siti americani). Ma credo che nessuno abbia dati credibili. Quanto al futuro, una delle tante cose che non capisco è perché in fatto di rete c’è sempre una gran quantità di profezie, di cui nessuna si è mai avverata. Già è difficile fare buone proiezioni quando si hanno serie storiche collaudate da decenni; che senso ha tentarle con una serie storica di uno o due anni, o (come in questo caso) di zero?

Sai bene, caro Antonio, che anche se fossero 10 o 20 miliardi sarebbe una cifra irrilevante rispetto alla pubblicità “tradizionale”. Ma visto che finora chi è andato in rete è rimasto (salvo poche brillanti eccezioni) con un pugno di mosche, in una situazione di buon senso dovrebbe esserci un arretramento, per ripensare e ripartire su basi più serie. Invece ho paura che ci sia davvero un salto quantitativo di "pubblicità" in rete.


Perché dici "ho paura"? Perché pensi che molti si avventureranno ancora senza sapere che cosa fanno, e ripartirà di nuovo il circuito illusione-delusione, cioè quel “hangover”, quel mal di testa dopo sbornia, di cui in America si parla da più di un anno?

Certo: ma non solo. C’è anche un fenomeno nuovo. Stanno partendo in pompa magna alcune grandi concessionarie. Che proporranno “banner” o cose simili come se fossero pura e semplice pubblicità. Ti immagini la scena? Fatto un contratto per qualche centinaio di milioni, o magari miliardi, il venditore proporrà di buttare qualche briciola sulla rete. O la offrirà “in omaggio” come ciliegina sulla torta (non sto immaginando... so che è già successo).

Non so se arriveranno a 10 miliardi, ma con questi sistemi non sarà difficile far piovere sulla rete qualcosa come l’uno per mille degli investimenti pubblicitari, cioè una smisurata doccia di banner e altri cosi buttati là a casaccio... che avrà l’effetto di quel letame che qualche giorno fa i lattai scaraventavano sulle autostrade. E temo che non sarà neppure un buon fertilizzante.

Il problema non è che le imprese così “sedotte” butteranno via i soldi (rispetto ai loro investimenti, sono cifre irrisorie). Il problema è che cacciarsi impreparati in un sistema interattivo vuol dire subirne le conseguenze... non sono pochi i casi di aziende che dicono a un consulente «il tuo compito non è mettermi in rete, è aiutarmi a capire come uscirne».


So con quanto impegno in questi anni tu ti sia occupato di questo fenomeno. Ho letto con interesse molti dei tuoi interventi e recentemente anche Il nuovo libro della pubblicità, oltre alla tua rubrica online sul marketing in rete.

Da pubblicitario a pubblicitario vorrei sapere come vivi e interpreti questo strumento. Ritieni che possa costituire un'opportunità per il mondo professionale delle pubblicità in genere e in Italia in particolare?

Credo che per l’Italia sia un'occasione straordinaria. Per muoversi bene nella rete occorrono alcune qualità. Flessibilità, iniziativa, intuizione, fantasia, ostinazione, spirito di servizio, capacità di dialogo e di adattamento... Ci sono migliaia di imprese italiane che hanno questo DNA. Vien da pensare soprattutto alle imprese medio-piccole, che proprio nella rete possono trovare lo strumento ideale per espandersi nel mondo, o migliorare in modo importante l'attività internazionale che già hanno. Ma anche alcune “grandi” hanno queste qualità, e anche per loro la rete può esere uno strumento prezioso.

Se c’è un’occasione per le imprese, evidentemente c’è anche (almeno in teoria) un’occasione per i professionisti che sappiano come aiutarle. Il problema è che è un mestiere completamente diverso dalla pubblicità come la conosciamo; e anche dal “direct marketing’ come si è fatto finora.

Insomma è un sistema di competenze tutto da inventare, con pochissima storia ed esperienza su cui basarsi; perché la cosa è ancora molto nuova, e molto confusa, in tutto il mondo.


Già... ma c’è già una grossa offerta di professionalità presunte e spesso inadeguate; e c’è anche un “difetto di domanda’, perché molte imprese cercano soluzioni semplicistiche e non danno retta a chi propone cose più serie ed efficaci.

È vero. Sono caratteristiche tipiche di un mercato “infantile”. Ricordo i miei primi passi in pubblicità.... quando tu non eri nato, Antonio, cominciava a nascere la comunicazione come metodo e mestiere (non mi piace chiamarla “tecnica” o “professione”). C'era in giro di tutto. Qualsiasi tipografo o venditore di spazio si proponeva come consulente. Oppure si chiamava qualche pittore, o qualche scrittore, che non si curava affatto di che cosa l’azienda volesse vendere o comunicare, e gli si diceva “disegnami (o scrivimi) qualcosa di carino”. Allora abbiamo dovuto inventarci un mestiere; adesso con la rete siamo daccapo.

Credo che ci siano due modi sostanzialmente diversi di essere “pubblicitario”. C'è chi è abituato ad andare in profondità, capire l’impresa, le sue esigenze, il prodotto, il mercato, gli intermediari, i consumatori, insomma a pensare in modo strategico. C’è chi invece bada solo a fare annunci, film o manifesti. La prima specie può convertirsi alla rete (se ha il tempo e la pazienza) ma ha bisogno di capire a fondo il sistema di rapporti e comportamenti (umani, non tecnici) di cui la rete è fatta. L’altra, secondo me, è meglio che non ci provi neppure.

La verità è che la pubblicità “tradizionale” continuerà a esistere; persone, professionisti, agenzie potranno sopravvivere benissimo senza occuparsi di cumunicazione in rete. Secondo me dovrebbero buttarsi nel nuovo terreno solo persone (e organizzazioni) che siano umanamente e personalmente appassionate al tema, che abbiano voglia di vivere la rete per motivi personali. Da questa esperienza (e passione, perché se non c’è voglia e sentimento il compito è arduo e faticoso) possono nascere le nuove “professionalità”.


Oggi le imprese ragionano sul “breve periodo”, si aspettano risultati immediati. La rete è elettronica, si immagina che vada alla velocità della luce. Se il compito è costruire relazioni, è difficile che i risultati siano immediati. Non ti sembra che questo sia un problema?

Proprio così. Ci possono essere sorprese impreviste, e se ci sono ben vengano; ma in generale è un processo abbastanza lento. Il vantaggio è che non c’è fretta; l’investimento iniziale può essere piccolo, si può crescere man mano, esplorando, imparando e correggendo lungo il percorso. Il vero vantaggio della comunicazione in rete è che, se ben organizzata, è una continua esplorazione e verifica. Si possono ridurre i margini di rischio, correggere subito gli errori. Ma bisogna essere costantemente presenti... e questo consuma la risorsa più preziosa, le energie umane.


Si cercano soluzioni semplicistiche. Si immagina che “essere in rete” voglia dire metter su una pagina web e mandare in giro un po’ di banner. Può servire “anche” quello, se fa parte di un progetto ben pensato... ma fare "solo" quello è quasi sempre un errore. Marketing in rete non significa necessariamente vendere prodotti o servizi attraverso la rete: questa è un’interpretazione riduttiva.

Se guardiamo i successi (sono pochi, ma ci sono) vediamo che sono tutti basati su formule molto meno semplicistiche. La rete serve innanzitutto per rendere più efficiente il sistema di relazioni. Si trovano connessioni con altri elementi della struttura aziendale (per esempio la logistica) e si fa nascere un modello più efficiente. Poi lo si propone... e se funziona cresce. Lentamente, all’inizio; ma poi raggiunge un “punto critico” e si impenna.

Guarda un caso classico come Amazon Books , la più grande libreria del mondo... hanno un catalogo di due milioni di libri. Ovviamente non possono averli a magazzino. Hanno trovato una soluzione organizzativa; e hanno anche una forte vocazione di servizio (offrono recensioni e strumenti di orientamento e di scelta molto interessanti). Tre anni fa erano tre gatti a Seattle, oggi fatturano decine di milioni di dollari. Si, hanno fatto anche qualche banner; ma la “pubblicità” ha avuto un ruolo infinitesimale nel loro successo.


Ma questo è un esempio di vendita tramite rete. Dicevamo che marketing in rete non vuol dire solo quello.

Infatti, bisogna ragionare in termini molto più ampi. La rete può servire per mille cose. Per dare un servizio migliore agli intermediari; per offrire un’assistenza più efficace (e al tempo stesso ridurre i costi); per stabilire un dialogo continuativo con i clienti e con altri interlocutori e costruire insieme a loro nuove strategie, anche nuovi prodotti...


Giustamente tu raccomandi di non avere fretta. Ma così facendo non corriamo il rischio di lasciare troppo spazio, o addirittura di promuovere l'ingresso, a nuove figure professionali che potrebbero occupare gli spazi lasciati liberi dal comunicatore? D’altra parte, secondo me, questo rischio è già presente. Il basso costo di attrezzatura ha reso possibile la formazione di molte entità che, pur nascendo come portatrici di sola tecnologia, sempre più spesso si cimentano (o forse sono costrette a cimentarsi) nelle aree proprie della comunicazione, dall’immagine grafica alla scrittura di testi. Qual è il tuo punto di vista?

Ho buoni amici fra i tecnici e i programmatori; sono persone intelligenti e non si offendono quando cito Clemenceau («la guerra è troppo importante per lasciarla fare ai generali») per dire che la rete è troppo interessante per lasciarla in mano solo ai tecnici EDP. Eppure si continua a constatare che nell’80 per cento delle aziende (specialmente le “grandi”) sono proprio i tecnici a occuparsi della rete.

L’invasione di competenze è già avvenuta. Praticamente tutti i provider dicono, come il tipografo d’altri tempi, «venga da me che le faccio tutto io». Pullulano gli “specialisti” improvvisati, che se sanno di comunicazione non sanno di rete, o viceversa, o non sanno gran che né dell’una, né dell’altra. E purtroppo ci sono aziende che ci cascano...

Sarebbe interessante che i “comunicatori” occupassero il territorio di competenza. Ma non basta sapere come fare grafica su computer e come convertire un testo in html. Si tratta di capire un mondo, un modo di essere, un sistema di relazioni... che ci piaccia o no, ci vuole tempo.

Sono in rete da più di cinque anni, quasi tutti i giorni; da più di quattro anni dedico parecchia attenzione ad approfondire gli aspetti culturali e umani della rete (che sono enormemente più importanti delle tecnologie). Ho letto, studiato, verificato, parlato, discusso con mezzo mondo... ebbene si, adesso mi sembra di aver cominciato a capire; ma se non imparerò qualcosa di nuovo domani avrò l’impressione di restare indietro.

Non so se c’è così tanta fretta. Ci vorranno ancora anni (non so quanti) prima che la rete sia penetrata nel nostro costume, sia parte abituale della nostra vita quotidiana, insomma sia uno strumento diffuso. Di gattini ciechi fatti da gatte frettolose ce ne sono già troppi. Non si impara un mestiere nuovo in un giorno, né in pochi mesi.


Per finire, pur sapendo cosa pensiamo entrambi delle profezie, vorrei tentarne una insieme. Quanto tempo passerà prima che negli esami professionali della TP appaia la figura dell’e-pubblicitario. Io dico non più di 3, e tu?

Probabile... ma c’è un problema. Dove si troveranno insegnanti ed esaminatori?


 

   

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